Amministrativo

Consiglio di Stato, il rilascio dell'autorizzazione unica è un interesse pretensivo

Analizzati effetti del tempo e delle sopravvenienze, giuridiche e di fatto, sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio

di Giulia Ladddaga

Recentemente il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi del delicato tema degli effetti del tempo e delle sopravvenienze, giuridiche e di fatto, sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio in relazione alla portata precettiva dei giudicati.
La vicenda sottoposta al sindacato del Collegio prende le mosse dal rilascio dell'autorizzazione unica alla realizzazione di impianti energetici da fonti rinnovabili, ai sensi dell'articolo 12 del Dlgs 387/2003. Con pronuncia in sede di appello, passata in giudicato, la Regione è stata condannata al risarcimento dei danni della società richiedente. Con il successivo giudizio d'ottemperanza, l'originaria ricorrente ha quindi richiesto il rilascio dell'autorizzazione unica da parte della Regione, oltre al pagamento delle somme già riconosciutegli come risarcimento. In sede di ottemperanza, il Tar ha accolto il ricorso con una pronuncia parzialmente riformata in appello dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato.
Con la sentenza n. 7052 del 16 novembre 2020, la Quarta Sezione ha inquadrato il rilascio dell'autorizzazione unica come un interesse pretensivo, con l'effetto che tra la conclusione del procedimento e il conseguimento del bene della vita vi è uno "spazio logico e temporale" nel quale possono inserirsi sopravvenienze di fatto e di diritto.
Secondo il Collegio, la sentenza cognitoria passata in giudicato ha prodotto un effetto istantaneo, dichiarando l'illegittimità dell'atto di diniego, ma non ha completato l'intera sequenza procedimentale, per la quale manca ancora il passaggio del formale rilascio del titolo. Nel dettaglio, in sede di merito, il Giudice di primo grado ha accertato l'avvenuta conclusione della conferenza di servizi che non è assimilabile però alla conclusione dell'iter autorizzatorio ex articolo 12, del Dlgs 387/2003, trattandosi piuttosto di un "atto istruttorio endoprocedimentale a contenuto consultivo", ben distinto dal provvedimento di autorizzazione unica che deve essere rilasciato dalla Regione successivamente.
Ne consegue che, laddove tra il momento della conclusione della conferenza e il rilascio dell'autorizzazione unica intervengano sopravvenienze fattuali o normative, l'Amministrazione ne deve tenere conto ai fini della decisione, nel rispetto del principio del tempus regit actum. Secondo il Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, è quindi legittima la richiesta della Regione, avanzata alla società richiedente, di integrare la documentazione secondo quanto previsto dalla sopravvenuta normativa in materia di VIA (Dm 30 marzo 2015). Secondo il Collegio, infatti, la richiesta avanzata dall'Amministrazione appellante non può considerarsi come una "nuova eccezione" in senso proprio, in contrasto col divieto di nova in appello, ai sensi dell'articolo 104 del Cpa. Tale divieto, peraltro non applicabile alle parti processuali diverse dal ricorrente di primo grado, assume tratti peculiari in sede di appello nel giudizio di ottemperanza, quando cioè sia in contestazione fra le parti l'esistenza o meno di margini di valutazione in capo all'Amministrazione in fase di attuazione del giudicato. In tale ipotesi, l'allegazione di nuove ragioni ostative, non coperte dalla decisione cognitoria passata in giudicato, non può considerarsi come una nuova eccezione, costituendo piuttosto una semplice argomentazione difensiva a sostegno della tesi dell'Amministrazione, ancor più se supportata da sopravvenienze normative successive al giudicato.

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