Lavoro

Lavoro all'estero: la prestazione fuori sede

Le imprese hanno la possibilità di avvalersi di differenti istituti che, per i "non addetti ai lavori", sembrano essere simili ma che, giuridicamente, sono tra di loro ben definiti, ognuno dei quali da' vita a particolari modifiche dell'esecuzione della prestazione nel rapporto di lavoro

di Marco Proietti e Andrea Pagnotta*


Oramai si considera ampiamente diffuso il fenomeno per cui un lavoratore possa rendere la sua prestazione in un luogo diverso da quello della originaria sede. Ciò è dovuto da una serie di scelte adottate dal datore di lavoro in funzione delle esigenze tecnico produttive che il processo produttivo richiede.

In questo contesto, le imprese hanno la possibilità di avvalersi di differenti istituti che, per i "non addetti ai lavori", sembrano essere simili ma che, giuridicamente, sono tra di loro ben definiti, ognuno dei quali da' vita a particolari modifiche dell'esecuzione della prestazione nel rapporto di lavoro

1.DISTACCO, TRASFERTA E TRASFERIMENTO NEL RAPPORTO DI LAVORO.
1.1IL DISTACCO.

Il distacco si configura ogni qualvolta il datore di lavoro (distaccante) per soddisfare esigenze legate alla sua attività produttiva pone il lavoratore presso un altro soggetto (distaccatario) al fine di eseguire la sua attività lavorativa. E' prerogativa esclusiva del datore di lavoro dunque, distaccare o meno un lavoratore, la cui legittimità è vincolata dalla necessaria sussistenza di alcuni requisiti che così possiamo sinteticamente rappresentare:

• Interesse del datore a distaccare il lavoratore;

• Temporaneità del distacco;

• Funzionalità del distacco;

Il lavoratore dunque, non può opporsi al distacco; tuttavia è necessario il suo consenso quando lo stesso comporti un mutamento della mansione, gravando altresì sul datore di lavoro l'onere di dimostrare che tale scelta sia dovuta ad indefettibili e comprovate scelte organizzative, produttive, sostitutive e tecniche qualora la sede distaccataria sia distante più di 50 km .

Rimangono in capo al distaccante gli oneri retributivi, previdenziali e disciplinari mentre al distaccatario è attribuito principalmente il potere direttivo.

Dal punto di vista della disciplina giuridica, il distacco è disciplinato in particolar modo dagli artt. 18, 30 e 31 del d.lgs 276/2003, mentre prima dell'introduzione di tale norma la sua regolamentazione ha trovato previsione principalmente nella corposa casistica giurisprudenziale prodottasi nel tempo.

1.2LA TRASFERTA

La trasferta consiste invece in uno spostamento del lavoratore dall'abituale luogo di lavoro ad un altro. Principalmente l'istituto della trasferta trova disciplina nei rispettivi CCNl di categoria (o integrativi ) e nel dpr 917/86 (relativamente agli aspetti contributivi e indennitari), mancando attualmente una precisa definizione normativa. Come per il distacco, requisito necessario è rappresentato dalla temporaneità, posto che deve essere determinato sia il periodo di trasferta , sia il rientro in sede del lavoratore. In questo, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare ( cfr. Cass. N.475 del 26/01/1989) che la mancata indicazione, ovvero l'omissione del termine di rientro del lavoratore presso la propria sede, configura "un trasferimento" e non anche trasferta.

Proprio in funzione della certezza del rientro nel luogo di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che nel caso di trasferta il lavoratore mantiene un permanente legame con l'originario luogo di lavoro (Cass. 6240/2006), essendo irrilevante tale periodo qualora successivamente sia disposto il trasferimento dello stesso lavoratore.


1.3IL TRASFERIMENTO

A differenza della trasferta, il trasferimento del lavoratore è rigidamente disciplinato dalla legge, trovando previsione nell'art. 2103 c.c. La norma de qua stabilisce al penultimo capoverso che "il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ".
Dal tenore letterale della norma e dalla copiosa giurisprudenza prodottasi nel tempo, si evince dunque che il trasferimento del lavoratore può avvenire solo in presenza di determinati requisiti la cui dimostrazione è onere che grava sul datore di lavoro.

Tali requisiti possono così rappresentarsi:

• La serietà e fondatezza delle ragioni per le quali è stato scelto un dipendente rispetto ad altri;• La necessità delle competenze in capo al lavoratore scelto presso l'unità o sede cui viene destinato;

• La non necessaria utilità del dipendente nella sede di provenienza;

L'esercizio del potere datoriale, unitamente alla sussistenza dei requisiti su indicati incontra però un limite, rappresentato dal consenso del lavoratore, ma solo in specifici casi. Tale è ad esempio quello in cui il dipendente (pubblico o privato) assista un parente od affine entro il terzo grado portatore di handicap. In questo caso, il diritto del lavoratore a non essere traferito ad altra unità produttiva trova tutela in specifiche norme di legge (art. 33 comma 5 della legge 104/92; art. 20 l. 53/2000); tuttavia per l'esercizio del diritto qui indicato è necessario che vengano soddisfatti alcuni presupposti, quali:

• Esclusività dell'assistenza:

• Continuità dell'assistenza;

• Compatibilità dell'esercizio del diritto del lavoratore con quelle tecnico-produttive del datore di lavoro.


2.I DIVERSI AMBITI DI APPLICAZIONE AL RAPPORTO DI LAVORO

Nell'ottica delle diverse scelte che il datore deve adottare per una corretta gestione del personale che sia compatibile con le esigenze tecnico-produttive dell'azienda/impresa, rientrano ovviamente gli istituti su descritti. Ma quale sono le scelte più adatte alle strategie aziendali?

Possiamo affermare che la modifica delle condizioni della prestazione del lavoratore è da valutarsi singolarmente caso per caso, non relegandone la scelta solo a criteri di convenienza. Il datore potrà servirsi ad esempio dell'istituto della trasferta solo quando la prestazione sia dovuta eccezionalmente in altra sede (la reiterazione della trasferta potrebbe ad esempio portare a configurare la figura del trasfertista con tutti i dovuti riconoscimenti contrattuali del caso).L'utilizzo del distacco, al netto del soddisfacimento dei requisiti richiesti, deve essere orientato al fine di utilizzare al meglio le risorse garantendo loro diritti e retribuzione, evitando così che il suo protratto ed ingiustificato utilizzo possa portare a configurare una somministrazione fraudolenta di manodopera ed un incremento del dumping salariale. In questo caso non è obbligatoria in forma scritta (anche se preferibile) la preventiva comunicazione del datore, fermo restando che la disposizione del distacco deve obbligatoriamente essere documentata e legittimata dalla sussistenza dei requisiti indicati.

Pari considerazione deve aversi altresì per il trasferimento, disponendolo solo e quando le esigenze organizzative, tecniche e produttive siano comunque rispettose e compatibili con le preclusioni normative di cui alla L. 104/92 e della L. 53/2000.

3.Profili retributivi e fiscali.

Le diverse modalità di rendere la prestazione da parte del lavoratore, come già esposto, possono implicare anche sostanziali modifiche dal punto di vista retributivo e fiscale. Il lavoratore, infatti, trovandosi a sopportare una condizione di disagio, trova in una serie di agevolazioni fiscali e retributive la giusta compensazione. Per completezza espositiva, possiamo così riassumerle:

- In funzione dell'istituto del distacco (specie se trattasi di distacco transnazionale), al lavoratore dovrà garantirsi lo stesso trattamento retributivo e fiscale applicato dal datore distaccante e, qualora il trattamento previsto dal distaccatario sia migliorativo, deve trovarsi applicazione quest'ultimo, evitando il configurarsi di una possibile somministrazione fraudolenta ed ancor peggio, uno squilibrio retributivo (c.d. dumping salariale);

- In caso di trasferta (forse l'istituto più rappresentativo in tema di modifiche retributive e/o fiscali) i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono la corresponsione in favore del lavoratore inviato in trasferta di un'indennità. Tale emolumento può avere natura retributiva, risarcitoria, ovvero "mista". Come già anticipato, non essendoci espressa previsione legislativa che disciplina l'istituto, si deve prestare estrema attenzione a quanto previsto dalla contrattazione collettiva e soprattutto, ai fini fiscali, alla differenza tra natura retributiva e risarcitoria dell'indennità. Infatti, l'art. 51, co.5 e 6 del DPR 971/86 prevede un diverso trattamento fiscale a seconda che sia erogata a titolo di compenso o di rimborso spese.

In questo senso, infatti, nel caso in cui le indennità siano erogate in favore del lavoratore a titolo di emolumento, costituiranno elemento necessario ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità; diversamente, qualora si voglia assegnare alle indennità natura risarcitoria, il datore le corrisponderà al lavoratore a titolo di rimborso per le spese sostenute e da sostenersi; il principio cardine ravvisabile nei diversi CCNL di categoria infatti prevede che il lavoratore inviato in trasferta non debba subire alcun pregiudizio economico, per cui il datore dovrà indennizzare solo quanto effettivamente sostenuto dal lavoratore.

*a cura degli avv.ti Marco Proietti e Andrea Pagnotta

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