Civile

L’atto di frode non frena la liquidazione del patrimonio

La disposizione deve considerarsi implicitamente abrogata dalle nuove norme e va annoverata tra le incongruenze della legge 3/2012

di Fabio Cesare

II restyling della legge 3/2012 introduce la revocatoria ordinaria nella liquidazione del patrimonio. La novità comporta conseguenze sistematiche sull’istituto.

Se è possibile intraprendere l’azione pauliana, che presuppone un atto di disposizione lesivo dei diritti dei creditori, la liquidazione può essere aperta anche se il debitore ha compiuto atti di frode.

Questa interpretazione è confermata dal nuovo articolo 7, comma 2 d-ter) che impedisce l’apertura di una procedura di sovraindebitamento limitatamente al piano del consumatore se il debitore ha determinato il sovraindebitamento con malafede o frode.

Dunque, nella nuova fisionomia della legge 3/2012, il compimento di atti fraudolenti non è di ostacolo all’apertura dell’accordo di composizione della crisi e della liquidazione del patrimonio. E ciò anche se l’articolo 14 quinquies della legge sulle insolvenze minori letteralmente esiga ancora la verifica dell’assenza di «atti in frode»: la disposizione deve considerarsi implicitamente abrogata dalle nuove disposizioni e va annoverata tra le molteplici incongruenze già presenti nella legge 3/2012.

In effetti, anche nel regime previgente il requisito appariva incongruo. Non si comprendeva per quale ragione la liquidazione del patrimonio potesse essere aperta a seguito di conversione dell’accordo di composizione della crisi o del piano del consumatore senza alcuna verifica sugli atti di disposizione lesivi della massa (articolo 14 quater), mentre il ricorso in via principale doveva essere impedito dagli atti in frode compiuti dal debitore negli ultimi cinque anni. Sotto un profilo sistematico poi, sembrava davvero incongruo che i debitori più smaliziati venissero sottoposti alle sole iniziative esecutive individuali, che premiano e distribuiscono solo a favore dei creditori più strutturati in grado di intraprenderle prima e meglio.

L’apertura di una procedura concorsuale in una situazione di particolare malizia del debitore assicura invece un esame più approfondito degli atti di disposizione patrimoniale e una più equa distribuzione del ricavato in favore di tutti i creditori, secondo le regole della par condicio. Una diversa interpretazione, quella che imporrebbe di rispettare il dato letterale dell’articolo 14 quinquies e la verifica degli atti in frode non sembra lecita.

Dopo le ultime modifiche della legge 3/2012, una simile impostazione comporterebbe una definizione incongrua del requisito negativo. Bisognerebbe infatti differenziare gli atti in frode dalla scientia damni, che oggi non possono più impedire l’apertura della liquidazione del patrimonio perché condizione dell’azione pauliana. Paradossalmente, occorrerebbe sostenere che non è frode la conoscenza in capo debitore del pregiudizio che l’atto di disposizione del patrimonio arreca alle ragioni dei creditori.

Sullo sfondo, poi, le nuove disposizioni mirano semplificare l’accesso al sovraindebitamento, come chiarisce la rubrica dell’articolo 4 ter della legge di conversione del Dl 137/2020, sull’onda dell’emergenza sanitaria che sublima in emergenza economica.

E la liquidazione del patrimonio si avvicina così alla liquidazione controllata del Codice della crisi, che non prevede la frode, anche perché può essere richiesta dai terzi: da beneficio per il debitore, a strumento di equa ripartizione tra i creditori.

In conclusione, tutte le novità introdotte con la legge di conversione del Dl 137 potranno avere un significativo impatto per qualche mese solo se verranno superate le tradizionali ritrosie di parte della giurisprudenza nell’applicazione dell’istituto. Diversamente, occorrerà attendere il Codice della crisi, e una buona dose di motivazione sociale dei gestori della crisi per assicurarne una vera diffusione.

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