Civile

"Rafforza interessi mafiosi", tra politici non scatta la diffamazione

Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 21786 di oggi, ha respinto, applicando «l'esimente del diritto di critica politica», il ricorso di Salvatore Cuffaro per il risarcimento dei danni a causa della presunta diffamazione subita da Giusto Catania, sua avversario politico mentre era Presidente delle Regione Sicilia, che lo aveva accusato (in interviste e comunicati stampa) di rafforzare con le sue scelte «un blocco di interessi espressione di un potere affaristico-mafioso». Non solo, smpre per Catania, con Cuffaro si sarebbe «tornati indietro negli anni bui della collusione tra politica e mafia, gli anni dei Lima, dei Ciancimino e delle stragi», aggiungendo poi che «il sistema politico e quello criminale sono un'unica cosa nella Sicilia del Governatore Cuffaro». Ebbene, per la Terza Sezione civile, la critica politica gode di margini ben più estesi di quella giornalistica potendo assumere «toni più pungenti rispetto a quelli interpersonali tra privati», «potendo essere di parte e non dovendo necessariamente essere obiettiva», sino a consentire «toni aspri e di disapprovazione più pungenti ed incisivi». Dunque a guidare il giudizio non deve essere il criterio della «verità dei fatti». «Ove la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme ad opinioni dell'autore, in modo da costituire al contempo esercizio di cronaca e di critica – spiega infatti la Suprema corte -, la valutazione della continenza richiede un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto». «Non essendo, peraltro, la critica politica soggetta ad alcun vincolo di obiettività - prosegue la decisione -, deve ritenersi lecita l'esposizione di fatti laddove ciascuno di essi sia utilizzato non al limitato fine di offrirne una rassegna, bensì come elementi sulla base dei quali costruire una valutazione, tutta politica, di inadeguatezza del soggetto coinvolto ad assumere cariche pubbliche».

Del resto, precisa la decisione, il controllo affidato al giudice di legittimità «è limitato alla verifica dell'avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell'interesse pubblico alla diffusone delle notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione», mentre resta «del tutto estraneo al giudizio di legittimità l'accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione, non potendo la Corte di cassazione sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito in ordine a tale accertamento». Così stando le cose, conclude, «la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell'esimente del diritto di critica politica, laddove ha negato rilievo al criterio della verità dei fatti».

Corte di cassazione - Sentenza 29 agosto 2019 n. 21786

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©