Amministrativo

Appunti costituzionali sul nuovo "Decreto Ministeri" del Governo Draghi

L'impiego della decretazione d'urgenza e i profili attinenti al riparto di competenze fra Stato, Regioni ed enti locali

di Davide De Lungo *


Premessa

In questi giorni, è all'esame della Camera il disegno di legge recante "Conversione in legge del decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri".

Il c.d. "Decreto Ministeri" chiama in causa una serie di profili costituzionali che è opportuno analizzare.

Più in particolare, soffermerò l'attenzione in primo luogo sull'impiego della decretazione d'urgenza; poi, sul tema del riparto di competenze fra Stato, Regioni ed enti locali; infine, su alcuni aspetti attinenti al merito del decreto.

L'impiego della decretazione d'urgenza

Cominciando dalla scelta dello strumento, sono sufficienti davvero poche battute per evidenziare come l'impiego della decretazione d'urgenza non sollevi dubbi di costituzionalità. Come noto, la riserva di legge contenuta nell'articolo 95, comma 3, Cost., analogamente alle altre riserve che si trovano nella Carta, è intesa per giurisprudenza pacifica come una "riserva di atto" e non come una "riserva d'organo": vale a dire che essa può essere assolta, in modo equipollente, sia da leggi formali adottate dal Parlamento, sia da atti aventi forza di legge del Governo, cioè decreti legislativi e decreti-legge. Tale conclusione non è stata posta in discussione nella prassi: basti pensare, da un lato, alla circostanza che la disciplina generale dell'organizzazione e delle funzioni dei Ministeri è contenuta in un decreto legislativo, il n. 300 del 1999; dall'altro lato, al fatto che molti dei più recenti interventi di riorganizzazione sono stati disposti proprio con decreto-legge (ad esempio, i decreti-legge nn. 86 del 2018, 104 del 2019, 1 del 2020). Peraltro, la riallocazione delle funzioni e delle dotazioni è assai frequente in concomitanza con l'insediamento di nuovi Governi, evidentemente intenzionati a precostituire un'architettura istituzionale coerente con obiettivi e ambiti d'intervento del proprio indirizzo politico.

Non mi sembra neppure che possa contestarsi la sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza. Emerge, infatti, in modo abbastanza nitido come la riforma dei Ministeri sia volta a creare una certa simmetria fra articolazione dei dicasteri e missioni dei fondi di Next Generation EU, nella prospettiva impellente di implementare e attuare – entro le tempistiche dettate in sede europea – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La finalità in parola sembra soddisfare quanto prescritto dall'art. 77 Cost. Si segnala, a ogni modo, l'opportunità di valutare quanto osservato dal Comitato per la legislazione, in merito al numero dei provvedimenti attuativi richiesti.

Profili attinenti al riparto di competenze fra Stato, Regioni ed enti locali

Non si pongono particolari problemi neppure per quanto riguarda i profili relativi al riparto di competenze fra Stato, Regioni ed enti locali, o ai congegni per declinare il principio di leale collaborazione.

Il decreto-legge in esame, in via generale, è espressione della competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione.

Con riferimento alle attribuzioni specifiche dei singoli Ministeri sussiste invece senz'altro – per utilizzare una formula coniata dalla giurisprudenza costituzionale - un "intreccio inestricabile" di competenze dei diversi livelli di Governo: penso, fra le molte, alle competenze esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza, di rapporti internazionali e con l'UE, di tutela dell'ambiente e dei beni culturali; penso, poi, alle potestà concorrenti in materia di governo del territorio, energia e grandi reti di trasporto e navigazione; penso, infine, alla materia del turismo, qualificata come residuale in diverse pronunce della Consulta, la più nota delle quali è probabilmente la sentenza n. 80 del 2012 .

Anche sul versante delle funzioni amministrative, l'art. 118 Cost. prefigura un riparto che ben può coinvolgere lo Stato per le funzioni di programmazione e coordinamento, Regioni ed enti locali per l'attuazione.

Ebbene, da questo punto di vista mi sembra anzitutto di poter dire che il decreto-legge operi in una logica piuttosto conservativa dell'assetto esistente, realizzando uno spacchettamento di funzioni che per esplicita previsione – che si ritrova sia per il Ministero della transizione ecologica che per il Ministero del Turismo – non incide sul riparto vigente di competenze fra Stato e Regioni.

Ad ogni modo, il decreto prevede adeguate forme di raccordo, idonee ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione, che secondo la Corte costituzionale deve "governare" i casi d'intreccio fra materie.

In particolare, per quanto riguarda l'ambito del digitale è disposto un "raccordo organizzativo": alle riunioni del Comitato interministeriale per la transizione digitale, ove vi siano all'ordine del giorno materie che interessano le Regioni e le Province autonome, partecipano infatti il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome o un presidente di Regione o di Provincia autonoma da lui delegato e, per i rispettivi ambiti di competenza, il presidente dell'ANCI e il presidente dell'UPI. Apprezzabile il coinvolgimento delle istanze rappresentative degli enti locali, che denota una certa sensibilità per il sistema delle autonomie complessivamente inteso.

Per quanto riguarda invece la transizione ecologica è previsto un raccordo di tipo procedimentale: il Piano per la transizione ecologica, cioè la strategia complessiva definita dal Comitato interministeriale ad hoc, è infatti sottoposto al parere della Conferenza Unificata, anche qui con una pregevole considerazione delle istanze non solo delle Regioni ma anche degli enti locali. Giova precisare che l'opzione di contemplare l'acquisizione del parere trova un fondamento anche nella recente sentenza n. 78 del 2018 , in cui la Corte ha censurato il mancato coinvolgimento decisionale delle Regioni in relazione all'approvazione del Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile e all'emanazione del decreto ministeriale attuativo.

In definitiva, entrambi i raccordi – sia per il digitale che per la transizione ecologica – appaiono consoni al numero e all'intensità delle competenze statali e regionali coinvolte. Può forse suggerirsi di valutare la partecipazione ai due Comitati del Ministro per gli affari regionali, in virtù della funzione istituzionale di diaframma fra Stato e autonomie che questo svolge. Da valutare, inoltre, le linee di riforma che lo statuto dell'Agenzia nazionale del turismo dovrà seguire, per assicurare l'adeguato coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali. Va infine considerata l'opportunità di assicurare la partecipazione stabile ai tavoli anche al Ministro per il Sud e la coesione territoriale, coinvolto sotto plurimi ed evidenti profili.

Osservazioni sul merito della disciplina

Venendo, infine, al merito dell'atto normativo, vorrei soffermarmi su tre aspetti.
Il primo aspetto riguarda il "modello" prescelto dal decreto in esame, che si muove nel solco delineato nella prassi: spacchettamento di funzioni fra Ministeri e passaggio delle relative dotazioni finanziarie e di organico; avvalimento degli uffici in via transitoria fra struttura entrante e struttura uscente; l'utilizzo del DPCM per la disciplina attuativa dell'organizzazione.

Con riguardo all'impiego dei DPCM, mentre questo appare lo strumento fisiologico per l'organizzazione interna alle strutture della Presidenza del Consiglio, qualche perplessità in più si pone – come evidenziato anche dal Comitato per la legislazione – rispetto all'organizzazione degli altri Ministeri. In particolare, la "regola generale" posta in tema dall'art. 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988 è quella d'impiegare regolamenti delegificati. Tale regola, sebbene pacificamente derogabile (e anzi, molto spesso derogata) da successive fonti primarie, risponde all'esigenza di rimettere la determinazione collegialmente al Consiglio dei Ministri, con il parere del Consiglio di Stato e il controllo in sede di emanazione da parte del Presidente della Repubblica. Il DPCM previsto dal decreto in esame, invece, deroga a questo schema, perché si rende facoltativo il parere del Consiglio di Stato e soprattutto si esclude l'intervento del Capo dello Stato, in quanto l'atto, sia pur previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta dei Ministri interessati, è adottato con decreto del Presidente del Consiglio e non con decreto del Presidente della Repubblica.

Non è inutile rammentare che ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. ii) della legge n. 13 del 1991, tutti gli atti per i quali è intervenuta la deliberazione del Consiglio dei Ministri sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica; benché si tratti, anche qui, di una disposizione derogabile, essa tuttavia è espressione di un principio generale, in base al quale gli atti imputabili al Governo nel suo complesso devono trovare sugello in atto presidenziale.

Un secondo aspetto, da passare rapidamente in rassegna, riguarda la eventuale violazione del divieto di ripristino delle norme abrogate per via referendaria: come noto, il Ministero del Turismo cessò di essere un dicastero autonomo in forza del referendum del 15 aprile 1993. In proposito, ritengo che questa eventuale obiezione sia superabile: infatti, pur ove si volessero ritenere sovrapponibili i principi ispiratori e i contenuti delle due normative, può senz'altro argomentarsi che si siano avverate le condizioni al cui verificarsi la Corte costituzionale (nella celebre sentenza n. 199 del 2012 ) pare considerare non illegittimo il ripristino, cioè il trascorso di un apprezzabile lasso di tempo e la sopravvenienza di mutamenti di fatto o di diritto idonei a giustificare la scelta del legislatore.

Infine, a mio avviso deve salutarsi con favore il trasferimento delle competenze relative al Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, e dunque delle risorse connesse, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla Presidenza del Consiglio, e, al suo interno, al Ministro delegato per la famiglia ove nominato.

Tale trasferimento è coerente con l'attribuzione alla Presidenza del Consiglio delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche di infanzia e adolescenza: si ristabilisce così un più appropriato parallelismo fra poteri, funzioni e risorse. Ciò consente poi – profilo non secondario – di provvedere direttamente al finanziamento della Conferenza nazionale sull'infanzia e sull'adolescenza, la cui organizzazione e i relativi oneri sono attualmente già posti in carico al Dipartimento per le politiche della famiglia.

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*A cura dell' Prof. Avv. Davide De Lungo - Professore di diritto pubblico, Università San Raffaele

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