Civile

Leasing Operativo e Finanziario, di godimento e traslativo. Analisi della struttura contrattuale e profili di risarcibilità

La fattispecie in dottrina è alquanto discussa, ritenendosi il Leasing come fattispecie contrattuale annoverabile fra i cosiddetti contratti atipici o contratti alieni.

di Alessandro Lardo*

Di recente la Corte di Cassazione, con alcune Sentenze come la 8740 del 11.05.2020; la 1581 del 24.01.2020 e la 5022 25.02.2020 si è pronunciata sul dibattuto tema della differenza intercorrente fra Leasing di godimento e del Leasing traslativo e sulla conseguenza in capo alle parti in caso di risoluzione per inadempimento, in particolar modo in riguardo agli aspetti della risarcibilità in caso di inadempimento in costanza di leasing traslativo


1. La fattispecie in dottrina è alquanto discussa, ritenendosi il Leasing come fattispecie contrattuale annoverabile fra i cosiddetti contratti atipici o contratti alieni. Prima di passare all'analisi specifica delle Sentenze pronunciate dalla Suprema Corte, è opportuno delineare quali siano i principi della fattispecie giuridica in esame.

Partiamo con il dire che il Leasing è un contratto derivante dalla tradizione anglosassone facente parte del novero dei cosiddetti contratti atipici, ma di utilizzo ormai frequente nella nostra realtà, specialmente aziendale. I contratti atipici vengono sottoposti al vaglio di legittimità di cui all'art. 1322 del Codice Civile, che risponde al principio secondo cui la libertà contrattuale fra le parti non subisce alcuna limitazione se è aderente a quelli che sono i dettami legislativi e non contrario ai principi generali e siano meritevoli di tutela per l'ordinamento giuridico. Pertanto, per ritenersi legittimo un contratto atipico ha da doversi ritener legittimo anche sotto il punto di vista della causa in concreto e dell'oggetto che debbono ritenersi leciti e possibili.

Nella prassi commerciale il leasing viene suddiviso in macro-tipologie: il cosiddetto leasing operativo ed il leasing finanziario. Bisogna, innanzitutto capire, ontologicamente, come il contratto di leasing si incardina all'interno del nostro ordinamento.

È prassi, infatti, che i contratti atipici vengano ricondotti per similitudine a contratti tipizzati all'interno del Codice e che in quanti fattispecie atipica ricomprendano al loro interno due o più fattispecie tipiche.

Il leasing viene principalmente ricondotto a due fattispecie contrattuali che ne formano una organica, ed è prassi giurisprudenziale che esso sia sostanziato attraverso due contratti differenti che corrispondono ai due momenti di vita e d'esecuzione del contratto stesso. È indubbio che in una prima parte di vita, il contratto di leasing sia assimilabile a quello che può essere un contratto di locazione (possa esso essere di bene mobile o immobile in caso di leasing immobiliare), così come disciplinato dall'art. 1571 del Codice Civile.

Nel leasing operativo, come nella locazione, il bene viene concesso in godimento per un determinato periodo di tempo, che è commisurato alla vita economica del bene, dove, previo pagamento di un canone di locazione, il bene viene trattenuto dal lessee per l'intera durata del contratto, che non coincide con la vita economica totale del bene. Trattasi quindi di un contratto che più che avere forma atipica ha un carattere locatizio con clausola di opzione relazionato al prezzo d'acquisto del bene contrattualmente fissato, ex art. 1331 del Codice Civile.

Nel leasing finanziario è abbastanza consueto che l'utilizzatore chieda ad una società di acquistare un bene strumentale all'azienda affinché questa lo possa cedere in locazione allo stesso. In questo caso ci troviamo di fronte ad un negozio misto complesso, poiché abbiamo in una prima fase di esecuzione un contratto di locazione incentrato sul godimento del bene, e dall'altra, abbiamo un rapporto di compravendita posto in essere dalla società finanziaria, il lessor, con il venditore originario del bene dato in locazione. Si sviluppa così un rapporto trilaterale anomalo, composto da rapporti bilaterali fra i tre contraenti in maniera distinta e separata.

Vi sono alcuni aspetti di esamina critica da evidenziare: nel contrato di leasing finanziario il lessor non ha alcun interesse nell'acquisto del bene dal venditore originario, non essendo reimpiegabile nella propria attività di impresa, ma lo acquista al solo scopo di locarlo affinché il lessee possa prenderne la proprietà con forme di finanziamento differenti da quelle tradizionali e più confacenti alle proprie risorse. Di fatto la dottrina identifica la differenza fra leasing operativo e leasing finanziario nel concetto di controllo, di fatto e non giuridico del bene. Infatti, la causa del contratto di leasing finanziario è stata individuata nel finanziamento per l'acquisto e godimento di una bene, mentre lo scopo del rapporto trilaterale che si instaura è quello del c.d. "scopo comune" come enunciato dall'art. 1420 che le parti si pongono come obiettivo per la realizzazione del contratto. Il leasing finanziario come strumento contrattuale è una fattispecie tipica dei beni strumentali d'azienda piuttosto che dei beni di consumo, per via di quelle che sono le implicazioni peculiari e specifiche nel rapporto fra le parti.

2. Nella prassi commerciale abbiamo modo di distinguere due sottocategorie di leasing finanziario: il leasing traslativo ed il l easing di godimento .

Il leasing di godimento ha ad oggetto un bene che esaurisce il proprio ciclo di vita economica e di vita utile in un periodo di tempo determinato e che è coincidente a quello della durata stessa del contratto di leasing, cosicché dal tempo T=0 (data di inizio) al tempo T=X (data di fine del contratto), il valore residuale economico e di utilizzo del bene sia pari ad un valore nei pressi dello zero. Questo concetto è stato esplicato dalla Giurisprudenza per la prima volta con la sentenza 13418/2008 della S.C . .

Il leasing traslativo non ha come funzione quella di trasferire un bene che esaurisca la sua vita economica con la durata del contratto, ma ha per oggetto un bene che, al termine del contratto stesso, manterrà un apprezzabile valore che vada oltre la durata contrattualmente stabilita, e che pertanto possa produrre utili come bene strumentale d'azienda o possa mantenere un appetibile valore di mercato.

Sulla materia del recesso, in caso di leasing operativo per analogia rispetto alle fattispecie contrattuali analizzate, verrà pertanto applicata la disciplina di cui all'art. 1458 del Codice in tema di esecuzione continuata e periodica che detta: "La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite". Verrà applicato, invece, sempre analogicamente, nel leasing traslativo, la disciplina della vendita a rate con riserva di proprietà di cui all'art. 1526 del Codice Civile che dispone nel seguente modo: "Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta."

La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti. Sull'applicazione analogica di tale disciplina alla fattispecie del leasing traslativo si è espressa la Giurisprudenza con la sentenza 73/2010, 2538/2016 ed 81810/2017 della Corte di Cassazione sottolineando come di fatto, parti delle quote pagate, non sono solo finalizzate al godimento del bene, ma hanno anche il fine di coprire parte della quota d'acquisto, così da giustificare un prezzo pagato in canoni superiore rispetto al valore di mercato del bene stesso e che ricomprenda nel canone oltre che un prezzo per il godimento anche parte della quota d'acquisto del bene stesso (sul punto alcuni chiarimenti sono dati dalle pronunce 4969/2007; 13418/2007; 19287/2010 e 19732/2011).

Per avere una chiara idea su quella che sia la disciplina applicabile al contratto in essere, anche in caso di recesso, e poter definire gli obblighi in capo alle parti, la Cassazione con la sentenza 65/1993 ha dettato dei parametri che permettano di definire in maniera più oggettiva e meno discrezionale se le parti siano di fronte ad un leasing operativo o finanziario, e se finanziario, traslativo o di godimento, così da non creare distonie nei giudizi di merito e definire gli obblighi in capo alle parti. Orbene tali parametri sono stati individuati nei seguenti fattori: il rapporto fra ciclo di vita economica del bene e durata del contratto di leasing; rapporto fra il valore residuo del bene a fine contratto ed il prezzo di opzione per l'acquisto; l'obbligo di manutenzione del bene in stato operativo e funzionante per tutta la durata del contratto; ed infine la professione del contraente (essendo il leasing operativo più affine alle esigenze di privati e/o professionisti, mentre quello traslativo più affine alle esigenze degli imprenditori). In questo caso anche il legislatore europeo ed internazionale che disciplina le materie del bilancio d'azienda ci viene in contro per cogliere queste differenze. Nella legislazione contabile i paletti definitori per l'applicazione di una o altra fattispecie sono abbastanza definiti. In questo senso il principio contabile IFRS16, fatto proprio in Italia con la legge di bilancio 124/2017, adoprando un criterio economico di tipo quantitativo sulla base di specifici, definisce, se non contrattualmente specificato, di fronte a quale tipologia contrattuale di leasing ci troviamo. I principi dell'IFRS16 sono stati commutati dalla normativa americana US GAAP, che sostanziano la differenza fra leasing operativo e finanziario attraverso il superamento della vita economica stimata del bene superiore al 75% della stessa.

Fatta questa disamina dell'istituto giuridico, sotto il profilo della risarcibilità in caso di mancata ottemperanza rispetto agli obblighi contrattuali, come già prima anticipato, per quanto concernente la fattispecie del leasing traslativo è ormai prassi giurisprudenziale consolidata che la disciplina applicabile in via analogica sia quella relativa all'art. 1526 del Codice Civile in materia di vendita a rate con riserva di proprietà. Pur rispettando questo criterio, esplicato da varie sentenze (ex multis le già citate 73/2010 e 18195/2007 su tutte), che prevedono l'applicazione in via analogica del 1526 C.c., lo stesso pur prevedendo la restituzione del bene (salvo equo compenso per al concedente per il godimento dello stesso), ha più volte sancito che, secondo quanto esposto più volte dalla letteratura giuridica in materia, la trattenuta del canone corrisposto dal lessor verso i lessee rappresenta il giusto risarcimento derivante dalla non commerciabilità del bene come nuovo, giustificando così da un lato la non ripetibilità dei canoni a fronte della restituzione del bene stesso, e dall'altro quantificando in maniera specifica il risarcimento per equità dovuto al lessor per l'uso del bene, senza null'altro a pretendere da parte di questo oltre i canoni già trattenuti (sul tema Cass. 29020/2018). È del tutto fuori discussione che il concedente mantenendo la proprietà del bene e ritenendo i canoni già versati, possa chiedere anche i canoni fino a scadere. Questa pretesa, pur essendo contrattualmente prevista, rappresenterebbe un indebito vantaggio ed uno squilibrio contrattuale evidente fra le parti (sul tema tutte le sentenze portate in epigrafe che hanno seguito questo ragionamento). Può però essere valutato (cfr. Cass. 2503/2019) da parte del giudicante, una riduzione del risarcimento e quindi una parziale ripetizione dei canoni corrisposti, quando il diritto al risarcimento superi il giusto dovuto ed esorbiti da un giusto risarcimento in favore del lessor (si pensi ad esempio al caso di restituzione del bene quasi al termine del contratto, dopo aver pagato buona parte dell'intero valore commerciale dello stesso che mantenga comunque un apprezzabile valore di mercato).

In conclusione, è possibile affermare che la disciplina è ricca di contrasti e molto variegata nelle pronunce, che sono molte e divise, tanto da aver fatto protendere, in alcuni casi, per alcune pronunce che commutassero anche l'art. 72 quater della Legge Fallimentare. Ad oggi la disciplina più accreditata, grazie anche ad un grande lavoro di ricostruzione dottrinale fatto dagli studiosi, è quella contrattuale, definita e disciplinata così come esplicata nel corpo del testo.

*a cura di Alessandro Lardo

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