Penale

Processo Studium 2000, prescritto l'avvelenamento acque

La Cassazione, sentenza n. 48548 pubblicata ieri (udienza del 25 settembre scorso), ha annullato dichiarandone la prescrizione la condanna, emessa dalla Corte di appello di Lecce, a due anni e sei mesi di reclusione nei confronti di un imprenditore del settore idrocarburi, per il reato di avvelenamento colposo (articoli 439 e 452 del c.p,) di terreni e della falda acquifera sottostante, fra l'altro, all'Università del Salento. Non solo, essendo la prescrizione intervenuta antecedentemente alla pronuncia della sentenza di primo grado, la Corte ha revocato anche le statuizioni civili per i danni “patrimoniali e non” liquidati in favore dell'Università, della Regione Puglia, dell'Associazione Legambiente Onlus e del Codàcons Onlus. Confermata invece la condanna a 4 mesi per omessa comunicazione tempestiva al comune e alla provincia dello stato dei luoghi. Confermata invece la sospensione condizionale della pena, ma senza la «condizione di eliminare le conseguenze dannose del reato mediante l'integrale bonifica», essendo rimasta in piedi «la sola condanna per il reato contravvenzionale».
La contaminazione, secondo l'accusa, era collegata alla dispersione nel terreno di materiale altamente inquinante contenuto negli ex depositi di carburanti dell'azienda, alla periferia del capoluogo salentino. A far partire le indagini nel 2010 era stato un esposto di alcuni residenti per gli odori intollerabili provenienti dal terreno a seguito dell'apertura di un cantiere per realizzare nuove aule e impianti universitari (progetto Studium 2000).

Il ricorrente ha così vinto lo scontro in punto di diritto sulla data di inizio della prescrizione. «Acclarata la sussistenza dell'avvelenamento della falda acquifera e la riconducibilità dello stesso all'odierno ricorrente – si legge nella sentenza -, si perviene, dunque, al tema nodale che è rappresentato dall'individuazione del momento consumativo del reato e quindi del dies a quo della prescrizione». «Sul punto – prosegue la decisione - ritiene il Collegio che non possa essere condiviso l'inquadramento come reato permanente operato dalla Corte territoriale». Con la decisione n. 25547/2018, infatti, la Cassazione ha affermato il principio «che il Collegio condivide ed intende ribadire», secondo cui «il reato di avvelenamento ex art. 439 cod. pen. è un reato istantaneo ad effetti permanenti che si realizza al momento in cui le condotte inquinanti, per la qualità e la quantità della polluzione, divengono pericolose per la salute pubblica». «In tale genere di reati non si ha il protrarsi dell'offesa dovuta alla persistente condotta del soggetto agente, ma ciò che perdura nel tempo sono le sole conseguenze dannose del reato». Né il fatto che la scoperta sia avvenuta soltanto a distanza di anni cambia le cose. Ai fini dello spostamento in avanti del termine di prescrizione, non viene dunque in rilievo l'evento omissivo della mancata bonifica dei suoli, proprio per «l'impossibilità di porre a carico di un medesimo soggetto la responsabilità per un reato costruito nella forma di reato commissivo e poi addebitargli anche l'omessa rimozione delle conseguenze di quel reato».

Numerosi dunque i paralleli tracciati dalla Corte con il processo Eternit (n. 7941/2015). Con riferimento infine alla legge sugli ecoreati, la Corte ricorda che «i diversi reati di omessa bonifica e di disastro ambientale risultano introdotti nel codice penale (art. 452-terdecies e 452-quater) solo con la legge n. 68/2015», per cui «l'effetto di spostamento in avanti del momento consumativo di un reato già perfetto, in materia di inquinamento ambientale, si ha solo in due casi. Il primo è quello in cui perdura la condotta inquinante. Ma non è evidentemente il caso che ci occupa in cui l'attività produttiva è pacificamente cessata nel 1997-98. Il secondo è quello in cui la protrazione dell'evento porta a modificare a qualificazione giuridica del fatto».

Cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 24 ottobre 2018 n. 48548

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