Civile

Abuso del diritto, il giudice può attenuare le norme sulle controllate estere

di Alessandro Savorana e Enrico Traversa

La discussione relativa all’accertamento delle operazioni poste in essere al solo fine di eludere il pagamento dell’imposta sulle società non si è conclusa con il recepimento nel diritto italiano dell’articolo 6 della direttiva 2016/1174, la Atad 1, ad opera dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 212/2000).

Quando alla fine del 2018 ha trasposto in diritto italiano la direttiva Ue, il Governo italiano ha infatti deciso «di non disporre in merito alla norma generale antiabuso in quanto l’attuale formulazione dell’articolo 10-bis... appare conforme al testo dell’articolo 6 della direttiva Atad 1» (relazione al decreto legislativo 142/2018).

Ciò ha determinato la “conversione” di una preesistente norma di puro diritto italiano in una norma legislativa di attuazione di una disposizione di diritto europeo, per l’appunto l’articolo 6 della direttiva, che in forza del principio generale della supremazia del diritto Ue sui diritti degli Stati membri, ha rango superiore.

Un fatto, questo, il quale comporta che ogni eventuale modifica al testo dell’articolo 10-bis dovrà essere rigorosamente conforme alle superiori disposizioni dell’articolo 6 delle direttiva e che anche l’applicazione pratica dell’articolo 10-bis non tollererà “deroghe” in violazione del diritto dell’Unione europea.

Questa inedita modificazione della funzione dell’articolo 10-bis comporta a sua volta due conseguenze:

l’eventuale disapplicazione delle disposizioni dell’articolo 10-bis in contrasto con l’articolo 6 della direttiva;

l’integrale applicazione del principio della “interpretazione conforme”, in base al quale tutti i 13 paragrafi dell’articolo 10-bis devono essere interpretati dai giudici tributari degli Stati membri in conformità con il testo e soprattutto con gli obiettivi della norma sovraordinata della direttiva, così come definiti nelle sentenze della Corte di giustizia.

L’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente non rivela profili di incompatibilità con l’articolo 6 della direttiva 2016/1164. Va anzi riconosciuto al legislatore italiano il merito di aver trasfuso in norme accessibili a tutti i contribuenti due principi generali elaborati dalla giurisprudenza della Corte Ue in materia di abuso del diritto nell’ambito Iva e nell’ambito delle tre direttive sulle esenzioni d’imposta fra società collegate di Stati membri diversi.

Si tratta, rispettivamente, del principio secondo il quale, prima di accertare il presunto caso di elusione fiscale, l’amministrazione deve preventivamente notificare al contribuente i motivi sui quali ritiene configurabile un abuso/elusione (articolo 10-bis, comma 6) e del principio in forza del quale «l’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva» (comma 9).

Quanto sopra pone tuttavia il problema dell’interpretazione conforme di alcune norme specifiche in tema di abuso/elusione previste dal Tuir, Dpr 917/1986, rispetto all’articolo 6 della direttiva di cui l’articolo 10-bis costituisce la puntuale trasposizione.

Ad esempio, sia l’articolo 167 del Testo unico, riguardante la tassazione delle società estere controllate (Cfc), sia l’articolo 73, riguardante la presunzione di residenza in Italia di alcune entità estere, si caratterizzano per il fatto di prevedere un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente al verificarsi di circostanze predeterminate.

Tale inversione dell’onere della prova in materia di abuso, almeno per ciò che riguarda le legal entities residenti fiscalmente in uno Stato Ue, è contraria alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, che fin dalla sua prima sentenza in materia ha affermato che spetta all’amministrazione provare la frode o l’abuso «caso per caso» essendo inammissibili le presunzioni di abuso «per intere categorie di operazioni» (nella sentenza relativa alla causa C-28/95, Leur Bloeum).

C’è quindi una situazione giuridica complicata, nella quale la norma generale antiabuso, vale a dire l’articolo 10-bis dello Statuto, è conforme all’articolo 6 della direttiva Atad, mentre due disposizioni specifiche del Tuir risultano in conflitto con il medesimo articolo 10-bis, nonché manifestamente contrarie alle sentenze della Corte che hanno interpretato le norme Ue antiabuso preesistenti all’articolo 6 della direttiva stessa.

La soluzione del problema si può dedurre per analogia da una precedente sentenza - causa C-397/01 Pfeiffer - in cui la Corte di giustizia si è trovata di fronte a una situazione di diritto nazionale del tutto simile a quella sopra delineata.

In quella sua pronuncia la Corte ha chiarito, in primo luogo, che «il principio di interpretazione conforme ... esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva» (punto 115).

Nel nostro caso occorrerà pertanto considerare, a seconda della fattispecie, l’articolo 73 o l’articolo 167 del Tuir congiuntamente alla norma generale antiabuso contenuta all’articolo 10-bis dello Statuto, al fine di interpretare le disposizioni specifiche interne in modo conforme agli obiettivi dell’articolo 6 della direttiva Ue.

In secondo luogo, in caso di conflitto fra norme di diritto interno, delle quali una conforme alla direttiva e l’altra contraria alla stessa, sorgerà l’obbligo «di ridurre la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra». (punto 116).

L’interprete, sia esso un operatore professionale o un giudice tributario, sarà quindi tenuto:

da un lato, a “ridurre la portata” fino al punto di disapplicare le disposizioni degli articoli 73 e 167 del Tuir che fanno ricadere sul contribuente l’onere della prova;

d’altro lato, a dare piena applicazione all’articolo 10-bis dello Statuto per attenersi al testo dell’articolo 6 della direttiva e alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di onere della prova a carico dell’amministrazione.

In conclusione, grazie alla sentenza C-397/01 non vi sarà neanche bisogno di scomodare il principio dell’effetto diretto dell’articolo 6 della direttiva 2016/1174, in quanto in una controversia fra contribuente sospettato di abuso e l’amministrazion la norma applicabile sarà una norma di diritto italiano, l’articolo 10-bis, comma 9, e unicamente quella.

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