Civile

No all’Antitrust, l’importatore non risponde del difetto

di M.Cap.

La responsabilità della filiale italiana di una casa automobilistica per un grave difetto di sicurezza non può essere invocata nemmeno quando l’importatore sia stato già condannato per altri fatti che pure coinvolgevano il costruttore. Così, con l’ordinanza 23981 depositata il 26 settembre, la Terza sezione civile della Cassazione conferma la netta separazione tra il costruttore e il soggetto che lo rappresenta in Italia, già stabilita di recente dalla stessa sezione (anche se composta da altri giudici) con la sentenza 21841 del 30 agosto (si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 settembre).

La conferma è rilevante perché, rispetto al caso affrontato da quest’ultima sentenza, questa volta il ricorso era più articolato e circostanziato. Per cercare di ribaltare le decisioni della Corte d’appello, la difesa dei ricorrenti (madre e figli di un uomo che nel 2006 aveva perso la vita per il mancato funzionamento degli airbag in un urto violento) avevano anche fatto leva su una decisione dell’Antitrust, poi confermata dal Tar del Lazio.

La condanna cui faceva riferimento il ricorso era quella per pubblicità ingannevole comminata dall’Autorità garante della concorrenza nel 2016 come conseguenza del dieselgate. All’epoca il costruttore fu condannato in solido con la sua filiale italiana. Il Tar Lazio aveva poi ritenuto insussistenti i presupposti per la sospensione cautelare della sanzione, richiesta dalla casa automobilistica.

La Terza sezione obietta che quella sanzionata dall’Antitrust era una pratica commerciale scorretta prevista e punita dagli articoli 20, 21 e 23 del Codice del consumo. E il provvedimento dell’Antitrust secondo la Corte è una «tipica misura di public enforcement», adottata in base all’articolo 26 del Codice. In materia di responsabilità del costruttore per danni da prodotto difettoso, invece, si applica l’articolo 114 del Codice. Dunque, non si tratta di fattispecie sovrapponibili.

La parte dei ricorso che evocava la sanzione Antitrust faceva leva anche su una vecchia sentenza della stessa sezione della Cassazione, la 14/2010, che riguardava un altro incidente mortale, sempre con mancata apertura degli airbag. I giudici confermano che in quella circostanza era stata condannata in tutti e tre i gradi di giudizio anche la filiale italiana, ma «il tema dei rapporti tra casa madre e filiale italiana...non è stato minimamente affrontato dalla sentenza».

Il risultato finale al quale si arriva resta quindi che l’importatore può essere assimilato al costruttore solo se appone anche il suo marchio sul prodotto. A meno che non si provi la sua consapevolezza di aver messo in commercio beni non sicuri.

Corte di cassazione, ordinanza 26 settembre 2019, n. 23981

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