Civile

La Corte Costituzionale legittima le commissioni tributarie

di Enrico De Mita

La Corte dei conti, in una risoluzione che è stata inviata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, qualche settimana fa ha proposto di concentrare in una stessa magistratura la tutela del fisco, cancellando l’attuale sistema costruito sulle commissioni tributarie provinciali e regionali.

In base alle indicazioni iniziali, che poi sono state parzialmente corrette dalla stessa Corte dei conti, la giurisdizione tributaria sarebbe stata attribuita in via esclusiva alla stessa Corte dei conti, sopprimendo la sezione tributaria della Corte di cassazione, trasformando questa in sezione ordinaria. Le critiche mosse dalla Corte dei conti alle commissioni tributarie sono queste: mancanza di terzietà e di imparzialità, natura onoraria dei componenti le commissioni, una non elevata qualità delle sentenze.

Al di là delle correzioni di tiro le considerazioni della Corte dei conti riportano l’attenzione sul ruolo delle commissioni tributarie. Peccato, però, che la Corte dei conti abbia trascurato la giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto. Da qui l’opportunità di verificare come i giudici della Corte costituzionale abbiano, di volta in volta, deciso in relazione alle commissioni tributarie.

Su questo tema la giurisprudenza è stata, come ha puntualizzato Allorio, una giurisprudenza politicamente necessitata: la Corte nella consapevolezza che il Governo o il Parlamento non avessero la possibilità pratica (per ragioni di costi e di selezione del personale) di assicurare al contribuente la tutela del giudice ordinario ha fatto tutto fino a contraddirsi, per fare in modo che una tutela giurisdizionale purchessia ci fosse.

È evidente che una dichiarazione di incostituzionalità delle commissioni come giudici tributari, lascerebbe il contribuente senza pratica tutela dato l’elevato numero di ricorsi proposti (e non tocca alla Corte costituzionale eliminare le cause della litigiosità della materia tributaria). Si spiega così che la Corte ha potuto prima dichiarare le Commissioni organi giurisdizionali, poi organi amministrativi e, infine, con gli argomenti impliciti nelle leggi di riforma ha voluto dimostrare che il Parlamento con l’autorevolezza propria dell’interpretazione autentica avesse risolto il dubbio di ermeneutica in senso favorevole alla giurisdizionalità (si vedano, per esempio, le decisioni 12/1957; 42/1857; 81/1958; 33/1963; 103/1964; 10/1969; 216/1976).

Insomma, fra il caos e un giudice tributario qualunque, la Corte ha scelto quest’ultima strada. Tanto meglio se il Parlamento troverà i mezzi per affidare tutto alla giurisdizione ordinaria.

In ogni caso, la giurisdizione tributaria non può essere attribuita alla Corte dei conti perché tale giurisdizione compete alla sola materia contabile e alle altre materie specificate dalla legge.

Diversamente la legge si porrebbe al di sopra del sistema politico e, come ha scritto Franco Gallo (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre), sembrerebbe l’espressione di una «filosofia autoritaria». Questo profilo dimostrerebbe come in Italia le istituzioni nella loro competenza e nei loro limiti non vengono rispettate.

In conclusione: le commissioni tributarie con tutti i loro difetti (come ha detto la Corte costituzionale) sono un giudice abbastanza collaudato. Si potrà ricorrere al giudice ordinario quando e se il Parlamento avrà accolto una delle proposte che sono state presentate, tanto nella precedente quanto in questa legislatura, per andare in questa direzione.

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