Amministrativo

Memorandum d'Intesa Italia Libia blindato, no all'"accesso civico"

Francesco Machina Grifeo

"Accesso civico" sbarrato per ragioni di sicurezza alla documentazione relativa allo stato di attuazione del Memorandum d'Intesa Italia – Libia per il contrasto all'immigrazione clandestina. L'accordo sottoscritto il 2 febbraio 2017 dal Governo Gentiloni con Fayez al-Serraj (Presidente del Governo di riconciliazione nazionale) è infatti off limits per le organizzazioni umanitarie che chiedono di conoscerne gli sviluppi. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6028 del 2 settembre scorso (Pres. Frattini, Est. Ungari), affermando che la «diffusione e la pubblicazione degli atti di cooperazione espletata in esecuzione di impegni internazionali, pertinenti ad attività dell'amministrazione della pubblica sicurezza, è suscettibile di ingenerare concretamente situazioni pregiudizievoli in grado di vanificare le misure preventive poste in essere a tutela dell'insieme delle azioni portate avanti». Respinto dunque il ricorso di un legale dell'Asgi, con l'intervento della "Coalizione Italiana per le Libertà ed i Diritti Civili", secondo cui il Ministero dell'Interno e quello degli Affari esteri «avrebbero già posto in essere molteplici azioni in esecuzione del Memorandum, anche se di nessuna di esse si avrebbe notizia ufficiale»; mentre «non sarebbe possibile sostenere che la conoscenza di ciascuna di tali attività crei grave e concreto pregiudizio alla stabilità delle relazioni internazionali».

Il Memorandum, ricorda la decisione, prevede l'assunzione di obblighi reciproci nell'ambito della gestione dei flussi migratori, «impegnandosi in particolare i due Stati a cooperare nella predisposizione di campi di accoglienza temporanei in Libia per ricoverarvi i migranti clandestini, nel tempo necessario a rimpatriarli nel paese d'origine, e prevedendosi a tal fine la costituzione di un comitato misto che dovrebbe definire le singole azioni». Proprio per queste ragioni, l'accordo è stato ampiamente criticato dalle associazioni umanitarie che hanno gridato alla violazione dei diritti umani.
Il Cds tuttavia ha confermato la sentenza del Tar Lazio (8892/2018) che a sua volta aveva respinto il ricorso conto il diniego di accesso ai documenti relativi alle riunioni del Comitato misto ed alle attività di carattere operativo opposto dall'amministrazione dell'Interno.

Per la III Sezione infatti vanno condivise le ragioni del diniego «legate all'opportunità di assicurare, sia nel momento del confronto con le Autorità libiche, finalizzato a concertare le attività ed a monitorare il loro svolgimento, sia nelle fasi direttamente operative, la riservatezza necessaria ad assicurarne l'efficacia». «Peraltro - prosegue la decisione -, già la considerazione dei contenuti delle attività materiali che sarebbero state effettuate in attuazione del Memorandum, dimostra come si tratti di aspetti del potenziamento delle capacità di intervento delle Autorità libiche, riguardo ai quali è agevole comprendere come la non preventiva conoscenza da parte dei terzi (in primis, le organizzazioni e i soggetti la cui attività di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina il Memorandum è rivolto a contrastare – senza arrivare a considerare le stesse divisioni interne tra le fazioni che si contendono il potere in Libia) risulti importante, se non decisiva, per impedire contromosse idonee a ridurne o vanificarne l'efficacia». Tali ragioni dunque, conclude, sono «difficilmente confutabili, se solo si tiene conto del difficile contesto territoriale ed istituzionale in cui l'azione di contrasto dell'immigrazione clandestina è destinata ad operare».

In punto di diritto, invece, il Cds ha affermato che «ancorché l'accesso civico generalizzato non implichi astrattamente l'obbligo della parte di indicare i documenti di cui chiede l'ostensione, al fine di ottenere dal giudice amministrativo un ordine di esibizione o una ispezione è onere dell'interessato, ricorrente ex art. 116 c.p.a., indicare i documenti di cui chiede l'ostensione, non essendo rinvenibili, nel codice o nel Dlgs n. 33 del 2013, disposizioni che consentano al giudice di ordinare l'ispezione di uffici e locali di una pubblica amministrazione al solo fine di cercare documenti di cui si sospetta l'esistenza». Il processo amministrativo, infatti, «è retto dal principio dispositivo, sia pure "temperato" dal metodo acquisitivo, in ossequio al quale sul ricorrente grava comunque un onere probatorio che, relativamente alla acquisizione di documenti, deve tradursi quantomeno nella deduzione della effettiva esistenza dei documenti di cui si chiede l'acquisizione in giudizio, che devono anche essere specificamente indicati». Questo principio si estende all'accesso civico generalizzato, «con la conseguenza che chi agisce in giudizio avverso il diniego opposto alla relativa istanza deve dimostrare l'esistenza degli atti richiesti». Riguardo invece le violazioni all'obbligo di trasparenza, il giudice amministrativo interviene «nei limiti in cui siano già state accertate e sanzionate dall'Anac, e non a prescindere dall'intervento di detta Autorità».

Consiglio di Stato - Sentenza n. 6028 del 2 settembre 2019

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