Penale

Prestazioni sportive nei paesi a fiscalità privilegiata e reato di dichiarazione infedele

Con la sentenza n. 29095/2020, la Terza Sezione della Cassazione Penale offre interessanti spunti di riflessione sui rapporti tra la nozione di residenza fiscale e la fattispecie di dichiarazione infedele

di Mattia Miglio, Pier Antonio Rossetti


Nel caso in commento, all'odierno imputato (un ex calciatore di serie A) veniva appunto contestata la violazione dell'art 4 D.Lgs. 74/2000 per non aver dichiarato in Italia i redditi percepiti per le prestazioni sportive rese in un paese a fiscalità privilegiata nelle annualità dal 2014 al 2017; nell'ambito del procedimento, peraltro, veniva emesso decreto di sequestro preventivo - confermato dal Tribunale del Riesame - per un importo pari a circa 5.800.000 Euro di imposte dirette evase.

Come si può leggere nelle motivazioni, la Suprema Corte - nel confermare l'ordinanza impugnata - si sofferma in prima battuta sulla nozione di residenza fiscale, rilevando, in prima battuta, che tale concetto "richiama un criterio sia formale (iscrizione nell'anagrafe) che sostanziale (residenza fiscale effettiva, fondata tra l'altro sui legami familiari, sugli interessi economici, sulle movimentazioni di denaro)" (p. 3), per poi esaminare anche "la Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra la Repubblica italiana e gli Emirati Arabi Uniti, che - riprendendo il Modello OCSE di Convenzione - indica quali criteri debbano esser valutati per verificare quale Paese debba ritenersi di effettiva residenza del soggetto, e quale debba invece rinunciare al proprio potere impositivo: criteri (non alternativi) che sono stati così individuati 1) nel possesso di un'abitazione permanente, 2) nel centro degli interessi vitali (da intendersi quale luogo nel quale sono più stringenti le relazioni personali ed economiche, familiari, sociali, occupazionali, politiche, culturali ed altro) e 3) nel luogo in sui si soggiorna abitualmente, in termini affini alla nozione di residenza di cui all'art. 43 cod. civ." (p. 4).

Sulla scorta di tali dati normativi, pertanto, la pronuncia conferma le conclusioni a cui era pervenuta l'ordinanza impugnata, la quale aveva "preso in esame tutte le annualità coinvolte e - una ad una - (aveva ndr) analiticamente riportato tutti gli indici che legavano il ricorrente al territorio italiano, con particolare riguardo al versamento di contributi per collaboratori domestici, ai numerosi rapporti finanziari correnti, alla proprietà di autoveicoli e motoveicoli, alla titolarità di immobili ed utenze in Lecce ed a Roma, alle rilevanti spese sostenute (ammontanti sempre a numerose centinaia di migliaia di euro), alla stipula di contratti immobiliari (e senza poter valutare la possibile firma preventiva evocata nel ricorso) [...] e (aveva ndr) esaminato la frequentazione degli istituti scolastici da parte dei figli del ricorrente, verificandone i periodi effettivi e controllando al riguardo anche i timbri di ingresso ed uscita dagli Emirati Arabi; analoga dettagliata verifica, inoltre, (era ndr) contenuta nell'ordinanza quanto ai periodi di formale residenza all'estero degli stessi familiari". (pp. 4-5)

A valle di tali elementi, pertanto, l'ordinanza aveva concluso "assumendo che (omissis) aveva mantenuto effettivo e sostanziale domicilio in Italia per almeno 183 giorni in ciascuno degli anni coinvolti, sì da doversi confermare l'ipotesi accusatoria di cui all'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000, nei termini dell'omessa dichiarazione dei redditi percepiti negli Emirati Arabi Uniti" (p. 5), senza che potessero assumere alcuna rilevanza le circostanze - sollevate dalla difesa - secondo le quali il calciatore aveva preso stabile residenza all'estero, disponendo di un'abitazione e di un'autovettura privata con patente di guida rilasciata negli Emirati Arabi Uniti.

Da ultimo, la pronuncia dedica qualche passaggio ai profili della c.d. doppia imposizione; in particolare, pur concludendo che tale aspetto non assume rilevanza nella fase cautelare ("nell'ipotesi di un provvedimento cautelare [...] quello che viene in rilievo è il fumus del reato", cfr. p. 6) e pur rilevando che tale profilo non è stato prospettato dalla difesa, la pronuncia rileva che il pagamento delle imposte nel paese a fiscalità c.d. privilegiata costituisce "presupposto [...] indispensabile per l'applicazione della Convenzione che mira ad evitare - appunto - le doppie imposizioni" (p. 5).

La residenza fiscale deve essere quindi "sostanziale" ed "effettiva". Non solo formale.

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