Amministrativo

Il punto sulla tutela convenzionale della proprietà privata nei confronti del potere amministrativo

La tutela convenzionale della proprietà nei confronti del potere amministrativo assume una particolare rilevanza in virtù della qualificazione della stessa da parte dell'art. 1 Protocollo 1 Addizionale Cedu come diritto fondamentale della persona e pone problemi di coordinamento in termini di legalità con il nostro ordinamento dove diversamente viene considerata in relazione alla sua funzione economico-sociale di cui agli artt. 42 e 43 Cost.

di Deborah Quattrone


LA TUTELA DELLA PROPRIETA' PRIVATA NEI CONFRONTI DEL POTERE AMMINISTRATIVO

Sembra utile considerare che tale diversa qualificazione ha assunto nel tempo una particolare importanza soprattutto in relazione all'istituto ablativo che, in virtù delle pronunce convenzionali e del seguente all'allineamento a quest'ultime sia da parte della giurisprudenza interna e che del legislatore, si è progressivamente avvicinato ai dettami della Corte Edu.

Dobbiamo infatti evidenziare come la Cedu assume una particolare rilevanza nel nostro ordinamento come parametro interposto (tra la Costituzione e la legge) ai sensi dell'art. 117 comma 2 Cost., nonché come canone interpretativo relativo dei i valori sovranazionali.
Occorre innanzitutto brevemente anticipare che, proprio in virtù della spiccata importanza assegnata al diritto di proprietà da parte della Cedu, la giurisprudenza convenzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'indennità di espropriazione dell'art. 5 bis della legge 359/1992 che veniva calcolata come media tra il valore venale del bene e quello del reddito dominicale ridotto del 40% comportando così un compenso per l'espropriato irrisorio e del tutto inadeguato. In risposta a tale doglianza è intervenuta dapprima la Consulta, con la sentenza n. 348/2005, e poi il legislatore che con la legge n. 244/2007, che ha adeguato il T.U. in materia di espropriazione ai dettati convenzionali, statuendo la determinazione dell'indennità di esproprio sulla base del valore venale del bene.

Inoltre, la giurisprudenza convenzionale ha altresì inciso sulla c.d. occupazione acquisitiva, affermando che l'acquisto della proprietà seguito dall'irreversibile trasformazione del bene conseguente alla realizzazione dell'opera pubblica, sia violativa del principio di legalità sostanziale come interpretato dalla Corte Edu perché considerato non accessibile e prevedibile da parte dei consociati. In ordine alle suesposte considerazioni, il legislatore ha quindi introdotto nel nostro ordinamento l'istituto della c.d. acquisizione sanante di cui all'art. 43 del Testo Unico n. 327 /2001, poi dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega da parte della Corte Costituzionale 293/2010 che ha lo ha sostituito con la nuova disciplina di cui all'art. 42 bis del medesimo T.U.

Per comprendere al meglio la problematica in esame occorre infatti esplicitare la diversa connotazione che assume il diritto di proprietà nel nostro ordinamento ed in quello convenzionale.

LA PROPRIETA' PRIVATA NEL NOSTRO ORDINAMENTO

La nostra Carta Costituzionale disciplina la proprietà nei commi 2 e 3 dell'art. 42 e nell'art. 43, dove vengono sanciti tre particolari principi: il principio di riserva di legge, il vincolo dei motivi di interesse generale e l'obbligo di motivazione.

• In relazione al primo profilo, occorre esplicitare che si tratta di una riserva di legge in senso relativo, in quanto l'espropriazione deve essere disciplinata non solo dalla legge ma anche ad un atto amministrativo laddove sussista in concreto una necessità di pubblica utilità. I motivi di interesse generale costituiscono il presupposto necessario del potere ablativo, in quanto da una parte adempiono alla necessità delle ragioni per cui deve essere disposto l'esproprio, dall'altra giustificano tale intervento solo sulla base di concrete ragioni mediate dalla legge.

• In relazione al secondo profilo, l'obbligo di motivazione concerne la sintesi del difficile equilibrio che ancora più si rimarca alla luce dei valori convenzionali tra autorità e libertà; un equilibrio che ha ad oggetto sia le espropriazioni formali, ovvero quando il privato viene "spogliato del suo diritto", sia in ordine alle espropriazioni sostanziali quando cioè il privato non è privato della titolarità del diritto ma se ne cancelli il valore economico dello stesso con un atto di vincolo.

Effettuate le dovute premesse contenutistiche occorre evidenziare che l'art. 42 Cost., a differenza della norma civilistica di cui all'art. 834 c.c., non prevede che l'indennizzo sia "giusto"; per tale ragione, spesso, la Corte Costituzionale, prima delle ripetute pronunce di illegittimità convenzionale ex art. 1 Protocollo 1 Addizionale Cedu, ha giustificato la legittimità delle norme di cui all'art. 5 bis L. n. 32/1992 e l'originaria versione dell'art. 37 T.U. espropriazioni n. 327/2001, che si sono susseguiti nel tempo qualificando l'indennizzo in termini irrisori e inadeguati in quanto molto al di sotto del valore venale del bene.

LA PROPRIETA' PRIVATA NELL'ORDINAMENTO CONVENZIONALE

Tale diversa qualificazione del diritto di proprietà in termini economici, quale espressione della capacità reddituale del cittadino e del suo patrimonio, e non di diritto fondamentale della persona umana come nell'ottica Cedu, ha giustificato nel nostro ordinamento la compressione e finanche all'annullamento del diritto di proprietà a vantaggio del potere pubblico. Si affermava, invero, che la riserva di legge infatti garantisce che l'esproprio avvenga secondo le garanzie procedurali e partecipative del soggetto, che nell'ottica di una rapida e conveniente acquisizione da parte della mano pubblica può avvenire anche senza la valutazione di un indennizzo commisurato al valore venale del bene in quanto non connotato in tali termini dalla nostra Carta Costituzionale.

Appare facilmente comprensibile come tale intelaiatura ordinamentale sia di difficile coordinamento con la qualificazione della proprietà come diritto fondamentale della persona umana di cui all'art. 1 Protocollo 1 Addizionale Cedu e di come le pronunce convenzionai abbiamo sempre più nel tempo influito sensibilmente sul nostro assetto normativo.

Diversamente, il diritto di proprietà come statuito dalla Cedu è qualificabile sotto una triplice configurazione: la prima di carattere generale relativa al rispetto del principio in esame, la seconda in relazione all'espropriazione e alla soggezione della stessa all'osservazione di determinate condizioni, la terza è rivolta agli Stati membri e finalizzata all'utilizzo dei beni da parte degli stessi in un'ottica di interesse generale. Ciò che a nostri fini interessa per meglio comprendere l'excursus e il conseguente avvicinamento della disciplina relativa all'esproprio (e di riflesso del diritto di proprietà) del diritto interno a quello convenzionale, sono le differenze fra le due diverse qualificazioni in ambito costituzionale e convenzionale del principio in esame.

• Innanzitutto la nostra riserva di legge è formale, in quanto pone al centro la necessità di una disposizione attributiva del potere ablatorio; mentre in ambito convenzionale la riserva di legge è sostanziale cioè pone l'accento sull'ambito di effettività della norma anche di conio giurisprudenziale, su una norma che che sia chiara, precisa, prevedibile e idonea a individuare le garanzie sostanziali e procedurali del diritto di proprietà. Non rileva infatti la legge intesa come un mero dettato legislativo ma la qualità della legge cioè la sua finalità.

• In secondo luogo dalla qualificazione della proprietà non in termini economici ma come diritto fondamentale dell'individuo discende che il valore dell'indennizzo deve essere commisurato al valore venale del bene ed anche laddove se ne discosti deve pur sempre essere ragguagliato al suo valore di mercato.

• Altra differenza attiene al divieto convenzionale dell'espropriazione indiretta, in quanto la processo espropriativo deve necessariamente essere il prodotto di una procedura legittimamente ancorata alla legge, dove il privato può in ossequio ai principi di giusto processo, di un contraddittorio pieno ed effettivo far valere le proprie ragioni.

Da ciò discende il divieto di qualsiasi tipo di espropriazione che sia effetto di un'acquisizione illecita da parte del potere amministrativo come nel caso delle espropriazioni indirette o di fatto. Tale considerazione è stata esplicitata dalla Corte Edu già nella sentenza "Zubani" del 1996 nella quale veniva evidenziato il venir meno, da parte della nostra originaria disciplina sull'esproprio, del giusto equilibrio tra salvaguardia del diritto proprietà ed esigenze di interesse generale. Infine sia la giurisprudenza convenzionale che il nostro sistema costituzionale seguono una concezione di espropriazione in senso lato comprensiva sia della espropriazione formale che di quella sostanziale già precedentemente esplicitate.

Più decisa è stata inoltre la presa di posizione da parte della Corte Edu nelle successive sentenze "Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia" del 2000 dove viene evidenziata l'importanza del rispetto del principio di legalità sostanziale in termini di chiarezza, precisione e prevedibilità della norma, nonché della effettività delle garanzie sostanziali e procedurali della procedura espropriativa. Viene infatti censurata l'esistenza di un meccanismo chiaro e trasparente del potere ablatorio e, con particolare riguardo all'espropriazione invertita, si condanna un sistema che permette al potere pubblico di trarre vantaggi da un suo comportamento illecito. Analoghe considerazioni vengono svolte dalla Corte Edu nel caso "Carbonara e Ventura" sempre nel 2000 in relazione al meccanismo dell'accessione invertita lesivo del diritto dominicale.

LA REAZIONE DELL'ORDINAMENTO ITALIANO AL DIRITTO DI PROPRIETA' COME INTESO DALLA CEDU

La reazione del nostro ordinamento alle plurime censure convenzionali non è stata di immediata rispondenza ai dettami Cedu. Nonostante l'intento del Legislatore del D.P.R. n. 327/2001 di eliminare gli istituti dell'occupazione acquisitiva e usurpativa aventi lo scopo di aggirare la mancanza di una base legale dell'acquisizione della proprietà alla mano pubblica come effetto dell'occupazione legittima; le Sezioni Unite nel 2003 pur riconoscendo il valore delle pronunce della Corte di Strasburgo suesposte, negano che le stesse implichino un giudizio di compatibilità convenzionale dell'istituto dell'occupazione appropriativa, in quanto viene affermato che il privato ha comunque il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni.

In relazione alla resistenza da parte dell'ordinamento italiano di proteggere le proprie posizioni rifiutando di aprirsi ai principi suesposti in tema di proprietà, i giudici di Strasburgo sono intervenuti censurando l'ordinamento italiano con ulteriori pronunce. Con la sentenza "Scordino" del 2005 infatti hanno replicato alle considerazioni dettate dai giudici di legittimità del 2003 e allo stesso modo sono intervenute a più riprese con le successive sentenze "Acciardi e Campagna", nel caso "Colacrai" e nella pronuncia "Dominici" tutte del 2005.

Al fine di armonizzare la normativa italiana in tema di espropriazione ai dettami della Cedu, il legislatore è intervenuto con l'introduzione dell'art. 43 Testo Unico sulle espropriazioni n.327/2001 considerato illegittimo per eccesso di delega e quindi poi sostituito con l'art. 42 bis del medesimo T.U. L'art. 42 bis ha quindi definito in maniera esaustiva la disciplina della fattispecie in una normativa autosufficiente, rispetto alla quale non trovano spazio mere elaborazioni giurisprudenziali prive di una esplicita base legale.

La nuova disposizione, avente ad oggetto l'istituto dell'acquisizione sanante, è stata oggetto di recenti interventi da parte dell'Adunanza Plenaria, nn. 2, 4 e 5 del 2020 che si sono poste nell'ottica di un avvicinamento della nostra normativa ai dettati convenzionali di legalità, prevedibilità e chiarezza.

• Nella pronuncia n. 2 del 2020 sulla rinuncia abdicativa del diritto di proprietà in favore della P.A. il Supremo Consesso, in linea con l'orientamento volto a riconoscere il carattere individuale del diritto di proprietà sollecitato dalla Cedu e dai dettami europei, esclude la possibilità di qualificare la domanda finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno per equivalente come presupposto per il trasferimento del diritto di proprietà in capo al potere pubblico.

• Nella stessa ottica si pronuncia l'Adunanza Plenaria n. 4 del 2020 che sempre in relazione all'art. 42 bis D.PR. 327/2020 statuisce che la rinuncia abdicativa del proprietario del bene occupato illegittimamente, anche avuto riguardo ai requisiti di forma, non costituisce causa di cessazione dell'illecito permanente "sine titulo".

• Da ultimo, con specifico riguardo all'ultima pronuncia n. 5 del 2020 del Supremo Consesso, è stato evidenziato come l'art. 42 T.U espropriazioni, a differenza del precedente articolo 43 del medesimo T.U che accordava la possibilità alla PA di acquisire il bene a propria discrezione con il solo pagamento di una somma pecuniari; ha introdotto a carico dell'Amministrazione procedente, la regola che impone una motivazione rafforzata e motivata delle situazioni alla base della decisione, e che evita che tale istituto sia utilizzato come regola generale.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Possiamo dunque concludere che, sebbene l'ordinamento giuridico italiano e quello convenzionale qualifichino diversamente la nozione di proprietà soprattutto in relazione al potere amministrativo, il primo limitato dalla funzione economica sociale ex art. 42 Cost. e il secondo al contrario come diritto fondamentale della persona umana ex art. 1 Protocollo 1 Addizionale Cedu, nel tempo abbiamo assistito ad un progressivo allineamento dei due istituti in favore della prospettiva convenzionale. Se infatti in prima battuta l'ordinamento italiano era stato restio ad un'armonizzazione dell'istituto interno dell'espropriazione e della proprietà privata alle plurime pronunce convenzionali, in quanto continuava ad assoggettare la proprietà privata all'interesse pubblico considerato primario pur in assenza di una esplicita e puntuale disposizione del procedimento ablativo ed anche nel caso in cui la stessa veniva illegittimamente acquisita; con progressivi interventi sia legislativi mediante l'introduzione di una disciplina "ad hoc" quale l'art. 42 bis summenzionato, che dalle risultanti pronunce anche recentissime dell'Adunanza Plenaria, assistiamo ad una nozione di proprietà ed alla relativa procedura espropriativa come più rispondente ai principi di legalità formale, sostanziale, di previsione, prevedibilità, giusto processo ed effettività della tutela come consacrati dalla Cedu.

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