Penale

Scalata Antonveneta: nuovo giudizio per chi ha patteggiato

Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 25201 di ieri, ha disposto un nuovo giudizio per Antonio Cesare Bersani, il raider che aveva patteggiato una condanna a cinque mesi di reclusione, oltre alla confisca di 2,5 mln di euro, per concorso in aggiotaggio nella scalata Antonveneta. Nel dicembre 2016, la Suprema corte aveva già disposto un primo rinvio dopo che la Corte di appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione di Bersani. Richiesta motivata dal fatto che la Corte di appello di Milano, nel frattempo, aveva assolto il resto del "gruppo dei lodigiani" (Baietta, Dordoni, Ferrari Aggradi Gallotta, Marini, Pacchiarini, Raimondi e Tamagni), di cui lui stesso faceva parte, e che sarebbero stati reclutati direttamente dai vertici della Banca popolare di Lodi (Fiorani, Boni e Spinelli), per non aver commesso il fatto. In particolare, secondo il giudice di II grado, «non era stata provata la consapevolezza, da parte di ciascuno, che la propria condotta» - vale a dire il rastrellamento di azioni Antonveneta attraverso linee di credito aperte dalla Banca popolari di Lodi, in assenza di istruttoria e garanzie, in modo da occultare l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione di B.P.L. - si inserisse «in un disegno complessivo volto a consentire la scalata della banca al di fuori dei parametri di legalità». In sede di rinvio però la Corte di appello di Venezia ha ribadito l'inammissibilità della revisione. La Cassazione, con la decisione odierna, non ha accettato il verdetto e ha disposto un ulteriore rinvio, sempre alla Corte di appello di Venezia. La Collegio dovrà dunque valutare (ex articolo 129, co. 1 , c.p.c. "Obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità", fra cui figura "non aver commesso il fatto") «l'effettivo carattere di novità» della Consulenza tecnica e della testimonianza dell'ispettore dalla Banca d'Italia rese nel giudizio di appello. Oltre a decidere che rilievo accordare alle negazione da parte dei coimputati Fiorani e Boni dell'esistenza di un accordo collettivo. Mentre, l'assunto della «resistenza della sentenza di patteggiamento» al complessivo quadro probatorio prospettato dal richiedente «appare meramente assertivo, in quanto sprovvisto di un apparato argomentativo adeguatamente articolato, idoneo a dare conto effettivo della raggiunta conclusione e a consentirne la successiva logica verifica».

Corte di cassazione - Sentenza 6 giugno 2019 n. 25201

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