Professione e Mercato

Coding e diritto: l'innovazione della professione legale passa dal codice

di Giacomo Bertelli e Simone Cedrola*


La tecnologia non rappresenta una minaccia per la professione legale, ma un'opportunità da cogliere che può permettere, in particolar modo ai professionisti più giovani, di usufruire di strumenti innovativi in grado di valorizzare la creatività e la logica. La programmazione rientra a buon diritto tra tali strumenti e, se padroneggiata, consente al giurista di offrire soluzioni immediatamente operative ed efficaci.

Dal Corpus iuris civilis di Giustiniano in poi, il termine ‘codice' è sempre stato associato quasi esclusivamente alla professione del giurista. E infatti, dal punto di vista giuridico, e specialmente nell'esperienza del diritto continentale o romano-germanico, per codice si intende una raccolta sistematica delle norme giuridiche relative a una data branca del diritto.

Ma a ben vedere, anche in informatica il codice non contiene che delle ‘leggi': più precisamente, il codice sorgente contiene quell'insieme di regole, scritte in un linguaggio di programmazione, che definiscono l'esecuzione di un programma per computer.
Nel 1999, proprio giocando sul duplice significato della parola ‘codice', Lawrence Lessig scriveva nel suo libro "Code and Other Laws of Cyberspace" la celebre frase "Code is Law" e individuava nel codice di programmazione l'elemento base nella struttura architettonica di una tecnologia che aveva da poco iniziato a rivoluzionare il mondo fino ad allora conosciuto: internet.

Una ventina d'anni dopo, è lecito ritenere che il pensiero visionario del Prof. Lessig, oggi in forza a Harvard, sia stato quasi profetico; non solo per aver individuato diverse problematiche straordinariamente attuali (dalla tutela della libertà di espressione alla protezione della proprietà intellettuale nell'era digitale), ma anche e soprattutto per aver evidenziato che il codice in senso giuridico e il codice inteso come linguaggio di programmazione non sono due rette parallele, bensì due rette incidenti, che hanno dunque un punto di intersezione.

L'intersezione tra diritto e programmazione: dove il codice incontra il coding

Il punto d'incontro tra le due rette, nato dapprima nell'esperienza americana e anglosassone, è comunemente definito "Coding for lawyers": chiaramente "lawyers" va qui interpretato in maniera estensiva, tale da ricomprendere tutte le diverse professioni legali e le loro declinazioni, dal praticante avvocato al giurista d'impresa, dal magistrato al legislatore.

Dunque, ciò cui si assiste da qualche anno a questa parte non solo oltreoceano ma anche in Europa (e in Italia) è la nascita del cd. "giurista programmatore", ovvero un professionista in grado di coniugare ed applicare il diritto al codice e il codice al diritto. Questo è uno degli effetti della (necessaria) contaminazione tra professioni che cercano di evolversi e, per quanto possibile, mutare per meglio comunicare tra loro. È, inoltre, frutto della democratizzazione della conoscenza generata proprio da internet e dalle incredibili opportunità formative che sono reperibili in rete oggigiorno.

In un futuro non troppo lontano, il linguaggio del diritto potrebbe assumere una nuova forma. Del resto, le leggi non sono immutabili, ma si evolvono dinamicamente man mano che la società muta. E se il diritto non riuscisse a stare al passo con la tecnologia, diverrebbe obsoleto, risultando d'ostacolo all'innovazione. Così il cerchio si chiude: dagli antichi brocardi latini agli algoritmi, dal "Ad impossibilia nemo tenetur" al "print("Hello World")".
Se in un primo momento l'arte della programmazione era riservata ai soli iscritti alle facoltà STEM (dall'inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics), oggi appare agevole per tutti affacciarsi a questo mondo. Negli ultimi anni, infatti, sono fioriti corsi online nella formula dei cd. MOOC (dall'inglese Massive Open Online Course) anche in materia di programmazione e ce ne sono per tutti i livelli: da chi è alle primissime armi a chi desidera imparare i framework e i linguaggi più complessi.

Prendendo ad esempio il pensiero computazionale e, in generale, le scienze informatiche, uno dei corsi più accreditati è sicuramente il modulo "CS50 for Lawyers" dell'Università di Harvard. Sulla scia di quanto già avveniva all'estero, anche in Italia, nel 2019, è stato lanciato il Corso di perfezionamento in "Coding For Lawyers, Legal Tech e Blockchain" (quest'anno alla sua seconda edizione) coordinato da Giovanni Ziccardi, professore ordinario di Informatica Giuridica presso l'Università Statale di Milano.

La contaminazione tra il mondo giuridico e quello della programmazione sembra, dunque, la logica conseguenza sia della costante esposizione del diritto alle nuove tecnologie che della facilità con cui è possibile apprendere nuove competenze. In realtà, ciò non dovrebbe sorprendere, in quanto sia il diritto che la programmazione hanno alla propria base i fondamenti del pensiero logico-razionale.

La crescente domanda di competenze tecniche e informatiche sta portando a riscoprire, proprio mediante la diffusione e l'insegnamento del coding, i capisaldi della logica con la conseguenza che le differenze tra il giurista e lo sviluppatore si assottigliano considerevolmente.


Tre ragioni per cui un giurista dovrebbe imparare a programmare

È del tutto lecito chiedersi quali siano i vantaggi legati all'apprendimento della programmazione. Quindi, appurata la facilità con cui è possibile acquisire competenze informatiche, la domanda sorge spontanea: perchè mai un giurista dovrebbe imparare a programmare?

Di seguito sono elencate (solo) tre ragioni per cui un giurista dovrebbe imparare le basi della programmazione.

1) Imparare il pensiero computazionale

Per pensiero computazionale si intende un processo mentale attraverso cui è possibile risolvere problemi di varia natura sulla base di determinati metodi e applicando strumenti specifici al fine di pianificare una strategia. Appare evidente, dunque, che il pensiero computazionale, non è affatto dissimile dal modo in cui è strutturato il pensiero ed il lavoro di un giurista.
Infatti, proprio come accade nello sviluppo di un software, il giurista affronta ogni problema complesso (il caso concreto) scomponendolo nei suoi elementi essenziali (gli elementi del caso) che, rapportandosi con specifiche regole (le norme) portano necessariamente a determinati risultati (il parere o, in caso di controversia, l'atto giudiziario o la sentenza).

L'importanza di imparare il pensiero computazionale è anche testimoniata dal fatto, che tra gli obiettivi formativi prioritari previsti al comma 7 lettera h) della Legge n. 107/2015, compaia "lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo al pensiero computazionale, all'utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media nonché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro".

I benefici derivanti dall'apprendimento del pensiero computazionale, inoltre, si estendono a tantissime altre figure professionali. Si pensi a funzionari di amministrazioni, medici, architetti, insegnanti - e tante altre figure - che devono affrontare ogni giorno problemi complessi, pensare a soluzioni creative, collaborare con altri colleghi e lavorare in team. In altre parole, si tratta di progettare ed applicare una procedura per risolvere un problema e/o per raggiungere un determinato obiettivo.

2) Imparare a programmare per automatizzare le "cose noiose"

La seconda ragione è sintetizzabile con una parola: efficienza. Imparare a programmare per un giurista potrebbe portare ad automatizzare tante attività ripetitive e noiose consentendo di snellire i flussi di lavoro, risparmiare tempo e rendere la propria attività più efficiente.
Inoltre, poter contare sull'automazione di alcuni processi consentirebbe al professionista di concentrare le proprie energie e risorse sui progetti più complessi che meritano un approfondimento maggiore. Ma come si potrebbe automatizzare il lavoro di un legale? Ad esempio:

- Automatizzando il calcolo di scadenze giudiziali e stragiudiziali;

- Creando automaticamente bozze di documenti legali (atti, contratti, lettere e simili);

- Curando, organizzando e riassumendo documenti legali con l'utilizzo di librerie di Natural Language Processing;

- Strutturando automaticamente set di dati e di informazioni per un accesso più semplice ed efficiente in futuro;

- Gestendo automaticamente le email in base al loro contenuto, ai mittenti ed ai destinatari;

- Creando backup automatici di documenti.

3) Imparare a programmare per comunicare

La terza è una ragione di ordine comunicativo. Il codice, oltre ad essere il linguaggio dei software e delle macchine è anche il linguaggio di informatici e sviluppatori. Imparare a programmare, saper individuare un ciclo for, un while loop, l'utilizzo di una determinata libreria o funzione è essenziale per i professionisti che lavorano a stretto contatto con soluzioni tecnologiche e personale tecnico al fine di comprendere al meglio i problemi e le esigenze delle parti coinvolte e di trovare le soluzioni più adeguate.

Ciò significa essere in grado di "parlare" sia il linguaggio del diritto che della tecnologia, sapere cosa è tecnologicamente concepibile e quali sono gli aspetti giuridici da analizzare.

La tecnologia è sicuramente il futuro (e il presente) della professione legale. Più gli avvocati e i consulenti sono in grado di capire come funziona il codice, più valore potranno fornire ai propri clienti, assistendoli passo dopo passo nell'utilizzo e nell'implementazione di nuovi strumenti come, ad esempio, l'intelligenza artificiale e gli smart contract.

* di Giacomo Bertelli e Simone Cedrola, Co-fondatori di Develawpers

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