Penale

Autostrade, falsità su report viadotti per ridurre costi

Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, con quattro decisioni depositate oggi (17970-73), conferma la misura cautelare della sospensione dall'esercizio di pubblici uffici e congiuntamente, sempre per 12 mesi, il divieto di svolgere attività per concessionari di pubblico servizio per tre funzionari e l'amministratore delegato di Spea (ora dimissionario e collocato in quiescenza), la società del Gruppo Autostrade incaricata della manutenzione della rete autostradale.

Alla base della misura l'accusa di "falso ideologico continuato in atto pubblico di fede privilegiata" per aver contraffatto i rapporti ispettivi relativamente ai viadotti di Bisagno e Veilino ma con una responsabilità anche per il viadotto sul Polcevera, il cosiddetto Ponte Morandi. In particolare nelle relazioni trimestrali venivano riportate informazioni – difetti o anche assenza di difetti – verificabili solo con l'accesso all'interno delle strutture che però non avveniva più dal 2013. Addirittura, secondo il Tribunale del Riesame di Genova tali condotte sarebbero proseguite "anche dopo i gravissimi fatti del ponte Morandi", con "sprezzo del rispetto della normativa a beneficio del perseguimento degli obiettivi della società". Il più recente falso per cui è stata riconosciuta la gravità indiziaria infatti è del 15 aprile 2019.

Correttamente dunque, per la Quinta Sezione penale, il Riesame ha ritenuto che «attestare l'esame degli impalcati dei viadotti e fare un bilancio ed una descrizione dei difetti creava l'apparenza della completa verifica di essi, mentre si era trattato di un controllo solo parziale perché limitato alla parte esterna, contrariamente a quanto era previsto e necessario». In altri termini, gli indagati hanno dato conto di difetti o dell'assenza di difetti che non potevano e non dovevano essere verificati solo con un'ispezione esterna, ma che necessitavano di un esame anche all'interno, «cosi implicitamente e falsamente attestando di avere svolto anche questi ultimi, al fine di rendere fedelmente l'attività effettuata». In tal modo, i ricorrenti avrebbero anche contribuito ad una politica aziendale «tesa alla riduzione degli oneri di manutenzione». Non solo, «tollerando rapporti e relazioni che non davano atto della parzialità delle verifiche realizzavano anche una forma di istigazione (ed incoraggiamento) nei confronti dei firmatari dei rapporti e delle relazioni periodiche».

«Il contributo causale del concorrente morale – spiega infatti la Suprema corte - può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, dalla istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, all'agevolazione alla sue preparazione o consumazione, al rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, alla mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso».


«Ciò, tuttavia – prosegue -, non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 cod. pen., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete de suo manifestarsi nella realtà».

ln questo senso – conclude la decisione -, «la precisazione del Tribunale circa la sostanziale istigazione attuata sui redattori dei documenti, nell'ottica della più ampia politica aziendale di cui si è detto, ed il contributo specifico attuato dal singolo nell'ambito dei compiti che gli erano propri è argomentazione sufficiente, nella presente fase cautelare, a dimostrare che vi fosse stata una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti».

Corte di cassazione - Sentenze n. 17970-17973 dell'11 giugno 2020

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