Il CommentoLavoro

Inidoneo e poi licenziabile chi non si vaccina

Prosegue il dibattito de Il Sole24ore sugli effetti per il lavoratore del rifiuto di vaccinarsi

di Aldo Bottini

In tema di obbligo vaccinale per i lavoratori occorre partire dall’attuale quadro normativo. La Costituzione (articolo 32) afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per legge. Al momento un obbligo di legge a sottoporsi al vaccino anti Covid non c’è e non sembra sia all’orizzonte (almeno immediato).

In relazione all’emergenza Covid, una norma di legge (articolo 29 bis del Dl 23/2020) sancisce che i datori di lavoro adempiono al dovere di sicurezza di cui all’articolo 2087 del Codice civile (in generale considerata norma aperta e dinamica) mediante l’applicazione dei protocolli anti contagio (Protocollo condiviso Governo-Parti sociali del 24 aprile 2020 e successive modifiche, protocolli locali o aziendali). Il Testo unico sulla sicurezza (Dlgs 81/2008) contiene disposizioni sui rischi di esposizione ad agenti biologici (articoli 266 e seguenti) che, pur essendo state richiamate per sottolineare la necessità di inserimento del rischio Covid nel documento di valutazione dei rischi, potrebbero essere ritenute non direttamente applicabili (in modo generalizzato) alla fattispecie dell’attuale pandemia perché, a prescindere dal fatto che si riferiscano o meno esclusivamente ad agenti biologici derivanti dalle (o presenti nelle) lavorazioni, ipotizzano la possibilità del datore di procurarsi i vaccini, al momento esclusa.

Tuttavia è interessante notare che esse prevedono la possibilità di somministrare vaccini a cura del medico competente (quindi, sia pur in determinati casi, il vaccino è considerato misura di prevenzione/protezione) e il potere del medico competente, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, di disporre l’allontanamento temporaneo del lavoratore (articolo 279) secondo le procedure previste per l’inidoneità alla mansione (articolo 42).

In questo quadro, si pone il tema di quale sia l’atteggiamento che il datore di lavoro possa/debba tenere nei confronti del dipendente che, chiamato dall’autorità sanitaria per la somministrazione del vaccino, si rifiuti di farlo. Se il vaccino è misura di protezione per sé e per la collettività (e sembra innegabile che lo sia), il datore ben può, sulla base dell’articolo 2087, ritenere che il lavoratore che, potendolo fare, non si vaccina sia temporaneamente inidoneo a rendere la prestazione in sicurezza, e quindi possa essere allontanato/esonerato senza retribuzione, salvo che la prestazione possa essere fornita senza rischio per sé e per gli altri, il che potrebbe forse realizzarsi con uno smart working integrale, ove organizzativamente possibile. Si tratterebbe di impossibilità temporanea di rendere la prestazione, che libera il datore dall’obbligo retributivo.

Una situazione che potrebbe portare al licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora l’assenza dal lavoro, per il suo prolungarsi e/o per l’indeterminatezza della sua durata, arrechi pregiudizio all’organizzazione aziendale, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza in situazioni simili (carcerazione preventiva, revoca o sospensione di autorizzazioni amministrative), e salvo naturalmente il blocco dei licenziamenti attualmente in essere.

Una simile conclusione vale in generale per tutte le situazioni lavorative che comportano il contatto con altri, ma è ancor più sostenibile laddove la prestazione implichi l’interazione con terzi (con le relative responsabilità del datore di lavoro) magari particolarmente esposti al rischio (ospedali, Rsa).

Naturalmente la posizione del datore di lavoro che non accetta la prestazione del renitente al vaccino sarebbe ancora più difendibile (di fronte alla reazione del dipendente che contesti il provvedimento reclamando la retribuzione o impugni il licenziamento per giustificato motivo oggettivo) qualora la necessità del vaccino quale misura di prevenzione/protezione venga affermata dal medico competente e inserita nei protocolli di sicurezza.

In quest’ultimo caso si potrebbe persino ipotizzare un licenziamento per ragioni soggettive (notevole inadempimento a una disposizione di sicurezza), anche se, in presenza di un diritto costituzionale a rifiutare un trattamento sanitario non specificamente imposto per legge, la tenuta di un simile recesso sarebbe problematica e incerta. La situazione, in altre parole, potrebbe non essere equiparata al rifiuto di utilizzare un Dpi o la mascherina, che non sono trattamenti sanitari.

Nessun dubbio invece sulla possibilità di considerare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso il rifiuto di vaccinarsi qualora il vaccino sia reso obbligatorio per legge, in generale o per determinati settori di attività.

Un’ultima considerazione merita il caso in cui la prestazione sia resa impossibile o difficoltosa a causa di restrizioni imposte ai non vaccinati da soggetti diversi dal datore di lavoro (limitazioni ai viaggi e agli ingressi in altri Paesi). Anche in questo caso è ipotizzabile l’inidoneità del lavoratore, con quel che ne consegue (sospensione non retribuita e/o licenziamento per giustificato motivo oggettivo).