Penale

Il medico risponde penalmente se l’azione corretta avrebbe evitato il danno

di Selene Pascasi

A più di due anni dal debutto della legge Gelli-Bianco (24/2017) che ha riformato la responsabilità medica e ha introdotto nel Codice penale l’articolo 590-sexies come causa di non punibilità specifica per i danni dovuti a imperizia, la giurisprudenza ha delineato i casi e i motivi che fanno scattare la condanna di medici e operatori sanitari. I nodi più discussi sono l’analisi del rapporto di causa-effetto e l’applicazione della nuova esimente.

Il nesso causale

Accertare l’esistenza di un legame tra l’atto medico e il danno procurato al paziente non è facile. Tanti i fattori esterni che potrebbero aver influito. Ecco perché la Cassazione (sentenza 11674/2019) precisa che la statistica non è parametro sufficiente a provarlo. Serve, piuttosto, un giudizio di «elevata probabilità logica» - chiamato controfattuale - fondato su due binari: un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche e uno induttivo che appuri se, nella vicenda, la condotta corretta avrebbe evitato la lesione. In altri termini, riscontrata l’alta probabilità che l’evento negativo derivi dalla mancanza del sanitario, si deve ipotizzare come avvenuta l’azione doverosa e capire se, in base a regole di esperienza o leggi scientifiche universali o statistiche, si sarebbe verificato ugualmente o più tardi o con minore intensità (Cassazione, sentenza 24922/2019). E per leggi scientifiche, scrive sempre la Cassazione (sentenza 26568/2019), si intendono quelle dotate di quattro requisiti: generalità, controllabilità, grado di conferma e accettazione da parte della comunità scientifica internazionale. Ma il giudice potrà ricorrere anche a regole non unanimemente riconosciute purché generalmente condivise.

Se, poi, i periti discordino sull’esistenza del nesso, va accolta la soluzione che dia le informazioni più significative e attendibili, capaci di sorreggere l’impianto probatorio (Cassazione, sentenza 7667/2019). La responsabilità medica non può mai essere valutata a posteriori e senza esaminare le peculiarità del caso, quali le visite già effettuate dal malato o le sue pregresse condizioni di salute.

Ci sono, invece, ipotesi molto delicate che esigono da parte del medico una valutazione particolarmente rigida e attenta del quadro clinico. Si pensi alla patologia tumorale la cui prognosi è strettamente legata alla tempestività della diagnosi. Circostanze in cui, a rischiare la condanna, può essere anche il professionista che - per aver male inquadrato i sintomi lamentati - non abbia eseguito tutti i controlli necessari per far luce ad ampio raggio sulle condizioni del malato così da poter individuare rimedi terapeutici idonei a rallentare la progressione del cancro e allungarne, anche se non di molto, il percorso di vita (Cassazione, sentenza 23252/2019).

Nel caso di morte del bambino durante il parto, invece, il sanitario “colpevole” risponde di procurato aborto o di omicidio colposo a seconda che il decesso sia avvenuto prima o dopo la rottura del sacco amniotico, linea di confine oltre la quale il feto diviene una persona (Cassazione, sentenza 27539/2019).

La non punibilità

La riforma ha previsto una causa di non punibilità su misura per i medici che commettono un errore per colpa non grave, seguendo le raccomandazioni accreditate. Ambito chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 8770/2018, conforme la sentenza 8115/2019). Per i giudici, il medico risponde di lesioni o di omicidio colposi per eventi provocati per colpa anche lieve se dovuta a negligenza o imprudenza, o a imperizia, se mancano raccomandazioni o buone pratiche da seguire, o a imperizia nella scelta di raccomandazioni o buone pratiche non adeguate. Inoltre, il medico risponde per colpa grave dovuta a imperizia nell’eseguire le raccomandazioni delle linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio e delle difficoltà dell’atto medico.

Attenzione: le linee guida valgono come norme cautelari solo se adeguate alla miglior cura del malato. Altrimenti, il medico deve discostarsene.

Vedi le schede: le indicazioni della giurisprudenza

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