Civile

Stranieri, scende a tre anni il termine per definire le richieste di cittadinanza

È in vigore dal 22 ottobre il nuovo decreto legge sicurezza che attenua le restrizioni introdotte due anni fa

ADOBESTOCK

di Marco Noci

L’attesa per la concessione della cittadinanza italiana scende da quattro a tre anni. Ma non torna ai due anni previsti prima del decreto Salvini del 2018. E rimane obbligatorio il test di lingua italiano, da superare prima dell’invio telematico della domanda. La novità è una delle tante contenute nel decreto legge 130/2020, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 ottobre e in vigore dal giorno successivo.

Il decreto legge rivede in più punti il sistema messo in piedi dal decreto sicurezza 113/2018 voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, a partire dalla discussa abrogazione della protezione umanitaria. Il decreto legge 130/2020 ripristina ora il permesso di soggiorno per motivi umanitari sotto l’alias «protezione speciale».

In passato la protezione umanitaria aveva consentito allo straniero di vedersi riconosciuto uno status e un permesso di soggiorno riconducibile alla protezione internazionale. Il decreto legge 113/2018 aveva però cancellato questa possibilità, abrogando l’articolo 5, comma 6, del Testo unico immigrazione e introducendo nuove forme di permessi di soggiorno “speciali” con motivi di rilascio tipizzati, mentre era stata eliminata la possibilità di concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari in presenza di seri motivi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali, che sovente i giudici richiamavano per valutare i fenomeni migratori (anche economici) e decidere sulla richiesta del cittadino straniero di continuare a soggiornare in Italia.

Con l’attuale riforma, il permesso di protezione speciale sarà concesso agli stranieri che presentano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. La protezione durerà due anni e non sarà una mera estensione dei permessi per casi speciali introdotti dal decreto Salvini.

Inoltre, il decreto legge 130/2020 introduce un nuovo principio di non respingimento o rimpatrio verso uno Stato in cui i diritti umani siano violati in maniera sistematica e impedisce di rimpatriare chi ha una vita consolidata in Italia; al divieto di espulsione e respingimento nel caso in cui il rimpatrio determini, per l’interessato, il rischio di tortura è aggiunta l’ipotesi del rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.

Il decreto amplia poi le competenze delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale: sono ora chiamate a decidere anche su situazioni diverse da quelle della protezione internazionale, come, ad esempio, i casi di divieto di espulsione per stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità.

Viene inoltre eliminato il divieto di registrazione alle anagrafi comunali dei richiedenti asilo, a cui sarà rilasciata la carta di identità valida per tre anni. In proposito, la Consulta, con la sentenza 186/2020, ha dichiarato incostituzionale la norma che vietava l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, che dal 6 agosto 2020 possono iscriversi all’anagrafe comunale, ottenere la residenza e il documento di identità.

Le nuove norme ampliano anche le possibilità di convertire i titoli di soggiorno in permessi per motivi di lavoro. La conversione è ora consentita, ove ne ricorrano i requisiti, per i permessi di soggiorno per protezione speciale, per calamità, per residenza elettiva, per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi, per assistenza minori.

L’accesso al lavoro è consentito anche a chi è titolare di un permesso di soggiorno per cure mediche. Infatti, all’articolo 36 del Testo unico immigrazione, che disciplina l’ingresso e il soggiorno dello straniero per cure mediche, è inserito il seguente terzo comma: «Il permesso di soggiorno per cure mediche ha una durata pari alla durata presunta del trattamento terapeutico, è rinnovabile finchè durano le necessità terapeutiche documentate e consente lo svolgimento di attività lavorativa».

Le modifiche introdotte mirano quindi a eliminare i divieti che, finora, hanno impedito allo straniero titolare di un determinato permesso di soggiorno, di svolgere regolare attività lavorativa subordinata o autonoma, con la conseguente stabilizzazione.

Le principali novità del decreto sicurezza


La protezione speciale
Se la domanda di protezione internazionale viene respinta, gli stranieri possono ottenere un permesso per protezione speciale di due anni se nel Paese di provenienza rischiano torture o trattamenti inumani o degradanti, se lo Stato viola sistematicamente i diritti umani, o se allontanandoli dall’Italia si violerebbe il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare.

La cittadinanza
Il decreto legge 130/2020 riduce da quattro a tre anni il termine per definire i procedimenti per il riconoscimento della cittadinanza. Non si torna però al tetto di due anni fissato prima del 2018 e modificato dal decreto Salvini. Il nuovo termine sarà applicabile alle richieste di cittadinanza presentate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.

La registrazione in anagrafe
Chi ha presentato la domanda di protezione internazionale può ottenere l’i scrizione nell’anagrafe della popolazione residente e la carta di identità valida per tre anni. Viene così cancellato il divieto previsto dal decreto Salvini che è già stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta con la sentenza 186/2020.

I permessi per motivi di lavoro
Possono essere convertiti in permessi per motivi di lavoro, se si possiedono i requisiti, i permessi di soggiorno per protezione speciale, per calamità, per residenza elettiva, per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi, per assistenza minori.

I permessi per cure mediche
Il decreto legge 130/2020 consente lo svolgimento di un’attività lavorativa anche agli stranieri che, intendendo ricevere cure mediche in Italia, ottengono uno specifico visto di ingresso e il relativo permesso di soggiorno previsto dall’articolo 36 del Testo unico sull’immigrazione, che dura quanto il trattamento terapeutico.

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