Occorre potenziare la mediazione per una giustizia civile più efficiente
Uno studio condotto da Leonardo D’Urso (esperto scientifico Cepej) conferma l’effetto deflattivo prodotto dal primo incontro
Con l’avvio delle attività del nuovo Governo e nel solco dell’invito del presidente Mario Draghi ad avere il «coraggio delle visioni», ha ripreso la ribalta il tema della riforma della giustizia civile.
Una riforma ritenuta da tutti necessaria essendo ampiamente diffusa la consapevolezza della grave quanto inaccettabile lentezza del percorso giurisdizionale: i ritardi registrati costantemente ormai da qualche lustro valgono quasi un punto di Pil all’anno, secondo quanto precisato da Draghi già nel 2011 quando era Governatore della Banca d’Italia e come oggi rilevato anche da uno studio comparativo condotto dall’Encj, la Rete europea dei Consigli della magistratura, tra Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Irlanda e Lituania.
Peraltro, l’accesso alle risorse del Next Generation Eu è condizionato dal piano di riforme che include l’esigenza prioritaria di rendere efficiente la risposta di giustizia: occorre dunque individuare gli obiettivi e immaginare soluzioni innovative per un impatto positivo immediato e che nel medio-lungo periodo siano in grado di disegnare un sistema che, nella sua complessità, sia equilibrato e sostenibile.
In questa prospettiva un particolare interesse assume un recente studio condotto da Leonardo D’Urso (esperto scientifico del Cepej) sui dati raccolti dal ministero della Giustizia al fine di valutare l’efficacia della mediazione. Il dato di partenza è il numero di cause iscritte nel 2019 nei tribunali (con riferimento alla macro-categoria del civile ordinario) che sono state poco più di mezzo milione. Ciò posto, le materie per le quali è prevista la partecipazione obbligatoria all’incontro di mediazione è pari al 15% delle iscrizioni, mentre sono quasi l’87% le mediazioni proseguite con il consenso delle parti raccolto durante il primo incontro, non senza considerare che il trend degli accordi negli ultimi cinque anni è cresciuto sino a sfiorare il 50 per cento. Peraltro, diversi indicatori evidenziati nello studio confermano l’effetto deflattivo prodotto dal primo incontro di mediazione pari al 20% (dopo il primo anno) che nel tempo ha raggiunto la media di circa il 40% con punte fino al 50% in alcune materie quali i diritti reali e l’usucapione.
In questo contesto, una vera best practice è il progetto «Giustizia semplice» che costituisce un laboratorio di ricerca avviato dall’Università di Firenze presso il Tribunale fiorentino (responsabile la professoressa Paola Lucarelli, presidente della Scuola di Giurisprudenza) che comprova l’efficacia della mediazione applicata anche alle liti pendenti. L’affiancamento di giovani esperti ai giudici per la selezione delle cause da avviare alla mediazione ha prodotto infatti risultati di notevole interesse: 500 processi estinti dopo l’invio in mediazione nell’arco di tempo di 11 mesi; decremento del carico giudiziario nelle sezioni interessate dal progetto pari a oltre il 63% (dato del 2019 rispetto al 2017); durata media dei processi ridotta da 480 giorni (fine 2017) a 297 giorni (fine 2019).
Questi risultati trovano autorevole sostegno nelle parole pronunciate per l’inaugurazione dell’anno giudiziario dal Primo presidente della Cassazione Pietro Curzio il quale, nell’affrontare il tema della riforma della giustizia civile, ha invocato l’intervento del legislatore «per prevenire la sopravvenienza di un numero patologico di ricorsi, mediante forme di risposta differenziate rispetto a quelle tradizionali in grado di giungere alla definizione del conflitto senza percorrere necessariamente i tre gradi di giurisdizione». E in questa prospettiva il presidente Curzio ritiene che debba essere valorizzata la mediazione «nelle sue molteplici potenzialità», segnalando a tal fine il lavoro del Tavolo tecnico per le procedure stragiudiziali istituito dal ministro della Giustizia nel dicembre 2019 e ponendosi in piena sintonia con le riflessioni svolte in quella sede.Il potenziamento dei sistemi ri-conciliativi - secondo la visione prospettata dall’allora presidente della Consulta Marta Cartabia, ora alla guida del dicastero di via Arenula - può costituire una scelta strategica: partendo da obiettivi comuni è possibile creare percorsi condivisi adottando soluzioni per la coesione sociale e per la competitività del sistema economico verso quella “nuova ricostruzione” del Paese indicata dal presidente Draghi.