Giustizia

«Processi troppo lunghi, l’Italia investa sugli strumenti digitali»

I gap da colmare secondo il commissario alla Giustizia Ue, oggi in Parlamento

di Beda Romano

Negli ultimi giorni, la stampa è entrata improvvisamente nel mirino di alcuni governi in Europa dell’Est, già sotto accusa per una deriva dello Stato di diritto. In una intervista con il Sole 24 Ore, il commissario alla Giustizia, Didier Reynders, 62 anni, ha espresso «crescenti preoccupazioni» sulla libertà di stampa in Europa. Alla vigilia di un suo intervento oggi in Parlamento a Roma, l’uomo politico belga ne ha approfittato anche per esortare il governo Draghi a colmare il ritardo e nominare rapidamente i delegati italiani nella nuova procura europea, chiamata a lottare contro le frodi ai danni del bilancio comunitario e del nuovo Fondo per la ripresa.

In Polonia, il governo Morawiecki ha proposto nuove e controverse imposte sulle entrate pubblicitarie. In Ungheria, la stazione radio Klubrádió è stata privata di licenza, almeno temporaneamente. In Slovenia, il premier Janez Jansa ha criticato un articolo, accusando pubblicamente una giornalista di mentire. Come valuta la situazione?

Abbiamo pubblicato in settembre il nostro primo rapporto sullo Stato di diritto nei Ventisette. Già allora abbiamo messo l’accento sulla questione della libertà di stampa, notando sia le minacce al pluralismo che gli attacchi ripetuti contro i giornalisti, al di là dei terribili assassinii avvenuti a Malta e in Slovacchia. Ho crescenti preoccupazioni su questo fronte.

Come può reagire la Commissione europea?

Ammetto che i nostri strumenti sono relativamente limitati. Possiamo accertarci che le autorità preposte alla vigilanza dei mass media siano effettivamente indipendenti e abbiano mezzi sufficienti. Possiamo anche valutare la trasparenza della proprietà per evitare concentrazioni surrettizie. Possiamo infine cercare di capire se eventuali campagne pubblicitarie non siano in realtà aiuti pubblici discriminanti, ossia a favore di specifiche aziende editoriali per esempio vicine al governo in carica.

Può essere più preciso sui casi appena citati?

Nella vicenda ungherese, stiamo valutando se la legislazione delle telecomunicazioni sia stata rispettata quanto alla gestione della licenza. Nel caso polacco, vogliamo capire se l’iniziativa fiscale non sia discriminatoria. Nella vicenda slovena, possiamo agire offrendo aiuto o expertise agli avvocati e naturalmente, nella mia veste di commissario alla Giustizia, esortando la magistratura a essere attenta a questi casi. Il secondo rapporto sullo Stato di diritto nei Paesi Ue verrà presentato in luglio, conterrà un capitolo nutrito sulla libertà di stampa che sarà poi oggetto di dibattito al Consiglio.

Non crede che dietro alle minacce alla libertà di stampa vi sia la deriva dello Stato di diritto, già in dubbio in alcuni Paesi come l’Ungheria o la Polonia, ma anche la crisi economica in cui versano molte società editoriali?

Internet sta modificando i modelli imprenditoriali. La stampa tradizionale soffre, mentre il ruolo della rete aumenta. Non sempre quest’ultima rispetta le regole deontologiche dei giornalisti professionisti. Ne siamo ben consapevoli.

A proposito delle difficoltà economiche: può Bruxelles aiutare anche in questo campo?

Prima di tutto, le attuali regole temporaneamente meno stringenti sugli aiuti di Stato possono permettere ai governi di aiutare il settore. Inoltre, i piani di rilancio, chiamati a convogliare nei Paesi membri il denaro del Fondo per la ripresa da 750 miliardi, possono, per esempio attraverso finanziamenti al digitale, sostenere questo settore.

Dopo la guerra, in Germania nacquero nuovi quotidiani. Per evitare l’influenza di azionisti ingombranti, i giornali furono gestiti da fondazioni che ancora oggi garantiscono il lavoro delle redazioni rispetto alla proprietà. Pensa che possa essere una soluzione in altri Paesi europei?

È una possibilità. L’importante è che l’autorità preposta vigili sull’indipendenza editoriale degli organi di stampa, soprattutto nei casi di concentrazioni societarie o quando vi sono campagne pubblicitarie finanziate dal pubblico, ancora una volta per verificare che non siano favoriti media vicini al governo.

Passiamo ora all’Italia. Da anni, la Commissione europea insiste per una modernizzazione del sistema giudiziario. Il governo Draghi ne ha fatto una sua priorità. Pensa che il piano di rilancio possa essere lo strumento giusto?

L’Italia deve fare i conti con processi molto lunghi, come facciamo notare con statistiche annuali. Nel civile e nel commerciale, l’iter di primo grado dura in media 520 giorni, ben più di un anno. Vi è modo di utilizzare gli strumenti digitali per migliorare la situazione. Crediamo che nei piani di rilancio bisogni investire sulla digitalizzazione della giustizia. Insisterò molto con la ministra della Giustizia Marta Cartabia su questo aspetto. D’altronde, è chiaro che gli stessi investimenti economici dall’estero sono facilitati da una giustizia che appaia equa, efficace e indipendente.

Un ultimo tema: 22 Paesi, tra cui l’Italia, hanno deciso di creare una procura europea chiamata a indagare frodi ai danni del bilancio comunitario. Ciascun Paese deve ora nominare i propri procuratori delegati. A che punto è l’Italia?

Oltre metà dei Paesi membri – 15, tra cui l’Italia – ha adottato la legislazione necessaria. Ora l’Italia deve anche nominare i propri procuratori delegati. Faccio pressione perché avvenga rapidamente. Il Paese è in ritardo. La procura non può iniziare a lavorare senza che tutti abbiano nominato almeno alcuni dei propri procuratori delegati.

È vero che l’Italia è il Paese nel quale si stima il maggior numero di potenziali indagini di frode ai danni del bilancio europeo - tra 500 e 1.000 all’anno - e che per questa ragione avrebbe il maggior numero di procuratori delegati, 20 in tutto?

Non voglio dare cifre; mi limiterò a dirle che le sue stime sono ragionevoli. Il numero di procuratori delegati è funzione del numero di casi stimati. Con la Romania, l’Italia è il Paese con il maggior numero di potenziali inchieste. Il mio obiettivo è di permettere alla nuova istituzione di iniziare a lavorare entro la fine del semestre, meglio ancora se si riuscisse tra aprile e maggio. Come detto, i Ventisette si sono dotati di un nuovo Fondo per la Ripresa da 750 miliardi. Avremo più soldi, da spendere più rapidamente e con maggiore flessibilità. La procura europea è particolarmente necessaria.

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