Penale

Benefici penitenziari, la stretta passa i filtri della Consulta

di Giovanni Negri

La Corte costituzionale torna a pronunciarsi sulla legittimità dei presupposti per l’accesso ai benefici penitenziari. E lo fa con due sentenze, depositate ieri e scritte entrambe da Nicolò Zanon, che riprendono, dopo la pronuncia del dicembre scorso sull’ergastolo ostativo, il tema dei reati inseriti nella lista dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e della sua forza preclusiva rispetto alle alternative alla detenzione.

Con la prima sentenza, la 50, la Corte, chiamata in causa dalla Cassazione, ha considerato infondate le questioni di legittimità poste sulla inapplicabilità della detenzione domiciliare ai condannati per rapina aggravata. A non convincere la Corte c’era la presunzione assoluta dell’inadeguatezza della detenzione domiciliare come strumento per il trattamento del condannato e la prevenzione di nuovi reati, presunzione a sua volta collegata a una valutazione di marcata pericolosità del soggetto che ha commesso uno dei reati elencati nell’articolo 4 bis.

La Consulta però osserva che il soggetto al quale è impedito l’accesso alla detenzione domiciliare sconta un presupposto negativo “rafforzato” e cioè il fatto di non trovarsi neppure nelle condizioni utili per essere affidato in prova ai servizi sociali. Una situazione, quest’ultima, che non dipende dall’entità delle soglie di pena «ma necessariamente consegue (come nel caso di specie) alla valutazione giudiziale, effettuata in concreto, che ha concluso per l’impossibilità di contenere il rischio della commissione di nuovi reati, anche ricorrendo alle puntuali e tipiche prescrizioni della misura dell’affidamento».

In definitiva, il soggetto interessato dalla preclusione oggetto delle censure della Cassazione non è solo l’autore di un determinato reato ma, in ciascun caso concreto, è persona dalla pericolosità che non può essere contenuta attraverso i presìdi tipici dell’affidamento in prova.

Con la sentenza 52, invece, la Corte considera infondata la questione posta sulla legittimità dell’inserimento nell’elenco dei reati ostativi dell’articolo 4 anche del sequestro di persona accompagnato però dall’attenuante della lieve entità del fatto.

La Consulta ricorda come la previsione di attenuanti, anche diverse da quelle della lievità del fatto, permette di adeguare la pena al caso concreto, ma non riguarda necessariamente l’oggettiva pericolosità del comportamento descritto dalla fattispecie astratta. In ogni caso, anche la concessione dell’attenuante è rilevante per la determinazione della pena proporzionata al caso concreto, mentre, nella logica del 4 bis, non risulta invece idonea a incidere, da sola, sulla coerenza della scelta legislativa di ricollegare al sequestro con finalità estorsive un trattamento più rigoroso in fase di esecuzione, indipendentemente dalla pena inflitta.

Del resto, gli elementi che giustificano il riconoscimento dell’attenuante (natura, specie, mezzi, modalità o circostanze dell’azione, oppure particolare tenuità del danno o del pericolo) non sono necessariamente in contraddizione, osserva la sentenza, con l’adesione o la partecipazione del condannato a pericolose organizzazioni criminali.

Corte costituzionale – Sentenza 52/

Corte costituzionale – Sentenza 50/2020

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