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Per la Cassazione tassabili gli indennizzi da representations and warranties

E' da sempre discusso - in dottrina e in giurisprudenza - il trattamento fiscale delle somme ricevute dall'acquirente di partecipazioni societarie per effetto di clausole di indennizzo attivabili in caso di violazione delle rappresentazioni e garanzie contrattuali (c.d. representations and warranties)

di Paolo Serva *, Sabrina Tronci **


Sul tema si è espressa per la prima volta la Corte di Cassazione con una sentenza, la n. 17011 del 13 agosto 2020, destinata a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile nella materia.

Nel caso di specie l'indennizzo era corrisposto a fronte della sopravvenienza di oneri fiscali riferibili alla precedente gestione della società ceduta (c.d. tax indemnity).

Sul piano contabile, in applicazione dello IAS 1 (§ 32-35) la società acquirente (che nel frattempo aveva incorporato la target) aveva compensato il costo (indeducibile) delle imposte e l'indennizzo ricevuto dal venditore, lasciando emergere a conto economico la sola quota degli oneri "non coperta" e rimasta effettivamente a suo carico. Conseguentemente l'indennizzo non era stato tassato (per derivazione).

La Corte Suprema, dopo aver ripercorso la natura e la funzione dell'art. 83 del TUIR, contenente il principio di "derivazione rafforzata" è entrata nel merito della rappresentazione contabile adottata per negare che fosse richiesta o consentita dai principi di riferimento e concludere – al contrario – che la compensazione risultasse fuorviante nell'ottica sostanzialistica degli IAS. Ciò in quanto non sarebbe legittima la compensazione tra un onere della società acquirente verso il Fisco (ascrivibile al rapporto pubblicistico tra contribuente ed Erario) e un provento vantato nei confronti del cedente (ascrivibile al rapporto contrattuale).

Così superata la rilevanza della derivazione, la Corte nega qualsiasi rilievo al principio (invocato dal contribuente) di "simmetria" tra l'indeducibilità dell'onere fiscale e l'irrilevanza fiscale dell'indennizzo ricevuto.

Le argomentazione dei Giudici prendono le mosse da una netta distinzione tra clausole di manleva/garanzia/indennizzo, finalizzate a mantenere indenne il patrimonio dell'acquirente determinato al momento della cessione, e le clausole di aggiustamento prezzo o earn out, con le quali si correla il corrispettivo del pacchetto azionario a determinati eventi futuri legati all'andamento economico/finanziario della società oggetto di compravendita.

Le clausole di garanzia hanno infatti funzione assicurativa e l'indennizzo che ne deriva è finalizzato a tenere salvo il cessionario dagli effetti pregiudizievoli sul patrimonio della società della mala gestio precedente all'acquisizione (quindi non hanno la funzione di determinare il valore della società compravenduta, ma di "conservarlo").

Dal punto di vista fiscale le somme percepite dall'acquirente determinano una sopravvenienza attiva "assimilata" (ex art. 88, comma 3, TUIR) alla quale non è applicabile il regime pex che interessa, invece, (ove ne ricorrano le condizioni) le somme costituenti "aggiustamento prezzo".

Nel caso di specie quindi l'indennizzo sarebbe pienamente imponibile per l'acquirente (e, riteniamo, deducibile per il cedente) in quanto la necessità di simmetria rispetto alle imposte indeducibili viene negata dai Giudici. Secondo la Corte l'indennizzo sarebbe volto a ristorare l'effetto pregiudizievole sulla consistenza patrimoniale della società acquisita e non gli oneri fiscali sopportati dalla società acquirente che, in questa prospettiva, sarebbero solo il presupposto della lesione patrimoniale oggetto del ristoro.
In tal modo la sentenza evita di pronunciarsi, ritenendola assorbita, sulla annosa questione della (eventuale) estensione del principio di simmetria, certamente valevole per le sopravvenienze attive proprie, anche a quelle assimilate.

Una posizione sull'argomento sarebbe stata di grande importanza, ove si consideri che – soprattutto in assenza di fusione – il ristoro garantito dall'indennizzo sarebbe latamente riferibile ad un bene (la partecipazione) cui si associano, in caso di applicazione del regime pex, componenti negativi indeducibili (sia in fase di valutazione che al momento del realizzo). Sul punto potrebbe, tuttavia, osservarsi che il ristoro non attiene strictu sensu alla partecipazione ma al patrimonio della partecipata (in tema Cass. n.17948/2012).

Alla luce delle indicazioni della sentenza in commento, d'ora in avanti sarà necessario interrogarsi sull'opponibilità al Fisco della qualificazione giuridica attribuita dalle parti alle clausole contrattuali (che ad esempio qualifichino quale "aggiustamento prezzo" le somme dovute all'acquirente in caso di esito negativo di contenziosi pendenti in capo alla target), soprattutto nei casi in cui il trattamento contabile dei relativi importi non rileva comunque ai fini fiscali per espressa deroga alla "partecipazione rafforzata" ex art. 3, comma 3, lett. a), DM 48/2009. Ove si inserisca, poi, nel contratto una clausola di garanzia espressa, potrebbe essere opportuno prevedere anche meccanismi di "lordizzazione" dell'indennizzo (gross-up) che tengano conto del carico fiscale dell'acquirente relativamente all'importo rifuso.

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*Partner Di Tanno Associati

**Associate Di Tanno Associati