Famiglia

Legge 107/2020 e lapsus del legislatore: diritto del minore "alla sua famiglia" o "ad una famiglia"? Una buona occasione per riflettere sul diritto del minore ad una famiglia

Vi sono oggi molte situazione di affidamenti sine die o con collocamenti istituzionali prolungati che non prevedono una procedura ad hoc per offrire al minore una risorsa familiare e garantirgli stabilità del progetto di vita

di Grazia Ofelia Cesaro*


Questo interessante interrogativo ci viene dalla lettura della Legge 29 luglio 2020 n. 107, pubblicata in GU n. 214 del 28 agosto 2020. Nell'incipit di tale legge si legge "Disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia". Nella relazione introduttiva, tuttavia, viene specificato che la legge è stata pensata per applicare tutta una serie di istituti e principi volti a verificare se nel nostro Stato viene data effettività al diritto del minore alla sua famiglia. Ciò che intende accertare è se vi siano, ad esempio, modalità illegittime che agevolano l'allontanamento del minore dalla sua famiglia senza adeguate garanzie procedurali, permettendo interventi che siano lesivi del diritto del minore a crescere nella sua famiglia.

La legge istituisce, pertanto, una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori (art. 1). Ai sensi dell'art. 3 della legge in questione, detta Commissione è competente, in breve, a verificare: stato e andamento degli affidatari e delle comunità di tipo familiare, il numero di provvedimenti di allontanamento emessi dai tribunali per i minorenni a partire dal 2013 (quando è entrata in vigore la L. 10 dicembre 2012, n. 219 di riforma della filiazione), le modalità operative dei servizi sociali, l'esito dell'attuazione dei provvedimenti di allontanamento dei minori e l'effettiva temporaneità e provvisorietà degli stessi, nonché il rispetto dei requisiti strutturali e organizzativi delle comunità di accoglienza dei minori. Il punto (h) dell'art. 3, in particolare, delega la commissione a "valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nelle propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale".

All'articolo 9, inoltre, la legge interviene modificando la L. 4 maggio 1983, n. 184 (cosiddetta "Legge adozioni"), introducendo un nuovo comma 3-bis all'articolo 2 di tale legge, ai sensi del quale l'allontanamento del minore dalla propria famiglia e l'affidamento a una comunità di tipo familiare deve essere sempre deciso da un giudice, indicando espressamente le ragioni per cui si ritiene non possibile la permanenza del minore nel nucleo familiare originario e le ragioni per cui non sia possibile procedere ad un affidamento ad una famiglia. La valutazione deve quindi essere rimessa al giudice, senza eventuali interferenze da parte della comunità di accoglienza.

Sicuramente la costituzione della Commissione parlamentare è stata motivata dal clamore suscitato ed amplificato dai mass media rispetto a recenti accadimenti di cronaca sugli allontanamenti familiari, che ha alimentato pregiudizi sul sistema di accoglienza dei minori .

In questa sede, attratti dal titolo, non si vuole entrare nel merito specifico della legge, seppure molte considerazioni potrebbero essere fatte, ma limitarsi a considerare che nel nostro ordinamento sussistono principi estremamente chiari in materia di diritto del minore a crescere nella propria famiglia, venendo predisposti numerosi interventi di supporto alle famiglie in difficoltà. La stessa "Legge adozioni", adesso menzionata, si apre, all'art. 1, comma 1, statuendo che "il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia". Al comma 2 specifica che "le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia" e che "a tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto".

Peraltro, se si guardano i dati a disposizione, si noterà che l'Italia rientra tra i Paesi che utilizzano meno lo strumento – senza dubbio doverosamente di natura eccezionale – dell'allontanamento del minore dalla propria famiglia di origine.

I dati, infatti, seppur non recentissimi , ci dicono che ci sono un gran numero di minori, collocati fuori dalla propria famiglia di origine, che non vi faranno più ritorno. I minorenni fuori famiglia erano al 31 .12 2016 26.615, di cui 14.012 in affido familiare e 12.603 in strutture comunitarie. Di questi, il 62 % dei minori in affido familiare e 31,7% dei coetanei nei servizi residenziali lo sono da oltre due anni. Solo circa il 40% farà rientro nella famiglia di origine. Rispetto a tali minori, non vengono predisposti progetti di natura familiare. Ciò vuol dire che per il restante 60% vi è stata una prognosi eccessivamente favorevole rispetto alle possibilità di recupero delle capacità di accudimento e di cura della famiglia di origine. Il collocamento all'esterno, però, si è protratto a lungo, nell'ottica di un rientro poi di fatto impossibile, con la conseguenza che per molti di quei minori alcun progetto di individuazione di un nuovo ambiente familiare è stato pensato. Tali minori sono quindi condannati all'assenza di garanzie di stabilità, con ciò privandoli, come si diceva, di tutta una serie di diritti che sorgono all'interno della famiglia (il diritto ad essere mantenuto, il diritto ad essere curato, ad essere cresciuto ed educato secondo le proprie aspirazioni e inclinazioni, i diritti successori etc).

Dalla legge cui si fa qui riferimento, o meglio dal suo lapsus, sorge, quindi un interrogativo: garantisce il nostro ordinamento anche il diritto del minore alla famiglia?

Tale diritto implica garantire a un minore, che si trovi assolutamente sprovvisto di cure familiari, da un punto di vista tanto morale quanto materiale, la possibilità di crescere nell'ambito di una famiglia. E questo in quanto crescere nell'ambito di una famiglia (o, comunque, con un legame familiare, anche monogenitoriale) garantisce tutta una serie di diritti, cure e attenzioni. Parlare di tale diritto nel nostro ordinamento, peraltro, si fonda sulla stessa legge: la L. 28 marzo 2001, n. 149, infatti, ha modificato il titolo della cd. "Legge adozioni" da "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" a "Diritto del minore ad una famiglia".

Possiamo quindi ritenere che nel nostro ordinamento bisognerebbe anche al momento pensare al fatto che ciò che non viene garantito, dati alla mano, è il diritto dei minori ad una famiglia? Come affrontare tale situazione? Per tener conto dell'importanza dei legami che si sono creati nei progetti di affido l'Italia ha adottato la legge sulla c.d. "continuità affettiva" (l. 173/2015) che consente di tener conto dei "legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria" .

Questo però non basta.
Vi sono oggi molte situazione di affidamenti sine die o con collocamenti istituzionali prolungati che non prevedono una procedura ad hoc per offrire al minore una risorsa familiare e garantirgli stabilità di progetto di vita.

Non vi sono infatti elenchi di genitori disponibili a questa progettualità presso i Tribunali per i Minorenni, luogo ad avviso di chi scrive preferibile per selezione e abbinamenti data la composizione multidisciplinare, poiché non vi è la legge che permette a chi vuole dare disponibilità per un affidamento sine die con disponibilità a rendere stabile il legame con l'adozione per casi particolari ex art. 44 L.183/84 di rendere nota la sua disponibilità ed essere valutato per questo.

Eppure questo strumento potrebbe essere, per molti ragazzi magari più grandicelli per i quali non è stato pronunciato uno stato di adottabilità e vi sono solo programmi provvisori, estremamente utile se non necessario.

Non solo potrebbero accedere a questa forma di adozione, e dunque dare disponibilità, anche aspiranti genitori che non hanno i requisiti per l'adozione legittimante: per età, singoli o coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Insomma persone che hanno voglia di investire, mettersi in gioco e offrire una risorsa effettiva di stabilità.

Si tratta a mio avviso di recuperare i vecchi progetti di adozione mite che riguardavano minori dichiarati in situazione di semiabbandono permanente permettendo l'abbinamento con aspiranti genitori valutati idonei a quelle specifiche finalità.

Insomma lascerei il titolo, ma scriverei un'altra legge, in risposta alle reali esigenze dei bambini e ragazzi che sono in attesa di interventi efficaci, per poter riscrivere con colori luminosi, e senza lapsus, il loro futuro.

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*Avvocato del Foro di Milano, Presidente Unione Nazionale Camere Minorili

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