Penale

La violenza grave e ripetuta nel tempo è tortura

di Patrizia Maciocchi

La violenza grave e reiterata fa scattare il reato di tortura. E l’applicazione del crimine a chiunque e non solo al pubblico ufficiale è in linea con il diritto internazionale. La Cassazione, (sentenza 47079) respinge il ricorso dei legali dei bulli di Manduria sottoposti a custodia cautelare per il reato di tortura nei confronti di un pensionato morto, secondo l’accusa, per le conseguenze delle vessazioni e delle violenze subite dal branco. I legali degli imputati contestavano, per l’assenza degli elementi, l’applicazione del reato, introdotto dalla legge 110/2017 , con l’articolo 613-bis del Codice penale. La Suprema corte avalla - pur chiarendo che esiste una nutrita dottrina dissenziente - la scelta del legislatore di non identificare il reato solo con la tortura di “Stato” prevedendo una fattispecie comune. Una conclusione coerente con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale il divieto di tortura riguarda sia i soggetti pubblici sia i privati. Quanto ai presupposti del reato, si ricavano dalla norma. L’articolo 613-bis del Codice penale disegna un reato doloso, vincolato dalle modalità della condotta, dall’evento naturalistico, e dalla condizione del soggetto passivo. Nel giudizio pesano, dunque, le violenze, le minacce gravi, la crudeltà, le acute sofferenze fisiche o psichiche e la privazione della libertà personale come la minorata difesa. I giudici precisano inoltre che secondo la norma, che sul punto si muove sulla falsariga dello stalking, le azioni integrano il reato se le condotte sono plurime o se c’è un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Tuttavia esiste una clausola di chiusura che dà rilevanza anche ad un solo atto se lede l’incolumità fisica e la libertà individuale e morale del soggetto. Scatta in tal caso il trattamento inumano e degradante insito, ad esempio, nel waterboarding, una delle tecniche di tortura usate a Guantanamo.

Per la Cassazione meno immediata è l’interpretazione dell’aggettivo “gravi”, se debba intendersi riferito alle violenze o alle sole minacce. I giudici precisano che i lavori preparatori non offrono una soluzione chiara. Da un lato si afferma che la condotta deve essere connotata da «violenze, minacce gravi e crudeltà», dall’altro si inseriscono tra i requisiti «la gravità delle violenze e delle minacce». La Cassazione decide per la prima soluzione, affidandosi alla comune esperienza secondo la quale difficilmente le acute sofferenze e i verificabili traumi sono ricollegabili a violenze non gravi. Quanto alla pluralità delle condotte, in alternativa al trattamento inumano e degradante, i giudici escludono che singoli atti di violenza integrino una pluralità di condotte. Per il reato occorre che le violenze e le minacce siano realizzate a più riprese o commesse con più condotte messe in atto in un arco temporale abbastanza lungo. In questo quadro rientrano i fatti di Manduria.

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