Civile

"Edipo re" di Renoir, dopo 36 anni la querelle continua

Il possesso del quadro prima del furto non basta a dimostrarne la proprietà, in assenza di un titolo originario

di Andrea Alberto Moramarco

Il dipinto "Edipo re" di Renoir resta ancora senza un proprietario certo. Questo è quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 2612/2021, che ha analizzato la contesa che vede contrapporsi la famiglia di un collezionista romano, alla quale il quadro fu rubato 36 anni fa, e un collezionista trevigiano, ultimo possessore del dipinto, per via ereditaria. Per i giudici di legittimità i derubati, che avevano vinto i primi due gradi di giudizio, hanno esperito un'azione di rivendicazione e non di restituzione personale del bene. Pertanto, il loro possesso del quadro prima del furto non basta a dimostrarne la proprietà, in assenza di un titolo originario.

Il caso
Per comprendere l'incredibile vicenda bisogna risalire al 1981, quando il quadro "Edipo Re" attribuito a Renoir veniva battuto all'asta da Sotheby's a Londra e acquistato da una società. Il dipinto finiva poi all'interno dell'abitazione di un collezionista d'arte romano, dalla quale una notte di aprile del 1984 veniva rubato, assieme a numerosi altre opere d'arte.
Dopo molti anni, la tela finiva nuovamente sul mercato antiquario italiano e veniva acquistata da una donna trevigiana, la quale prima di morire lasciava l'opera in eredità al figlio. Quest'ultimo, anch'esso collezionista d'arte, per cautelarsi aveva avvertito i Carabinieri di essere in possesso della famosa tela. Di qui le lunghe indagini delle Forze dell'ordine, nel tentativo di far luce su tutti i passaggi dell'opera d'arte, a partire dal furto compiuto presso l'abitazione romana.
Le conseguenze furono un procedimento penale per ricettazione a carico dell'ultimo possessore del quadro, con relativo sequestro dell'opera, e la richiesta nel 2010 di restituzione della tela, avanzata dagli eredi del collezionista romano nei confronti del collezionista trevigiano.
I giudici civili si esprimevano in favore degli eredi romani, risultando il quadro in questione in loro possesso prima di essere rubato. L'azione da questi esperita doveva essere, infatti, qualificata non come azione di rivendica, bensì come azione di restituzione, finalizzata cioè al recupero della refurtiva.
La palla passava così ai giudici della Cassazione, chiamati in causa dal collezionista trevigiano che sottolineava l'assenza da parte degli eredi romani di alcun titolo giustificativo del passaggio di proprietà del quadro dalla società acquirente all'asta al loro defunto padre. Ad ogni modo, secondo l'ultimo possessore, il dipinto era ormai divenuto di sua proprietà per successione o per usucapione.

L'azione è di rivendicazione e non di restituzione
La Suprema corte accoglie in parte il ricorso del collezionista trevigiano e rimette la decisione definitiva nuovamente alla Corte d'appello, che in diversa composizione dovrà chiudere l'infinta vicenda. Ebbene, secondo i giudici di legittimità il collezionista trevigiano non può invocare l'usucapione o la successione: la prima perché l'atto di citazione degli eredi romani ne ha interrotto il corso del tempo; la seconda perché manca un atto traslativo a titolo particolare che ne dia validità.
Tuttavia, il collezionista trevigiano ha ragione nel rimarcare l'assenza di un titolo giustificativo della proprietà del quadro da parte degli eredi romani. Il Collegio ritiene, infatti, che l'azione da questi esperita non sia di restituzione ma di rivendicazione. In altri termini, gli eredi romani hanno agito a tutela della proprietà e non del mero possesso del quadro. Sul punto è granitico l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, per il quale l'azione personale di restituzione «è destinata ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire» un bene che è stato in precedenza trasmesso dall'attore al convenuto in forza di negozi quali la locazione o comodato, «che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario». Essa, pertanto, è diversa e non può surrogare l'azione di rivendicazione, di cui all'articolo 948 cod. civ., che pone in capo a chi rivendica il bene un rigoroso onere probatorio, quello relativo al diritto di proprietà, che necessita di piena dimostrazione.
Sul punto i giudici d'appello hanno errato, perché hanno ritenuto irrilevante la mancanza di una prova documentale del trasferimento del dipinto dalla società acquirente all'asta al collezionista romano. E senza l'esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto, chiosa la Cassazione, non basta il possesso a fondare un valido modo di acquisto della proprietà.

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