Penale

Abuso d'ufficio: una prima sentenza della Cassazione dopo la riforma

Nota a margine Sentenza Cass. Pen., Sez. Feriale Penale, 17 novembre 2020, n. 32174

di Fabrizio Ventimiglia, Francesco Vivone


Con la sentenza in oggetto la Corte di Cassazione si pronuncia per la prima volta sul delitto di abuso d'ufficio, dopo la riforma che ha interessato la fattispecie di cui all'art. 323 c.p.

L' art. 23 del Decreto Legge n. 76/2020, emanato lo scorso 16 luglio, ha modificato il reato previsto e punito dall'art. 323 c.p., apportando rilevanti modifiche alla fattispecie in questione, nella convinzione – esplicitata dal Presidente del Consiglio dei Ministri- che "la ripresa del Paese possa essere agevolata soltanto mediante un allentamento delle responsabilità degli amministratori pubblici".

Questa, in sintesi, la vicenda processuale.
La Corte d'Appello di Cagliari confermava la condanna emanata dal locale Tribunale nei confronti di un Sindaco che aveva assunto la presidenza del Consiglio comunale nonostante in tale seduta si sarebbe dovuto discutere, tra gli altri temi all'ordine del giorno, anche la mozione presentata dai consiglieri di minoranza finalizzata a sollecitare la costituzione di parte civile del Comune in un procedimento penale nel quale lo stesso Sindaco era imputato.
Secondo la ricostruzione del Tribunale, condivisa dal Giudice di secondo grado, Il locale amministratore cagionava ai consiglieri di minoranza l'ingiusto danno consistito nella mancata deliberazione sulle richieste oggetto della mozione, omettendo di astenersi in presenza di un proprio interesse e anzi decidendo di sospendere e sciogliere la seduta del Consiglio.

L'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione lamentando vizio di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso per manifesta infondatezza delle censure proposte, coglieva l'occasione per elaborare alcune riflessioni in merito alle modifiche apportate alla disciplina dell'abuso d'ufficio dalla recente riforma.

Il Decreto semplificazioni ha apportato modifiche al testo dell'art. 323 c.p. sostituendo le parole "in violazione di norme di legge o di regolamento" con le parole "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalle legge o da atti aventi forza di legge e delle quali non residuino margini di discrezionalità".

In conseguenza della modifica in parola, l'abuso d'ufficio viene fortemente ridimensionato e conseguentemente viene ristretto l'ambito di tutela penale del bene giuridico tutelato, la Pubblica Amministrazione.

In particolare è stata esclusa la rilevanza penale della violazione di norme contenute in regolamenti: l'abuso potrà, infatti, essere integrato solo dalla violazione di fonti primarie, cioè "regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge".

Pare opportuno sottolineare che rileva la sola inosservanza di regole di condotta "specifiche" ed "espressamente previste" dalle citate fonti primarie, escludendo che la violazione di principi generali possa integrare il reato di cui all'art. 323 c.p..

L'ambito applicativo è infine ulteriormente circoscritto alle sole regole di condotta "dalle quali non residuino margini di discrezionalità" del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.

Per quanto attiene quest'ultimo aspetto, la riforma è intervenuta statuendo la disciplina per le ipotesi di eccesso di potere.

Sull'argomento si era, come noto, pronunciata con parere differente la Cassazione a Sezioni Unite affermando che "sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione" (Cass. Sez. Un. 29 settembre 2011, n. 155).

La novella, dunque, coerentemente con la volontà di limitare la responsabilità degli amministratori pubblici, interviene chiarendo definitivamente la non configurabilità della fattispecie de qua ai casi di sviamento di potere.

Per quanto attiene ai profili di applicazione temporale, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, sottolinea che per effetto delle novità descritte e, nel rispetto dei principi di cui all'art. 2 comma 2 c.p., la restrizione della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. è applicabile retroattivamente alle condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore della riforma.
Con riferimento al caso oggetto di ricorso, i Giudici concludono rigettando le doglianze dell'imputato, sottolineando la "totale ininfluenza" della riforma nel caso di specie; alla luce di quanto ricostruito, tale riforma non incide infatti in alcun modo sul dovere di astensione in caso di conflitto di interessi del pubblico ufficiale o di un suo prossimo congiunto.

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