Penale

Insider trading: sequestrabile l'intero patrimonio investito per fare profitto

La Cassazione, sentenza 54524 del 5 dicembre 2018, conferma il sequestro (finalizzato alla confisca) per market abuse di quasi 900mila euro in titoli, conti, azioni ecc. nella disponibilità Germano Urgeghe. Ex ufficiale della Guardia di Finanza, commercialista dello studio Cordeiro Guerra, Urgheghe - auto soprannominatosi ‘Gordon Gekko' in memoria del protagonista del film ‘Wall Street'- è accusato di aver istigato Francesco Maldese, componente del Risk management di Mediobanda, a divulgare informazioni privilegiate relative a tre offerte pubbliche di scambio ed acquisto di azioni di società quotate nelle quali la banca era advisor finanziario, al fine di servirsene anche direttamente per trarne profitto. Le Opa erano: Pai Partners su Marcolin (2012) e Vodafone su Cobra Automotive Technologies (2014) entrambe quotate alla Borsa italiana; Bollorè su Havas (2014) quotata sul listino di Parigi. Il ricorrente aveva lamentato tra l'altro che il profitto per tutte e tre le operazioni era di 61mila euro per cui il sequestro (qualificato come finalizzato alla confisca per equivalente) era del tutto «sproporzionato».

Per la Suprema corte la confisca è da qualificarsi come «diretta» avendo ad oggetto «denaro e beni fungibili». A giudizio della V Sezione penale infatti il ragionamento delle Sezioni Unite (sentenze Lucci n. 31617/2015 e Gubert 10561/2014) in merito alla confisca del prezzo o del profitto del reato «è, evidentemente, applicabile anche ai beni utilizzati per commetterlo, non emergendo ragioni interpretative per applicare a dette categorie – accomunate nelle disposizioni normative a quelle del prezzo e del profitto del reato - un criterio ermeneutico diverso, qualora detti beni consistano in denaro o beni equivalenti». Del resto, prosegue la Corte, «non può esservi dubbio che le somme utilizzate per l'acquisto delle azioni abbiano costituito lo strumento utilizzato per attuare la condotta criminosa», con conseguente sottoposizione degli stessi alla confisca obbligatoria, e prima ancora al sequestro; mentre le «plusvalenze» costituiscono il «profitto della condotta criminosa». Dunque la critica sulla sproporzione del quantum non coglie nel segno dal momento che il provvedimento ha colpito «anche i beni utilizzati per commettere il reato».

Siccome le somme sottoposte a sequestro, prosegue la Corte, costituiscono sia il profitto del reato che i beni utilizzati per commetterlo, il provvedimento deve essere considerato funzionale alla confisca diretta e non per equivalente. In questo senso, il fatto che le plusvalenze fossero inferiori ai capitali utilizzati è del tutto ininfluente ai fini della qualificazione delle somme medesime come beni utilizzati per commettere il reato e come tali in rapporto di stretta pertinenzialità col reato. Le plusvalenze infatti, chiosa la Corte, potrebbero non realizzarsi affatto o addirittura si potrebbe generare una perdita ma ciò sarebbe comunque irrilevante ai fini della consumazione del reato. Infine, conclude sul punto la decisione, se non fosse possibile la confisca diretta «sarà, anche nel caso in esame, disposta la confisca per equivalente». Diverso invece è il caso deciso oggi dalla Corte costituzionale (223/2018), di cui la sentenza ricorda l'ordinanza di remissione, che ha bocciato, sempre in riferimento all'insider trading, la confisca per equivalente laddove applicata retroattivamente e con effetti più gravosi rispetto al precedente regime sanzionatorio di carattere penale.

Corte di cassazione - Sentenza 5 dicembre 2018 n. 54524

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