Penale

Limiti giurisdizionali sui reati commessi all’estero

di Giovanni Negri

È ampia, ma non illimitata, la forza attrattiva della giurisdizione italiana nella repressione delle attività legate al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La Cassazione, sentenza n. 48250 della Quinta sezione penale, ha affermato che, in assenza di un fondamento normativo che permetta di derogare al principio di territorialità, non esiste giurisdizione della magistratura italiana su reati commessi dallo straniero in danno dello straniero e interamente consumati all'estero, anche se connessi con reati (nella specie associazione per delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) per i quali la giurisdizione italiana è accertata.

È stato così respinto il ricorso del Pm di Catania contro la decisione del Tribunale, in sintonia peraltro con quella del Gip, che aveva respinto la richiesta di carcerazione preventiva nei confronti di un uomo accusato dei delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione, tortura aggravata e violenza sessuale, commessi in Libia ai danni di alcuni migranti approdati successivamente in Italia. Per il pubblico ministero, il Tribunale avrebbe ritenuto, sbagliando, che requisito necessario per affermare la competenza del giudice italiano su reati interamente commessi fuori dal territorio dello Stato è l'esercizio del diritto di inseguimento, quando invece a dovere essere valorizzato sarebbe il rapporto di stretto collegamento tra gli illeciti commessi all'estero e quelli per i quali è certa la competenza nazionale.

La Cassazione però non è stata di questo parere e ha ricordato innanzitutto il peso da attribuire agli istituti del diritto di inseguimento e della presenza costruttiva. Sulla base di convenzioni internazionali (quella di Ginevra del 1958 e quella di Montego Bay del 1982), infatti, le autorità dello Stato hanno il diritto di inseguire la nave straniera, sospettata di avere contribuito alla commissione di reati, anche oltre i limiti delle acque territoriali, a patto che l'operazione sia iniziata quando la nave era nel mare territoriale. È questo aggancio tra nave straniera e ambito territoriale nazionale a giustificare l'estensione della potestà punitiva dello Stato ai reati commessi in acque internazionali, ma strettamente collegati a quelli compiuti negli spazi assoggettati a giurisdizione nazionale.

Altro elemento considerato dalla giurisprudenza è stato poi quello della presenza costruttiva, che permette di ritenere legittimo l'inseguimento anche della nave che non è mai entrata nelle acque territoriali, quando l'imbarcazione che vi ha invece fatto ingresso può essere considerata parte della medesima flotta. Una ricostruzione, quest'ultima, che prende in considerazione la sostanziale unitarietà delle imbarcazioni, dando importanza alla condotta delle “navi figlie”, permettendo di agire anche nei confronti della “nave madre”.

In ogni caso, conclude la Cassazione, non è mai stato affermato il principio sostenuto dal Pm, per cui la connessione sarebbe criterio autonomo di individuazione della giurisdizione italiana per fatti commessi all'estero, da e ai danni dello straniero.

Corte di cassazione – Sentenza 48250

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