Casi pratici

Applicabilità e compatibilità del rito sommario di cognizione

Procedimento sommario di cognizione: inquadramento e natura del rito

di Laura Biarella


la QUESTIONE


Il rito sommario ex artt. 702 bis e ss. è applicabile nelle controversie soggette al rito del lavoro, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo e negli incidenti di cognizione nell'ambito dell'esecuzione forzata? È compatibile con la tutela cautelare? Che rilievo viene ad assumere a seguito della cd. "riforma dei riti"? Quali aspetti ha colpito la pronuncia di incostituzionalità del novembre 2020?


L'art. 51 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha introdotto, all'interno del Titolo I del libro IV c.p.c., un Capo III bis (artt. 702 bis, ter e quater), dedicato espressamente al "Procedimento sommario di cognizione", con l'obiettivo, presumibilmente, di predisporre un nuovo modello processuale finalizzato all'accelerazione (o forse sarebbe meglio dire all'attenuazione degli eccessivi ritardi) dei tempi della giustizia civile. La novella è abbastanza recente, sicché i diversi profili problematici che il nuovo rito presenta sono tuttora oggetto di dibattito. In questa sede si cercherà di fornire un quadro ( tendenzialmente) esaustivo circa l'ambito di applicazione del nuovo procedimento sommario, aspetto che per così dire si pone a monte di tutte le altre questioni che le norme di cui agli artt. 702 bis e ss. pongono. Invero, prima di analizzare quella parte della disciplina codicistica dedicata all'ambito di operatività del nuovo rito, pare opportuno effettuare qualche cenno, in funzione di premessa generale, alla c.d. natura del processo sommario di cognizione. La questione principale - com'è facile intuire - ruota attorno al concetto di sommarietà. In particolare, il punto di contrasto risiede nella "ampiezza" della cognizione effettuata facendo ricorso alle forme del rito sommario: ci si chiede, in sostanza, se il nuovo procedimento regolato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. sia caratterizzato da una sommarietà che riguarda solo l'istruttoria, mantenendo la cognizione fattuale in una dimensione di pienezza; ovvero se anche la cognizione sia sommaria. Senza troppo indugiare sul punto, occorre rilevare che ad avviso dell'opinione prevalente (costituita da una rilevante parte della dottrina e dalla maggioritaria giurisprudenza) il nuovo rito sommario dà luogo a un giudizio a cognizione piena con semplificazione delle forme processuali, più specificamente, istruttorie. In particolare, ad onta dell'inserimento del Capo III bis nell'ambito dei procedimenti a cognizione sommaria, finanche dopo i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., il procedimento sommario di cognizione costituisce un rito abbreviato in ragione della semplicità delle questioni da trattare o degli atti istruttori da compiere, alternativo al rito ordinario ma pur sempre strutturato in funzione di una cognizione piena (e tale impostazione sarebbe confermata dal D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150 c.d. di riforma dei riti, su cui ci soffermeremo più avanti; cfr. Cecchella, «La riforma dei riti a cognizione piena», cit., 38). Il dato normativo rilevante, in parte qua, è rappresentato dall'art. 702 ter, comma 5, c.p.c., laddove dispone che il Giudice «(...) sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto (...)». In quest'ottica è possibile ipotizzare l'operatività del rito sommario in caso di: controversie (solamente) in diritto; cause istruite solo sul piano documentale; ricorsi ex art. 702 bis preceduti da un accertamento tecnico o da una consulenza a scopo conciliativo di cui agli articoli, rispettivamente, 696 e 696 bis c.p.c.; controversie ove l'istruttoria necessita bensì di prove costituende ma la cui acquisizione è di pronta soluzione (cfr. Trib. Bologna 29 ottobre 2009). Si è affermato che l'atipicità può caratterizzare bensì l'acquisizione delle prove (per esempio, potrebbe essere sentito il testimone, presentato direttamente in udienza, su circostanze in tale sede capitolate, oppure il consulente su quesiti precisati in udienza), salvo ovviamente il principio del contraddittorio, ma non anche le fonti di convincimento dell'organo giudicante, giacché il rito sommario conduce, attraverso un percorso più rapido, a un accertamento (della situazione sostanziale controversa) pieno e idoneo alla stabilità del giudicato di cui all'art. 2909 c.c. (cfr. Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione. Questioni varie in tema di ambito applicativo, fase introduttiva, esiti dell'udienza, istruttoria», in Il processo sommario e la riforma dei riti, Quaderni volterrani del diritto, a cura di Cecchella, Edizioni Pro.Form., Pacini Editore, 2012, 32).


Rito sommario: applicabilità...
La prima parte del comma 1 dell'art. 702 bis c.p.c. stabilisce che «nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta con ricorso al Tribunale competente». Da tale disposizione si ricava che il nuovo rito non si applica alle cause che, ai sensi dell'art. 50 bis c.p.c., sono di competenza del Tribunale in composizione collegiale. Peraltro, fatta eccezione per le controversie di cui al numero 5) dell'art. 50 bis c.p.c. (cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi), con l'abrogazione dell'art. 1 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, possono essere ricondotte al procedimento sommario anche le liti societarie, nonché le cause in materia di intermediazione mobiliare tra banche o tra banche e associazioni di consumatori (cfr. Trib. Torino 11 febbraio 2010; Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 18 e nota 2). Non sono poi trattabili mediante il rito sommario le cause demandate alla competenza in unico grado della Corte d'Appello (maffei, «Il punto sulla giurisprudenza in tema di procedimento sommario di cognizione ex artt. 702 bis e ss. c.p.c.», in Il processo sommario e la riforma dei riti, Quaderni volterrani del diritto, a cura di Cecchella, Edizioni Pro.Form., Pacini Editore, 2012, 53), né quelle di competenza del Giudice di Pace (Cassazione civile, Sez. VI, ord. 11 novembre 2011, n. 23691). Dunque, perché una controversia sia risolta ricorrendo alle forme processuali disciplinate dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. occorre che essa rientri nella competenza per valore o per materia del Tribunale in composizione monocratica. Potrebbe sorgere qualche incertezza con riferimento alla competenza del Tribunale (monocratico) in veste di Giudice di appello avverso le decisioni del Giudice di Pace. Invero, nel nuovo rito sommario è contemplato, ai sensi dell'art. 702 quater c.p.c., un appello la cui struttura suppone necessariamente un giudizio di primo grado, onde non risulterebbe coerente a livello sistematico che a un giudizio di prime cure a cognizione piena ne segua uno di secondo grado sommario (nel senso testé specificato); (cfr., in questo senso, Mondini, «Il nuovo giudizio sommario di cognizione: ambito di applicazione e struttura del procedimento. Il nuovo procedimento sommario di cognizione: novità normative e prassi applicativa», in Atti del convegno tenuto a Marina di Massa; Maffei, «Il punto sulla giurisprudenza», cit., 53). Inoltre, quando il Tribunale monocratico è Giudice di seconde cure si applicano le norme relative al processo d'appello, che sono incompatibili con quelle predisposte dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. (cfr. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2012, IV, 115).


...nelle controversie soggette al rito del lavoro
A seguito dell'introduzione del procedimento sommario di cognizione, con riferimento al suo ambito applicativo, il profilo che si è rivelato più controverso è stato quello afferente alla possibilità di trattare con esso le controversie di competenza del Tribunale in funzione di Giudice del lavoro e le altre cause soggette al rito del lavoro (sempre, ovviamente, di competenza del Tribunale), quali, per esempio, quelle in materia di locazione e comodato di immobili urbani e di affitto d'azienda (art. 447 bis c.p.c.) e quelle in materia di previdenza e assistenza obbligatorie (art. 442 c.p.c.). La Sezione Lavoro del Tribunale di Brescia (Sentenza 25 ottobre 2014) aveva dichiarato infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sommario esperito dal lavoratore avverso gli atti discriminatori posti in essere nei suoi riguardi dal datore di lavoro, poiché, a norma dell'art. 28 del D.Lgs. 150 del 2011, sono regolate dal rito sommario di cognizione le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1 marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Ciò posto, anche ammettendo l'inapplicabilità dell'art. 28, aveva osservato il giudice, l'azione spiegata dal ricorrente nelle forme del rito sommario di cognizione sarebbe comunque ammissibile. Infatti, l'art. 702-bis c.p.c. prevede che tale rito possa trovare applicazione in tutte le cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica, salva la conversione del rito, ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., laddove sia richiesta un'istruzione non sommaria. Inoltre, il rito sommario di cognizione può trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro. Il Tribunale di Napoli (Sentenza 25 gennaio 2011) si era pronunciato in favore dell'applicabilità del procedimento sommario (previsto dagli artt. 702 bis e seguenti, c.p.c.) anche per le controversie soggette al rito del lavoro. Infine, il Tribunale di Lamezia Terme (Ordinanza 12 marzo 2010) aveva affermato l'applicabilità dle procedimento in questione anche alle controversie assoggettate al rito dei lavoro o a quello speciale previsto dall'art. 447 bis c.p.c. in materia di locazione o di comodato di immobili urbani.


...nell'opposizione a decreto ingiuntivo
Potendosi propendere per la relazione di alternatività tra rito sommario e procedimento monitorio ex arrt. 633 e ss. c.p.c. (cfr. Zucconi Galli Fonseca, «Profili attuali del procedimento per ingiunzione», cit.), si è posto il problema dell'ammissibilità del ricorso alle forme ex artt. 702 bis e ss. c.p.c. per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo. Invero, l'ingiunto potrebbe avere interesse a opporsi al decreto ingiuntivo (a maggior ragione se provvisoriamente esecutivo) mediante il rito sommario, onde giungere più rapidamente a un accertamento negativo (e, con la fissazione dell'udienza in tempi più ristretti rispetto al rito ordinario, alla decisione sulla sospensiva); (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 21, nota 14). Sono state avanzate alcune obiezioni in ordine alla possibilità di procedere in opposizione ex art. 645 c.p.c. con rito sommario: il fatto che la norma appena richiamata contempli la citazione come atto introduttivo del giudizio di opposizione; le difficoltà che si profilerebbero, ammettendo l'esperimento del procedimento sommario, ai fini della determinazione della pendenza e, quindi, della tempestività dell'opposizione; la problematicità insita nella previsione del dimezzamento dei termini a difesa ex art. 645 c.p.c. in relazione ai già ristretti termini di cui all'art. 702 bis c.p.c. (cfr. Acierno, «Il nuovo procedimento sommario: le prime questioni applicative», in Corr. Giur., 4, 2010).
D'altro canto, l'ostacolo del riferimento all'atto di citazione può essere agevolmente superato se solo si pensa all'opposizione in caso di decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, ove in via interpretativa la citazione è sostituita dal ricorso; per ciò che attiene alla pendenza della causa di opposizione, si può guardare alla data di deposito del ricorso, in linea con quanto stabilito dall'art. 39 c.p.c.; il problema del dimezzamento dei termini a difesa previsto dall'art. 645 c.p.c. è risolto evitando l'applicazione di quest'ultima norma, posto che l'art. 702 bis delinea un modello finalizzato all'accelerazione dei tempi processuali, di tal che il termine di comparizione ivi previsto è indispensabile e speciale (cfr. Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 21). Un non trascurabile problema potrebbe essere dato dall'eventualità in cui il Giudice, ritenendo inapplicabile il rito sommario, dichiari l'opposizione inammissibile. Si è sostenuto che, laddove i termini per opporsi siano spirati (ché, nel caso siano ancora pendenti, non si profilerebbe alcun problema, potendo l'ingiunto "correggersi" notificando la citazione ), un approccio ermeneutico costituzionalmente orientato dovrebbe ritenere applicabile il principio ricavabile dall'art. 50 c.p.c., onde i termini sarebbero ancora aperti e gli effetti della citazione retroagirebbero alla notificazione del ricorso ex art. 702 bis e del decreto (cfr. Porreca, Il procedimento sommario di cognizione. Orientamenti, applicazioni e protocolli dei fori italiani, Milano, 2011, 103 e ss.; Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 21).


...negli incidenti di cognizione nell'esecuzione forzata
L'opposizione (anche di terzo) all'esecuzione e l'opposizione agli atti esecutivi, determinando l'apertura di processi di cognizione in seno all'esecuzione forzata, potrebbero rappresentare idonei contesti procedimentali da condurre secondo le forme semplificate del rito sommario. Invero, l'opinione prevalente ritiene compatibile col procedimento sommario l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. e l'opposizione all'esecuzione non ancora iniziata ex art. 615, comma 1, c.p.c. (cfr. Maffei, «Il punto sulla giurisprudenza», cit., 56). Per quanto riguarda l'opposizione all'esecuzione iniziata (art. 615, comma 2, c.p.c.), da alcuni è considerato ostacolo alla utilizzabilità del rito sommario la necessaria fase prodromica dinanzi al Giudice dell'esecuzione (Didone, «Il nuovo procedimento sommario di cognizione: collocazione sistematica, disciplina e prime applicazioni pretorie», in Giur. Merito, 2010, 415 e ss.). Tuttavia, secondo altri, niente osterebbe alla proposizione del ricorso ai sensi dell'art. 702 bis nel termine perentorio fissato dal Giudice dell'esecuzione ex art. 616 c.p.c. (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 20 e riferimenti in nota 13).
Per ciò che invece attiene alla possibilità di esperire un'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. mediante ricorso sommario, risulta ostativa la previsione secondo la quale la sentenza emessa in sede di opposizione agli atti esecutivi è inappellabile, predisponendo l'art. 702 quater a una fase essenziale di seconde cure che, pure a seguito della recente riforma operata con la legge 7 agosto 2012, n. 134, consente il dispiegamento di nuove difese (almeno istruttorie) onde in un certo senso recuperare la pienezza delle facoltà difensive soggette alla deformalizzazione del primo grado (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 20).


...nella tutela cautelare
Come si è già rilevato, nonostante la sua collocazione sistematica, il procedimento sommario ha natura cognitiva e non già cautelare (cfr. in questo senso Cassazione, Sez. Un., 10 luglio 2012, n. 11512). Esso, peraltro, attesa la sua struttura deformalizzata, potrebbe risultare utile per fornire una tutela in tempi brevi quando non sussistono i presupposti per ottenere, per esempio, un provvedimento d'urgenza (cfr. Trib. Nola 18 aprile 2013). Le questioni fondamentali attinenti al rapporto tra rito sommario e tutela cautelare concernono in sostanza due profili: se sia possibile proporre ricorso per procedimento sommario dopo l'emissione di un provvedimento cautelare; se sia ammissibile esperire domanda cautelare nel ricorso ex art. 702 bis o comunque nelle more di un giudizio sommario. Nel primo caso la risposta è senz'altro positiva. Infatti, a parte la diversa natura tra procedimento sommario di cognizione e procedimenti cautelari, il rito abbreviato potrebbe finanche apparire oltremodo utile per la fase di merito, posto che la semplificazione dell'istruttoria consentirebbe di evitare la ripetizione dell'acquisizione di prove già assunte nella fase cautelare (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 22). Nel secondo caso la soluzione pare meno scontata. Una parte della giurisprudenza ha optato per una risposta negativa (Trib. Nola 8 aprile 2012), mentre in dottrina si è affermata la compatibilità, almeno in astratto, tra procedimento sommario e domanda cautelare endoprocessuale (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 22). In tal caso peraltro occorre valutare il presupposto del periculum in mora in una logica di maggior rigore rispetto all'eventualità di un'istanza cautelare presentata in un giudizio (di merito) ordinario, dato che i tempi di definizione della causa con rito sommario sono più brevi (in questo senso, Trib. Lucera ord. 24 marzo 2010; Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 22).


...e nella mediazione (brevi cenni)
Con l'emanazione del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto "del fare", convertito, con modificazione, con legge 9 agosto 2013, n. 98), segnatamente all'art. 84, è stato reintrodotto l'obbligo di esperire, prima di adire l'autorità giudiziaria, il procedimento di mediazione in caso di controversie relative alle medesime materie - fatta eccezione, peraltro, per l'importante settore delle liti risarcitorie derivanti dalla circolazione dei veicoli e dei natanti - per le quali il tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità già era stato previsto dall'art. 5, comma 1, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, poi dichiarato incostituzionale per eccesso di delega (Corte Cost. 6 dicembre 2012, n. 272). In ragione di tale obbligatorietà, si potrebbero allora riproporre le stesse questioni sorte in precedenza, relative al rapporto tra mediazione e procedimento sommario. Invero, da un lato, l'art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 28/2010 stabilisce che il procedimento di mediazione non impedisce l'emanazione dei provvedimenti cautelari e urgenti; dall'altro, il comma 4 (come modificato dall'art. 84 del decreto "del fare", così come convertito), esclude l'operatività del procedimento obbligatorio di mediazione in una serie di procedimenti speciali (monitori, convalida di licenza e di sfratto, possessori, consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis, opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, in camera di consiglio, azione civile nel processo penale) caratterizzati dalla necessità di tutelare celermente determinati interessi. A suo tempo ci si è chiesti, in sostanza, se i limiti all'operatività del procedimento obbligatorio di mediazione valessero anche in caso di giudizio sommario di cognizione.
Si è segnalato, in senso negativo, che il rito sommario è utilizzabile per la tutela di qualunque situazione sostanziale, e inoltre non persegue finalità cautelari né è volto a soddisfare esigenze d'urgenza. Senza trascurare che la mediazione di per sé, essendo per così dire pensata per risolvere con più celerità le controversie, non si pone in termini di inconciliabilità con la ratio acceleratrice insita nel procedimento sommario (Mondini, «Il giudizio sommario di cognizione», cit., 22). Peraltro, in giurisprudenza in un primo momento si è affermato che non vi è ostacolo all'applicazione del procedimento di mediazione prima di instaurare il giudizio nelle forme di cui all'art. 702 bis c.p.c., atteso che è la natura della controversia a determinare l'operatività della condizione di procedibilità e non già il modello processuale (Trib. Varese 20 gennaio 2012); poi si è sostenuto, applicando analogicamente il comma 4 dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 (il quale esclude la mediazione obbligatoria nel procedimento monitorio), che nel procedimento sommario non si applica il tentativo obbligatorio di mediazione, manifestandosi anche in seno a tale rito le stesse esigenze di celerità e prontezza della decisione (e salvo poi esperire il procedimento di mediazione nel caso in cui il Giudice opti per la conversione nel rito ordinario, con contestuale sospensione dello stesso; in questo senso, Trib. Firenze 22 maggio 2012).


Il procedimento nella riforma dei riti
L'art. 54 della legge n. 69/2009 delega il Governo ad adottare «uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale» (comma 1). Lo stesso articolo, al comma 4, lett. d), precisa che sono escluse dalla normazione governativa le disposizioni processuali in alcune specifiche materie, tra le quali spiccano quelle di famiglia e minori e le procedure concorsuali. Ai sensi del comma 4, i procedimenti civili oggetto di riforma sono ricondotti a uno tra i tre modelli di riferimento scelti dal Legislatore, e cioè il rito del lavoro, il procedimento sommario di cognizione e il rito ordinario (delineandosi una tendenza a voler tenere separati il rito sommario e il rito del lavoro, e ciò, come si è accennato, potrebbe rappresentare un ulteriore indice dell'infungibilità tra i due modelli processuali).
In particolare, per quanto rileva in questa sede, devono essere sottoposti al rito sommario «i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa (...)» restando tuttavia esclusa per essi la possibilità di conversione nel rito ordinario (comma 4, lett. b, n. 2). Inoltre, la riconduzione ai modelli processuali di riferimento (e, quindi, anche al procedimento sommario) «non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al Giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile» (comma 4, lett. c). Ancora, «restano fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente» (comma 4, lett. a). In attuazione della delega, l'Esecutivo ha emanato il D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150, il quale ha ricondotto al procedimento sommario di cognizione tutta una serie di controversie elencate agli artt. 14-30. Si tratta nello specifico delle controversie (e dei procedimenti) in materia di:
- liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato;
- opposizione ai decreti di pagamento delle spese di giustizia;
- immigrazione, compresi i procedimenti in materia di diritto di soggiorno e di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea e di riconoscimento della protezione internazionale;
- opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio;
- azioni popolari ed eleggibilità, decadenza e incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali, regionali e per il Parlamento europeo, nonché in materia di impugnazioni delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo;
- riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche;
- impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai;
- impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti;
- discriminazione;
- opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari;
- opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità di cui all'art. 54 del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 327;
- attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento.
L'art. 3 del D.Lgs. n. 150/2011 detta le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario e delinea alcuni tratti distintivi rispetto al modello configurato nel codice di procedura civile, che si ripercuotono, tra l'altro, anche in tema di ambito applicativo del procedimento.
I principali aspetti distintivi sono i seguenti: - come si è visto, la delega ha inibito la possibilità di modificare i criteri di competenza previsti dalle leggi processuali speciali oggetto di semplificazione, onde il rito sommario di cognizione potrà essere applicato da qualsiasi Giudice di merito (anche dal Giudice di Pace).
Infatti, l'art. 14, comma 2, assegna la competenza a decidere le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato «all'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera» e aggiunge che, laddove essa spetti al Tribunale, esso decide in composizione collegiale.
Peraltro, in relazione a tale ultimo caso l'art. 3, comma 2, prevede la designazione, da parte del Presidente del Collegio, di un Giudice relatore e la delega dell'assunzione dei mezzi istruttori a uno dei membri;
- viene meno il rapporto per così dire di fungibilità col processo ordinario, nel senso che le controversie di cui agli articoli da 14 a 30 devono necessariamente essere trattate e decise mediante il rito sommario di cognizione;
- ultima differenza afferisce al regime dell'ordinanza che chiude il giudizio. Per alcune controversie (per esempio, quelle di cui agli artt. 14 e 15 del decreto) è prevista l'inappellabilità dell'ordinanza. E ciò può spiegarsi anche in ragione di quanto disposto dalla legge delega (art. 54, comma 2, lett. c, legge n. 69/2009), dovendosi considerare tale profilo come un effetto processuale speciale, disciplinato dalla previdente normativa, da mantenere (cfr. ancora camPese, «Il D.Lgs. n. 150/2011», cit.).
Il rito nelle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato
L'art. 14 del D.Lgs. n. 150/2011 riconduce la disciplina processuale delle controversie in materia di onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali ex art. 28 legge 13 giugno 1942, n. 794, nonché di opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo avente a oggetto il pagamento dei medesimi crediti, al rito sommario di cognizione. In tale ambito, è stato affermato che il Legislatore delegato non ha sovvertito il precedente assetto giurisprudenziale secondo il quale l'oggetto delle controversie già previste dagli artt. 28 e ss. legge n. 794/1942 afferisce alla sola determinazione degli onorari forensi, e non è esteso, nella modalità sommaria, anche ai presupposti del diritto al compenso, ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative. Donde, se l'insussistenza dei presupposti emerge dalle difese delle parti, il collegio deve disporre che il procedimento prosegua secondo il rito ordinario davanti al Giudice competente (Trib. Napoli 26 gennaio 2012).
Sennonché occorre considerare che, da un lato, l'art. 54, comma 4, lett. b), n. 2, della legge n. 69/2009, impedisce ai procedimenti ricondotti al rito sommario di essere convertiti al rito ordinario; dall'altro, l'art. 4, comma 1, del decreto delegato stabilisce che «quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il Giudice dispone il mutamento di rito con ordinanza». Allora delle due l'una: o tutte le controversie, anche quelle circa l'an e i presupposti del diritto azionato, sono trattate col rito sommario (che comunque è a cognizione piena); oppure - dando seguito anche a quanto propugnato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione 5 agosto 2011, n. 17053), onde consentire l'applicazione del rito ordinario di cognizione - resta fuori dal raggio operativo dell'art. 14 la controversia che rechi con sé contestazioni non solo sulla determinazione degli onorari ma anche in ordine ai presupposti del diritto al compenso, ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa. E se una siffatta situazione si presentasse nel corso del giudizio ex art. 14 del decreto, il Giudice, non potendo mutare il rito (essendo ciò consentito quando la controversia è promossa in forme diverse da quelle previste), dovrebbe dichiarare inammissibile il ricorso (cfr. Campese, «Il D.Lgs. n. 150/2011», cit.). Rispettando le indicazioni contenute nella delega (in particolare, l'inderogabilità dei criteri di competenza e il mantenimento delle disposizioni processuali finalizzate a produrre effetti speciali non conseguibili con le norme del codice di rito) il Legislatore delegato, nell'art. 14, ha previsto: la competenza (collegiale, se del Tribunale) dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera; la possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente nel giudizio di merito (quindi, non anche nell'eventuale fase di legittimità dinanzi alla Suprema Corte); l'inappellabilità dell'ordinanza che definisce il giudizio.
La II Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sentenza 18 settembre 2019, n. 23259, in tema di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, ha chiarito che la disciplina introdotta dall'art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011 è estesa a tutte le controversie, essendo irrilevante se siano state introdotte ex art. 702 bis c.p.c. ovvero con decreto ingiuntivo, con la conseguenza che è prevista la decisione in composizione collegiale ed escluso il ricorso al giudizio ordinario di cognizione. E', pertanto, è affetta da nullità la sentenza del tribunale che, in una causa introdotta con il rito sommario ex art. 702-bis c.p.c., previo mutamento del rito, da sommario ad ordinario, abbia deciso la causa in composizione monocratica. Tale presa di posizione si colloca, sul piano temporale, dopo l'intervento delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione (Sentenza 23 febbraio 2018, n. 4485), le quali, risolvendo questioni di massima di particolare importanza, concernenti i crediti per spese giudiziali dell'avvocato, avevano affermato che:
1) a seguito dell'introduzione dell'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta con un ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale" disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 d.lgs. 150/2011, o con il procedimento per decreto ingiuntivo ex artt. 633 ss. c.p.c. (e l'eventuale opposizione si dovrebbe proporre ai sensi dell'art. 702 bis ss. c.p.c. e nel relativo procedimento troverebbero applicazione gli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.), essendo, invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c.;
2) la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, introdotta sia ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, resta soggetta al rito di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all'an;
3) soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale), la trattazione di quest'ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un'istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 d.lgs. n. 150 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle domande;
4) qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga alla competenza del giudice adìto, troveranno applicazione gli artt. 34, 35 e 36 c.p.c. dettate in tema di spostamento della competenza per connessione.


L'intervento della Consulta del novembre 2020
Nell'ambito del rito sommario di cognizione, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la medesima rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito deve poter disporre il mutamento del rito fissando l'udienza di cui all'articolo 183 c.p.c. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 253, depositata il 26 novembre 2020, tramite tale presa di posizione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 702-ter comma 2 ultimo periodo del codice di rito civile, dove è imposto, al contrario, al giudice adito, di dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale. La vicenda da cui trae origine la questione di legittimità costituzionale in parola, principia da un ricorso ex articolo 702-bis c.p.c.., col quale gli eredi nominati in un testamento olografo avevano agito verso il proprio genitore che possedeva i beni devoluti in successione ai medesimi, chiedendone la restituzione. Costituitosi in giudizio, il genitore tuttavia domandava, in via riconvenzionale l'accertamento della nullità del suddetto testamento, rivendicando la propria qualità di erede in virtù di un precedente atto di ultima volontà in forma pubblica. Il Tribunale constatava, per l'effetto, che la causa introdotta dalla parte convenuta risultava di competenza del tribunale in composizione collegiale e che la stessa rivestiva carattere pregiudiziale rispetto alla domanda primigenia introdotta dagli attori. In virtù di quanto disposto dall'articolo 702-ter comma 2 ultimo periodo c.p.c., il giudice avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale, così separando le due cause dagli esiti potenzialmente differenti, in contrasto col principio di ragionevolezza, ex articolo 3 Cost., e col diritto di difesa, di cui all'articolo 24 Cost. In questo punto si è innestata la richiesta di intervento della Corte Costituzionale, non potendo il Tribunale addivenire ad una differente ermeneutica che schivasse la dichiarazione di inammissibilità, a fronte della chiara formulazione letterale della disposizione in esame. La Consulta ha approvato il ragionamento del giudice remittente e ritenuto rilevante la questione di legittimità sollevata, in relazione alla natura pregiudiziale, sul piano tecnico giuridico, della domanda riconvenzionale e della circostanza che la stessa, in virtù dell'articolo 50-bis comma 1 n. 6 c.p.c., compete al tribunale in composizione collegiale, dinanzi al quale non è possibile procedere con il rito sommario di cognizione. Per l'effetto, la Consulta ha proceduto all'analisi del ruolo che nell'ordinamento svolge, fin dalla sua introduzione, il rito sommario di cognizione, in veste di alternativa al processo ordinario, contrassegnato da celerità, speditezza, semplicità sul piano istruttorio. Si tratta, cioè, di un «binario processuale più agile», riservato alle liti connotate da maggiore semplicità, la cui disciplina consente al giudice di percorrere l'altro binario, ovvero il processo ordinario di cognizione, ove le difese svolte dalle parti richiedano una istruzione non sommaria. A tale facoltà discrezionale, per la Consulta corrisponde in via del tutto speculare l'eventualità, per il giudice, di trasmigrare dal rito ordinario a quello sommario, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, nel senso indicato dalla dizione dell'articolo 183-bis c.p.c. Nello specificato contesto normativo, secondo i giudici delle leggi, deve essere vagliata la norma censurata. Pertanto, laddove l'articolo 702-ter comma 2 ultimo periodo del codice di rito, prevede la dichiarazione di inammissibilità della riconvenzionale in quanto di competenza del tribunale in composizione collegiale, «pone una conseguenza sproporzionata" e, perciò, irragionevole ai sensi dell'articolo 3 della Cost., rispetto al pur legittimo scopo mirato dal legislatore. In definitiva, la causa pregiudicata sarebbe trattata con rito sommario, mentre quella pregiudicante con quello ordinario, con invitabili inconvenienti fino «all'estremo del conflitto di giudicati».


Considerazioni conclusive
Il rito sommario ha visto espandere in maniera notevole il proprio ambito di applicazione data la sua struttura snella e semplificata, comunque finalizzata a una cognizione piena, esso può prestarsi a un utile impiego, laddove ovviamente ne ricorrano i presupposti (fondamentalmente di competenza e probatori), in tutte quelle situazioni in cui non è esclusivamente previsto un rito ad hoc, ponendosi come alternativa per così dire abbreviata al rito ordinario di cognizione. Nel corso degli anni, tuttavia, si sono avvicendati numerosi interventi che hanno chiarito la portata applicativa dell'istituto processuale. Uno dei più significativi è stato quello delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sentenza 23 febbraio 2018, n. 4485) che, in riferimento al procedimento di liquidazione degli onorari degli avvocati, ha precisato che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. medesimo, può essere introdotta:

a) con un ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale" disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 segg. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell'art. 702 bis segg. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c. . É, invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c.. Infine, secondo la Consulta (sentenza n. 253, depositata il 26 novembre 2020), se «con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale», il giudice adito deve poter disporre il mutamento del rito fissando l'udienza di cui all'articolo 183 c.p.c. Per l'effetto, i giudici delle leggi hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 702-ter comma 2 ultimo periodo del codice di rito civile, che imponeva, al contrario, al giudice adito, di dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale.

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Laura Biarella

Dottrina

Procedimento civile - Rito sommario di cognizione - Inammissibilità della domanda, principale o riconvenzionale, che non rientri tra quelle indicate nell'art. 702 bis codice di procedura civile, vale a dire tra le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica - Applicabilità della previsione alla domanda riconvenzionale, anche nel caso in cui sussista un rapporto di pregiudizialità tra la domanda principale e quella riconvenzionale. - Questione di legittimità costituzionale: art. 702 ter, c. 2°, del codice di procedura civile. - Illegittimità costituzionale parziale

Corte Costituzionale