Penale

Procedimento per decreto: prosciolto l’imputato dal Gip solo in casi tassativi

di Giuseppe Amato


Il giudice per le indagini preliminari può, qualora lo ritenga, prosciogliere la persona nei cui confronti il pubblico ministero abbia richiesto l’emissione di decreto penale di condanna solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell’articolo 129 del Cpp, e non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’articolo 530, comma 2, del Cpp, alle quali, prima del dibattimento - non essendo stata la prova ancora assunta - l’articolo 129 non consente si attribuisca valore processuale. È questo il principio espresso dalla sezione III penale della Cassazione con la sentenza 2 dicembre 2014-13 aprile 2015 n. 14988.

Di conseguenza, per l’effetto, il giudice, qualora non possa pronunciare una sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 del Cpp, e non intenda accogliere la richiesta di emissione del decreto penale, può solo restituire gli atti al pubblico ministero (articolo 459, comma 3, del Cpp): tale restituzione degli atti, nella scansione logica e procedurale prevista dalla norma, presuppone l’impossibilità di emettere, rebus sic stantibus, sentenza di proscioglimento e sanziona l’incompletezza delle indagini che non consente al giudice di determinarsi in un senso (accoglimento della richiesta) o nell’altro (pronuncia di sentenza di proscioglimento).

Le conseguenze della decisione - Da queste premesse la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha annullato con rinvio la sentenza ex articolo 129 del Cpp emessa dal giudice per le indagini preliminari, richiesto di emettere decreto penale di condanna per il reato di cui all’articolo 2 del decreto legge 2 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, con la motivazione che fosse “verosimile” che la condotta ascritta dall’imputato - omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti - non fosse sorretta dall’elemento psicologico richiesto dalla norma incriminatrice; la Corte ha rilevato come non vi fosse spazio per una sentenza di proscioglimento motivata solo esprimendo un giudizio di verosimile insussistenza del dolo, che, piuttosto, attestava di un giudizio di insufficienza probatoria che avrebbe dovuto comportare, semmai, la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Le motivazioni dei giudici della Cassazione - La decisione è in linea con i principi espressi dalle sezioni Unite (sentenza 9 giugno 1995, Pg in proc. Cardoni) in forza dei quali il giudice per le indagini preliminari richiesto di emettere un decreto penale può prosciogliere l’imputato solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell’articolo 129 del Cpp, di cui deve emergere l’evidenza probatoria, ma non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’articolo 530, comma 2, del Cpp, nel qual caso deve, semmai, restituire gli atti al pubblico ministero ex articolo 459, comma 3, del Cpp, per il necessario approfondimento probatorio.

La Corte ha argomentato in tal senso valorizzando esattamente il fatto che, nella vicenda sub iudice, la motivazione liberatoria, basata sulla assenza del dolo, non si esprimeva in termini di certezza, ma solo in termini di verosimiglianza, con la conseguenza della illegittimità di una pronuncia liberatoria ex articolo 129 del Cpp.

Resta da dire che la Cassazione non ha affatto negata la fondatezza di quell’orientamento giurisprudenziale che, rispetto al reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (articolo 2 del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983 n. 638), ha ritenuta immune da censure la decisione assolutoria che aveva valorizzato l’episodicità e l’importo contenuto delle inadempienze e, per l’effetto, ravvisata la colpa e non il dolo del reato (si veda sezione III, 19 settembre 2012, Pg in proc. Bottero): tale orientamento giurisprudenziale, infatti, si era formato nell’ambito di un giudizio fondato su un più ampio accertamento del fatto e non poteva essere trasferito automaticamente in una vicenda in cui il giudice era stato richiesto di emettere un decreto penale di condanna e non risultava evidente (ma solo verosimile) l’assenza del dolo del reato.

Corte di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 13 aprile 2015 n. 14988

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