Penale

Caso Roberto Spada : la testata al giornalista ha connotazione mafiosa per modalità tipiche

L'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 del Cp, nella forma "soggettiva" dell'aver commesso il fatto al fine specifico di agevolare l'attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente la prova dell'esistenza reale e non semplicemente supposta di essa. Al contrario, ove l'aggravante sia commessa nella forma "oggettiva" dell'utilizzazione del metodo mafioso ("avvalendosi delle condizioni previste dalla norma), non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione di tipo mafioso, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso: essa è pertanto configurabile finanche con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo, essendo necessario e sufficiente che l'associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall'agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore o ad abbandonare ogni velleità di difesa per timore di più gravi conseguenze

Nella specie, relativa ai reati di lesioni e di violenza privata, commessi dall'imputato nei confronti di un giornalista che tentava di intervistarlo, l'aggravante del metodo mafioso è stata ritenuta correttamente ravvisata in sede di merito e poi dalla Cassazione con la sentenza 6764/2020, a prescindere dalla riscontrata esistenza di una associazione mafiosa – in quel momento non ancora accertata giudizialmente, almeno in via definitiva- , valorizzando l'effettivo avvalimento da parte dell'imputato delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del Cp, in tal senso essendosi individuati gli indici fattuali del metodo mafioso: nella presenza, durante l'intera intervista, di un "guardaspalle", nella simultanea aggressione al giornalista e al suo operatore, nella perpetrazione dell'aggressione in pieno giorno dinanzi ad una palestra, rivendicando la potestà di controllare il territorio e dunque di "cacciare" chi non fosse gradito, nell'evocazione dell'intervento di soggetti terzi, che avrebbero danneggiato o fatto sparire l'auto dei giornalisti, e nel contesto omertoso della vicenda).

Sull'aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa ("l'avere commesso il fatto al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose"), cfr., di recente, Sezioni unite, 19 dicembre 2019, Chioccini. In tale occasione, la Corte, dopo avere risolto la questione controversa della natura dell'aggravante (affermando che questa, pur avendo natura soggettiva, nel reato concorsuale si applica anche al concorrente non animato da tale scopo, laddove questi risulti però consapevole dell'altrui finalità), ha altresì puntualizzato, in parte motiva, che l'aggravante nella forma "soggettiva" dell'aver commesso il fatto al fine specifico di agevolare l'attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente la prova dell'esistenza reale e non semplicemente supposta di essa (di recente, oltre alla sentenza massimata, cfr. anche Sezione II, 21 gennaio 2019, Riela ed altri). È questo, in effetti, come esattamente rilevato dalla sentenza massimata, uno degli elementi differenziali rispetto alla aggravante tipicamente oggettiva dell'avere agito utilizzando il metodo che non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione mafiosa, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso: essa è pertanto configurabile finanche con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo, essendo necessario e sufficiente che l'associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall'agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore o ad abbandonare ogni velleità di difesa per timore di più gravi conseguenze.

Piuttosto, con riferimento all' aggravante dell'essersi avvalso della forza di intimidazione connessa ad un sodalizio criminoso di tipo mafioso e delle condizioni di assoggettamento ed omertà da essa derivanti, se è pur vero che tale aggravante può qualificare l'illecita condotta anche di soggetti non appartenenti ad associazioni mafiose, giacché anche il delinquente comune, isolato o non legato neppure indirettamente a consorterie mafiose, può agire giovandosi di una dinamica mafiosa, occorre pur sempre evitare ingiustificate dilatazioni del relativo ambito applicativo.

Infatti, per non attribuire illogicamente all'aggravante de qua i contorni di una circostanza di carattere ambientale o locale (di guisa che qualunque fatto criminoso attuato in realtà territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosità), è comunque indispensabile accertare e portare in luce i concreti tratti esteriori del comportamento criminoso che ne abbiano connotato l'ascrizione alla metodologia mafiosa. In altri termini, occorre evidenziare gli aspetti reali del riferimento all'efficacia intimidatrice e alla forza di pressione riconducibili a specifici assetti organizzativi mafiosi di cui si sia ammantata la reale azione del soggetto agente, nonché precisare se e in quale misura l'azione così caratterizzata abbia dispiegato diretta incidenza causale sull'atteggiamento remissivo o arrendevole dei soggetti passivi e sulla loro concreta libera autodeterminazione.

Cassazione - Sezione V penale –Sentenza 20 febbraio 2020 n. 6764

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