Penale

Per la speculazione sulle mascherine torna in auge un reato del ’76

Dispositivi di protezione generi di prima necessità come gli alimenti. Perché scatti il reato è però necessario che la condotta determini un aumento generalizzato dei prezzi

di Patrizia Maciocchi

l reato di manovre speculative per la vendita con forti rincari delle mascherine, scatta solo se i prezzi di mercato vengono alterati in modo generalizzato. Per questo non può essere condannato il titolare di una piccola impresa che vende su Amazon mascherine con un ricarico pari al 350 per cento. La Cassazione (sentenza 36929) traccia, per la prima volta, i confini di un reato dimenticato e tornato in auge in tempi di pandemia.

L’articolo 501-bis è stato, infatti, introdotto nel l ’76 (Dl 704) in tempi di austerity, per evitare le speculazioni sui prodotti petroliferi. Una norma che punisce chiunque, con manovre speculative , nell’ambito di un’attività produttiva, occulta o si accaparra materie prime e generi alimentari di largo consumo, in modo da determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno. Certamente oggi le mascherine filtranti possono essere considerate un genere di prima necessità. Il loro uso è imposto da una serie di norme e indispensabile per evitare il diffondersi del contagio.

Sono obbligatorie nella vita di relazione, come nel lavoro per tutte le attività. All’elenco va aggiunta la frequentazione dei negozi come dei mezzi pubblici. I giudici per ricordare le tensioni che si generano quando vengono a mancare generi di prima necessità, invitano a leggere il XII capitolo de «I Promessi Sposi». Passi dai quali è chiaro che la penuria di generi alimentari crea tensioni economiche. Tra i prodotti di prima necessità rientrano «tutte quelle merci, di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa». La scarsa giurisprudenza sul tema ha chiarito che nel raggio d’azione della norma rientrano solo i beni mobili e non gli immobili. Detto questo la Cassazione accoglie il ricorso contro il sequestro dei libri contabili di un imprenditore, acquisiti come prova del fumus del reato.

I giudici ricordano che si tratta di un reato “proprio” , quindi malgrado la norma attribuisca la condotta delittuosa a “chiunque”, l’azione deve essere compiuta da un soggetto che abbia operato nell’ambito di un’ attività produttiva o commerciale. E non ci sono dubbi, sul fatto che il ricorrente fosse un imprenditore e che vendesse le mascherine a prezzi altissimi. Il reato è poi di pericolo e si configura quando la condotta è utile a determinare un generalizzato aumento dei prezzi sul mercato interno. Ma sebbene l’espressione mercato interno non vada interpretata come un sinonimo di mercato nazionale, questa non può essere riferita ad un ambito «solo di vicinato». Se il bene tutelato dalla norma è l’ordine economico è evidente che questo non può essere messo a rischio da una piccola impresa che aveva un solo macchinario come mezzo di produzione.

Il reato si configura anche a carico di chi fa incetta di mascherine determinando una carenza del bene. Ma sia il rincaro sia la rarefazione devono essere, per intensità e durata, tali da determinare un’alterazione del mercato diffusa.

Diversamente qualunque momentanea penuria di merci, che comporta fisiologicamente un aumento dei prezzi, per la legge della domanda e dell’offerta, potrebbe essere tale da comportare il reato analizzato.

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