Professione e Mercato

Pubblicità dello studio, vincoli diversificati per ogni categoria

di Francesco Nariello

Correttezza, verità, trasparenza, buon gusto e decoro. Ma anche divieto assoluto di denigrare, proporre messaggi comparativi, ingannevoli o suggestivi. Sono i principi cardine ai quali devono attenersi i professionisti - nello specifico avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e notai - per farsi pubblicità, sia a livello individuale che per il proprio studio.

Si tratta di criteri etici che rappresentano, sul fronte pubblicità, un minimo comune denominatore per le quattro categorie considerate ma che risultano validi - in modo trasversale - anche per professioni diverse. Come dimostra il recente intervento inserito nella legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 525 della legge 145/2018) che vincola gli iscritti agli Ordini sanitari su specializzazioni, prezzi e tariffe a tutelare il diritto «a una corretta informazione sanitaria».

I codici deontologici

Agli avvocati, oltre ai principi base, vengono fornite una serie di indicazioni su specifiche condotte: divieto di diffondere informazioni comparative, paletti per l’utilizzo del titolo accademico e stop all’indicazione di nominativi di professionisti non organicamente collegati con lo studio, né di clienti.

«Il giudizio sulla compatibilità delle informazioni diffuse con la deontologia - spiega Fausto Amadei del Consiglio nazionale forense - è affidato ai consigli distrettuali di disciplina i quali devono ricercare, soprattutto, il necessario bilanciamento tra i principi da tutelare». Tra i limiti al diritto a fornire informazioni sulla propria attività «è utile ricordare - sottolinea il consigliere - l’illecito accaparramento di clientela e il rispetto di una sana concorrenza tra professionisti».

Una integrazione specifica alle regole disciplinari sull’utilizzo dei social network, anche a scopi pubblicitari, è allo studio da parte dei consulenti del lavoro. A dirlo è Stefano Sassara, del Consiglio nazionale di categoria: «Abbiamo riscontrato un cattivo utilizzo dei social da parte degli iscritti, anche per promuovere la propria immagine».Due casi recenti riguardano la millanteria e l’uso di toni denigratori, su canali social .Ma le regole attuali sulla pubblicità, «risultano efficaci e i casi segnalati nel concreto sono pochi».

La comunicazione pubblicitaria dei notai - spiega Claudia Petraglia, componente commissione deontologia del Notariato - «deve essere informativa e rispettare il decoro, consentendo alla clientela di operare una scelta consapevole. Tuttavia, visti i continui mutamenti del sentire comune, non è sempre facile stabilire cosa sia decoroso o meno». Per fare qualche esempio, è stato sanzionata la pubblicità di un professionista che conteneva opinioni personali estranee alle informazioni utili elencate dal codice. E ancora, parere negativo «su un caso in cui un notaio ha fatto da testimonial a un software professionale traendone una indiretta pubblicità».

Anche per i commercialisti il codice deontologico ribadisce che la pubblicità informativa è libera, con ogni mezzo. È possibile ad esempio rendere esplicita la partecipazione a reti o network professionali, mentre il sito internet del professionista o dello studio non devono contenere riferimenti commerciali o pubblicitari. «Riscontriamo una forte propensione a rispettare le norme etiche sul fronte pubblicitario - sottolinea Giorgio Luchetta, consigliere Cndcec con delega alla deontologia -. Funziona l’autoregolamentazione: i professionisti vigilano l’uno sull’altro, inviando segnalazioni e dubbi».

I principi e le situazioni concrete

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