Civile

Autodichia del Parlamento anche sulle pensioni di reversibilità dei vitalizi

Vale per le controversie sull'entità del trattamento di reversibilità del vitalizio per la "vedova" del parlamentare

di Pietro Alessio Palumbo

Per "autodichia" s'intende la capacità di una istituzione ed in particolar modo degli organi costituzionali che siano già muniti di autonomia organizzativa e contabile, di decidere direttamente, con giudizio dei propri stessi organi, ogni controversia attinente all'esercizio delle funzioni senza che istituzioni giurisdizionali "esterne" possano esercitare controlli su atti e sindacati di sorta. A ben vedere i suddetti organi svolgono un'attività "obiettivamente" giurisdizionale, che li legittima persino a sollevare questioni di legittimità costituzionale ovvero a promuovere regolamento preventivo di giurisdizione dinanzi alla Corte di Cassazione. Ebbene con la recente ordinanza delle Sezioni Unite n.25211/2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che in deroga alla "grande regola" dello Stato di diritto per cui tutti i beni giuridici e tutti i diritti soggiacciono alla giurisdizione del giudice ordinario, anche le controversie relative all'entità del trattamento di reversibilità del vitalizio alla "vedova" del parlamentare defunto, spettano alla cognizione degli organi di autodichia della Camera di appartenenza dell'ex parlamentare. Ciò in quanto il trattamento in questione ha – in ogni caso - la sua fonte nelle garanzie parlamentari.

Fondamento costituzionale e "giurisdizione domestica"
Vi sono ipotesi di autodichia che trovano diretto fondamento nella Costituzione, cui si accompagna la speculare carenza assoluta di giurisdizione dei giudici ordinari ed amministrativi, come quella prevista dalla Carta laddove attribuisce a ciascuna Camera il potere di giudicare le cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei suoi membri. Per altre forme di autodichia il fondamento nella Costituzione è invece indiretto, come accade per la "giurisdizione domestica" sulle controversie di impiego dei dipendenti del Parlamento, della quale entrambe le Camere si sono munite adottando appositi regolamenti "minori".

Esercizio del mandato e vitalizio
Segnatamente gli assegni vitalizi dovuti a favore dei parlamentari in dipendenza della cessazione dalla carica si collegano all'indennità di carica goduta nell'esercizio del mandato parlamentare. Tale indennità nei suoi presupposti e nelle sue finalità ha sempre assunto nella disciplina costituzionale e ordinaria connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego. Si è rimarcato che la sua attribuzione ai membri del Parlamento è finalizzata a sostenere il libero svolgimento del ruolo. Dal che i membri del Parlamento ricevono l'indennità a garanzia: dei principi di libertà di scelta dei propri rappresentati da parte degli elettori; dell'accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza; del libero esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato.

A utonomia post-mandato e controversie "post-mortem"
Ebbene se il vitalizio rappresenta la proiezione economica dell'indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato, può dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima logica di superamento degli impedimenti economici all'accesso alle cariche di rappresentanza democratica del Paese. In questo quadro anche se la disciplina sostanziale dell'indennità parlamentare e dell'assegno vitalizio sono rinvenibili in fonti differenti, visto che solo per l'indennità è prevista la riserva di legge, è indiscutibile che entrambi gli istituti rientrino nell'ambito della normativa da qualificare come di "diritto singolare" che si riferisce al Parlamento nazionale e ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto "speciale" loro riconosciuta. La derivazione dell'assegno vitalizio dall'indennità parlamentare esclude che rispetto alle controversie relative al diritto all'assegno vitalizio dell'ex parlamentare e alla relativa entità, l'ex parlamentare possa essere considerato "soggetto terzo" solo perché la sua carica è cessata. A ben vedere i fondi per la corresponsione dell'indennità parlamentare e quindi per gli assegni vitalizi e per i conseguenti trattamenti di riversibilità vengono presi dalla disponibilità annua che le Camere hanno a disposizione. Inoltre non sono stabiliti importi precisi per l'indennità parlamentare e per gli altri trattamenti che da essa derivano, ma solo dei tetti massimi. Segnatamente l'Inps non ha alcuna competenza e alcun rapporto con i vitalizi dei parlamentari e quindi i trattamenti di reversibilità conseguenti hanno una disciplina propria, diversa da quella dei trattamenti di reversibilità in genere. Pertanto la derivazione degli assegni vitalizi dall'indennità parlamentare comporta che le controversie relative alle condizioni di attribuzione di tali assegni, al pari di quelle relative all'indennità parlamentare, non possano che essere decise dagli organi dell'autodichia, la cui previsione risponde alla indicata finalità di garantire la speciale autonomia del Parlamento. In base ai medesimi principi, anche per le controversie nelle quali si discute la misura dell'assegno di reversibilità del vitalizio erogato all'ex parlamentare - poi deceduto - non può che affermarsi la sussistenza dell'autodichia del Parlamento.

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