Civile

Abrogazione IRBA: la controversa questione dei rimborsi per gli anni precedenti al 2021

La legge di Bilancio 2021 ha abrogato - a decorrere dal 1° gennaio 2021 - tutte le norme afferenti all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (c.d. I.R.B.A.), facendo salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. Tale limitazione temporale, comporta un limite alla richiesta di rimborso dell'indebito per gli anni precedenti al 2021 e si pone, dunque, in contrasto con la normativa comunitaria che ha ritenuto illegittima l'imposta de qua.

di Maurizio Villani, Antonella Villani*

Considerazioni introduttive
L'art. 1, comma 628, L. 30.12.2020, n. 178 (Legge di Bilancio 2021), con decorrenza dal 01.01.2021, ha abrogato tutte le norme afferenti all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

Al fine di comprendere appieno la questione e gli effetti di tale norma abrogativa, giova preliminarmente procedere ad un breve inquadramento normativo dell'imposta de qua.

Sul presupposto che la Legge 158/1990, con l'art. 1 ha previsto che "l'autonomia finanziaria delle regioni è garantita da a) tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere tutte le funzioni normali compresi ei servizi di rilevanza nazionale.", è stata introdotta l'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (I.R.B.A), con il D.Lgs. n. 398/1990 , ove è stato statuito che "Le Regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive Regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva", prevedendo al contempo la possibilità per l'Ente territoriale di fissare una specifica aliquota.

A partire dall'istituzione di tale forma di imposizione, le Regioni avevano introdotto apposite leggi regionali istitutive della stessa. In via generale, l'imposta regionale gravava sulla benzina (che risultava già assoggettata ad accisa) e doveva essere versata direttamente dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera unica fornitrice del suddetto impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna regione dagli impianti di distribuzione di carburante.

Le modalità ed i termini di versamento, nonché le sanzioni, erano stabilite da ciascuna regione con propria legge. Ad esse era altresì attribuita la facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell'imposta nonchè di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all'organo competente per l'accertamento.

Come precisato all' articolo 3, comma 13, della citata legge n. 549/1995, l'accertamento e la liquidazione dell'imposta regionale erano di competenza degli Uffici tecnici di Finanza dell'Agenzia delle Dogane che applicavano il D.Lgs. n. 504/1995 (c.d. T.U.A.).

Da quanto sin qui delineato, emerge che l'IRBA ha avuto una struttura analoga a quella dell'accisa laddove, oltre a colpire la vendita di una particolare categoria di prodotti di consumo, in base alla quantità e non al valore, prevedeva che la fase della riscossione di tale imposta fosse affidata all'Agenzia delle dogane e dei Monopoli.

Tanto chiarito, come accennato in premessa, l'articolo 1 della Legge 30.12.2020, n. 178, recante il "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021/2023" (Legge di Bilancio 2021), ha disposto l'abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2021, di tutte le norme afferenti all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.

A riguardo, si precisa che la relazione illustrativa che accompagna il testo della Legge di Bilancio 2021, ha evidenziato che il tributo in questione risultava applicato in un numero assai limitato di regioni e in modo frammentario, con aliquote diversificate, essendo una facoltà di ogni regione disciplinare autonomamente la materia, conseguendone una gravosa gestione dal punto di vista amministrativo e un numero esorbitante di contenziosi tra l'Amministrazione finanziaria e gli operatori del settore della distribuzione dei carburanti.

In particolare, il citato articolo 1, commi 628-630, rubricati "Soppressione IRBA", così dispone.
" 628. L'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l'articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l'articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l'articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l'articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.
629. Le regioni a statuto ordinario provvedono ad adeguare la propria normativa alle disposizioni del comma 628.
630. Ai fini del ristoro delle minori entrate delle regioni interessate è istituito un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione di 79,14 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021, da ripartire con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano".

Più nel dettaglio, ai fini del coordinamento normativo, il comma 628 cit. sopprime le norme in materia di:
• modalità di gestione del tributo, in particolare sul versamento alla regione da parte del concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera (articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549);
• determinazione della misura massima degli aumenti dell'IRBA (articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 nonché articolo 1, commi 670, lettera a) e 671 della legge 27 dicembre 2006, n. 296);

invece, l'ultimo periodo del comma 628 fa salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte mentre il successivo comma 629 stabilisce che le regioni a statuto ordinario sono tenute ad adeguare la propria normativa, provvedendo alla soppressione dell'imposta in esame. Proprio in virtù di quanto disposto dal citato comma 629, con nota n. 24479 del 22 gennaio 2021, l'Agenzia delle Dogane ha comunicato che alcune regioni (Piemonte, Calabria, Lazio e Molise), in ottemperanza al dato normativo citato, hanno già provveduto all'abrogazione dell'imposta e che le altre regioni, invece, stanno adeguando le rispettive normative regionali.

A riguardo, si riportano schematicamente le Regioni che hanno previsto l'applicazione dell'IRBA, il periodo di vigenza della stessa e la relativa normativa regionale di riferimento .

La procedura di infrazione Ue

Un'annosa questione in tema di IRBA, è stata certamente la contestata illegittimità dell'imposta per contrasto con il diritto unionale, ai sensi dell'art.1, par. 2 della Direttiva 2008/118/CE, recepita nell'ordinamento nazionale con D.Lgs. 29/3/2010 n. 48, che prevede che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica. Detta questione è stata oggetto di una procedura di infrazione (1) avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia appunto sull'illegittimità delle addizionali.

Più nel dettaglio, l' articolo 1, par. 2, della direttiva Accise 2008/118/CE del Consiglio dell'Unione Europea, del 16 dicembre 2008 (relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE) così statuisce:

"gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta".

Dal tenore letterale della citata direttiva emerge la possibilità per gli Stati membri di applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'IVA in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta.

In altri termini, gli Stati possono certamente prelevare altre imposte indirette sui prodotti sottoposti già ad accisa (come la benzina), ma tale facoltà è attivabile solo se vengono rispettate due condizioni:
•l'imposta deve essere riscossa per fini specifici;
•l'imposta deve essere conforme alla normativa comunitaria in materia di accise o di imposta sul valore aggiunto.

Per tali ragioni, la Commissione Europea con la decisione 2017/2114 del 19 luglio 2018, ha avviato nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione con contestuale atto di costituzione in mora con cui ha intimato l'abolizione delle imposte regionali sui carburanti applicate sul suo territorio.

A tale proposito, secondo la Commissione Europea, con riferimento all'IRBA, le condizioni di cui al succitato art. 1, par. 2, della direttiva Accise 2008/118/CE del Consiglio dell'Unione Europea, non appaiono soddisfatte, in particolare perché non è stato individuato un fine specifico dell'imposta de qua che, in coerenza con il disposto della Corte di Giustizia dell'Ue, deve essere individuato nell'esecuzione di attività volte alla "riduzione dell'impatto ambientale dei combustibili liquidi o a una qualche finalità di salute pubblica riconnessa al consumo di carburante". In particolare, secondo la Commissione "l'Irba non ha finalità specifiche ma unicamente di bilancio, contravvenendo quindi alle norme dell'UE (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sul regime generale delle accise 2008/118/CE del Consiglio). Perciò se l'Italia non si attiverà entro due mesi, la Commissione potrà inviare un parere motivato alle autorità italiane".

A fronte della mancata ottemperanza a tali moniti, la Commissione, con nota prot. C (2019) 8232 del 27/11/2019, ha ribadito la contrarietà dell'imposta alla normativa Ue, invitando l'Italia a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi, pena l'istaurazione di un giudizio innanzi alla Corte di Giustizia con il rischio di vedere irrogate pesanti sanzioni pecuniarie. Di conseguenza, con la soppressione del tributo, si è chiusa la controversia tra Italia e Commissione Ue.

*A cura degli avv.ti Maurizio Villani, Partner 24 ORE Avvocati e Antonella Villani - Studio Legale Tributario Villani

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(1) Per maggiore completezza, si evidenzia che a procedura d'infrazione costituisce uno strumento per garantire il rispetto e l'effettività del diritto dell'Unione. La decisione relativa al suo avvio è di competenza esclusiva della Commissione, la quale, esercitando un potere discrezionale, può agire su denuncia di privati, sulla base di un'interrogazione parlamentare o di propria iniziativa.
La procedura d'infrazione consta di una fase "Pre-contenzioso" (art. 258 del TFUE) e di una fase "Contenzioso" (art. 260 del TFUE).
La fase del c.d. "precontenzioso" ex art. 258 del TFUE prende avvio quando l'organo eurounitario rileva la violazione di una norma UE. In tal caso la Commissione europea procede all'invio di una "lettera di messa in mora", concedendo allo Stato un termine di due mesi entro il quale presentare le proprie osservazioni. La violazione contestata può consistere nella mancata attuazione di una norma europea oppure in una disposizione o in una pratica amministrativa nazionali che risultano con essa incompatibili.
La procedura d'infrazione è avviata nei confronti di uno Stato membro in quanto tale, indipendentemente dalla circostanza che l'autore della violazione sia un organo costituzionale, una giurisdizione, un ente territoriale o un soggetto di diritto privato controllato dallo Stato.
Qualora lo Stato membro non risponda alla lettera di messa in mora nel termine indicato oppure fornisca alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest'ultima può emettere un parere motivato con il quale cristallizza in fatto e in diritto l'inadempimento contestato e diffida lo Stato a porvi fine entro un dato termine.
Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato in questione (art. 258 Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, par. 2).
Conclusa la fase del cd. "precontenzioso", inizia la fase del c.d. "contenzioso"; tale fase è diretta ad ottenere dalla Corte l'accertamento formale, mediante sentenza, dell'inosservanza da parte dello Stato di uno degli obblighi imposti dall'Unione.

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