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Le SU sposano la teoria "antindennitaria" dell'azione revocatoria

Revocatoria del pagamento effettuato in adempimento di un credito assistito da garanzia reale. Sorte del credito conseguente all'accoglimento della revocatoria nel passivo del fallimento (Cass. Civ., SU, Ord. 16 febbraio 2022, n. 5049)

di Paolo Rusconi, Andrea Campana, Fabrizio Dotti, Mattia Maggioni*

Con Ordinanza n. 5049 del 16 febbraio 2022 , le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato il tema della revocabilità del pagamento eseguito dal fallito per estinguere una garanzia reale e della collocazione del credito conseguente all'accoglimento dell'azione revocatoria ed insinuato dall'accipiens nel fallimento, statuendo un principio di diritto che potrebbe porre fine all'annoso dibattito giurisprudenziale in materia.

I fatti del procedimento

Con azione ex art. 67, secondo comma, l. fall., il curatore di un fallimento domandava, nei confonti di un istituto di credito, la revocatoria degli incassi derivanti dall'incameramento del corrispettivo della vendita di un certificato di deposito costituito in pegno dal debitore fallito e quindi escusso dal creditore.

Nello specifico, il pegno era stato costituito nel 1991 e si era quindi consolidato rispetto al fallimento, mentre il pagamento con l'accreditamento della somma ricavata era avvenuto nel periodo sospetto ex art. 67, secondo comma, l.fall. (sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento).
Dunque, il pagamento era materialmente avvenuto nel periodo sospetto, ma in forza dell'escussione di un pegno costituito prima di tale periodo e non più revocabile in quanto avvenuto oltre 5 anni prima della dichiarazione di fallimento.

Secondo la banca convenuta, la circostanza per cui la somma ricavata dall'escussione del pegno non era in realtà nella disponibilità del debitore e non aveva natura solutoria, in quanto derivante dall'originario diritto di prelazione esercitato, avrebbe escluso in radice la possibilità di chiedere la revocatoria del pagamento. Diversamente opinando, la revocatoria avrebbe finito per comportare un'indiretta (ma non più possibile) revoca della garanzia.

All'esito dei procedimenti avanti il Tribunale e la Corte d'Appello, l'azione revocatoria della curatela veniva accolta e, di conseguenza, l'istituto di credito veniva ammesso al passivo ex art. 70, secondo comma, l.fall. al chirografo.

La banca ricorreva in Cassazione sia per contestare la fondatezza dell'azione revocatoria, sia per richiedere in subordine l'ammissione al passivo del credito in via privilegiata in forza della garanzia reale derivante dal pegno consolidato, censurando la collocazione al chirografo dello stesso.

Attesa la rilevanza della questione, la Sesta Sezione civile della Corte rinviava la controversia alla Prima e quest'ultima, con Ordinanza n. 8923/2021, rimetteva la stessa, come "questione di massima di particolare importanza", alle Sezioni Unite.

La revocabilità del pagamento eseguito in adempimento di un credito assistito da garanzia reale: la funzione distributiva dell'azione revocatoria

Il primo tema analizzato dalla Cassazione nella sentenza in commento concerne la revocabilità o meno di un pagamento effettuato in adempimento di un credito assistito da garanzia reale e, in particolare, l'assoggettabilità a revocatoria dell'incasso determinato dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato.

Nell'argomentare la propria posizione la Corte, innanzitutto, cita la giurisprudenza aderente alla c.d. "teoria indennitaria", contraria all'esperibilità dell'azione revocatoria in un simile contesto. Tale posizione, più risalente nel tempo, muove dalla considerazione che il pagamento effettuato in escussione di un pegno consolidato non sarebbe revocabile, "atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con la revocatoria fallimentare" (Cass. civ., n. 18439/2004; Cass. civ., n. 26898/2008).

Secondo i fautori della teoria indennitaria, l'esperimento dell'azione revocatoria richiede necessariamente la sussistenza del requisito oggettivo del danno (c.d. eventus damni), che si traduce, in ultima istanza, nella lesione della par condicio creditorum. La curatela, per poter agire, dovrebbe mostrare un interesse concreto ed attuale, interesse che sarebbe considerato insussistente nell'ipotesi in cui il soggetto che ha subito l'azione revocatoria avesse poi diritto, in sede di riparto, di conseguire nuovamente l'intera somma restituita. Dunque, stando a tale ricostruzione, una volta consolidato il diritto di prelazione, il pagamento eseguito per estinguere la garanzia non sarebbe più revocabile.

Nel provvedimento in esame, tuttavia, le Sezioni Unite, richiamando la pronuncia delle medesime Sezioni Unite n. 7028/2006, sposano l'orientamento opposto (c.d. "teoria antindennitaria") e giungono a sostenere la natura distributiva dell'azione revocatoria.

Secondo la teoria antindennitaria, l'obiettivo dell'azione revocatoria è, in sostanza, quello di "ridistribuire" le perdite conseguenti all'insolvenza del fallito tra tutti coloro che nel periodo sospetto hanno consapevolmente beneficiato degli atti posti in essere dal fallito.

Applicando tale impostazione, la revocatoria potrebbe colpire anche atti non concretamente dannosi, posto che l'eventus damni per il positivo esercizio della stessa è in re ipsa nella lesione della par condicio creditorum derivante, per presunzione legale assoluta, dalla semplice uscita del bene dalla massa fallimentare.

In altre parole, l'azione revocatoria fallimentare necessita sì di un requisito oggettivo (il danno inteso come alterazione dei principi della concorsualità), ma esso è considerato automaticamente ed indiscutibilmente sussistente nelle ipotesi descritte dall'art. 67 l. fall.

Pertanto, ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria, il curatore sarebbe tenuto solamente ad allegare il requisito soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell' accipiens, essendo, invece, del tutto irrilevante che il ricavato sia stato utilizzato dal debitore per pagare un creditore privilegiato.
Secondo tale pronuncia, infatti, tale ultima circostanza non è già di per sé idonea ad escludere la lesione della par condicio creditorum, dal momento che solo in seguito alla ripartizione dell'attivo si può effettivamente accertare che il pagamento abbia (o non abbia) pregiudicato le ragioni dei creditori di grado inferiore.

Nella sentenza in commento, dunque, le Sezioni Unite mostrano di aderire alla teoria antindennitaria dell'azione revocatoria e ne fanno discendere la generale revocabilità di tutti i pagamenti avvenuti nel periodo sospetto (ferma la prova della conoscenza dello stato di insolvenza), ancorché effettuati per estinguere crediti privilegiati e persino se eseguiti in adempimento di crediti assistiti da garanzia reale.

La collocazione del credito ex art. 70, secondo comma, l. fall.: l'ammissione al privilegio quale effetto del principio della gradualità dei crediti

Il secondo aspetto su cui le Sezioni Unite sono state interessate riguarda la collocazione specifica del credito che sorge dal pagamento effettuato dal debitore in favore di un terzo e successivamente (a seguito del fallimento del solvens) restituito al fallito per effetto dell'accoglimento dell'azione revocatoria promossa dal curatore.

L'art. 70, secondo comma, l. fall. prevede per il convenuto in revocatoria il diritto a insinuare al passivo il suo eventuale credito, corrispondente a quanto abbia effettivamente restituito. Il credito del terzo non nasce dalla sentenza di revoca, ma dalla concreta restituzione del bene o della somma.

Nel caso in esame, viene discusso se, in seguito alla restituzione al fallito del pagamento ricevuto, riviva la garanzia reale che assisteva originariamente il credito.

Ad avviso della Corte, la decisione dei Giudici di merito di ammettere detto credito al chirografo appare in linea con l'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità ed è frutto della diffusione della teoria antindennitaria dell'azione revocatoria, la quale afferma come qualsiasi pagamento eseguito nel periodo sospetto, ancorche fondato sull'obbligo di soddisfare un creditore munito di prelazione, alteri la par condicio creditorum.

Al tempo stesso, le Sezioni Unite esprimono talune perplessità in merito agli effetti che tale principio potrebbe determinare sotto il profilo della partecipazione al concorso del credito conseguente alla revocatoria. In particolare, la Corta ritiene che la collocazione al chirografo del credito ex art. 70, secondo comma, l. fall. "non soddisfi il principio della gradualità proprio della concorsualità fallimentare". Ed invero, nella prospettiva illustrata dalla Corte, il pagamento revocato costituisce pur sempre l'adempimento di un'obbligazione debitoria munita di garanzia reale ed assistita da diritto di prelazione esercitabile anche in sede concorsuale.

In altri termini: la causa di prelazione che caratterizzava il credito originario deve necessariamente assistere anche il nuovo credito ex art. 70, secondo comma, l. fall.

Dunque, il rimedio della revocatoria di cui sopra risulterebbe giustificato nella misura in cui venga consentito all'accipiens di partecipare al concorso conservando il grado derivante dalla natura del proprio credito e con la stessa collocazione che gli sarebbe quindi spettata se fosse stato soddisfatto non in via extra-concorsuale, bensì nell'ambito della procedura fallimentare.

Solamente in questo modo, infatti, l'azione revocatoria potrebbe ripristinare la situazione di fatto anteriore all'escussione del pegno e non risulterebbero danneggiati né i creditori concorsuali, né il creditore prelatizio: i primi non avranno meno di quanto avrebbero diritto se il pagamento revocato non fosse avvenuto, mentre il secondo sarà garantito perché gli altri creditori non riceveranno più di quanto avrebbero ottenuto se il suo soddisfacimento fosse stato realizzato all'interno del concorso.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha, pertanto, ritenuto di riconoscere al credito insinuato ex art. 70, secondo comma, l.fall. lo stesso privilegio del credito originario.

Conclusione

Le Sezioni Unite, rigettando il ricorso per Cassazione promosso dalla banca, hanno formulato il seguente principio di diritto: "La revoca, ex art. 67 l.fall. del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato della vendita del bene oggetto del pegno, determina il diritto del creditore che ha subito la revocatoria ad insinuarsi nel passivo del fallimento con il medesimo privilegio nel rispetto delle regole distributive di cui agli articolo 111, 111.bis, 111-ter e 111-quater legge fall.".

Va quindi detto che, da un lato, le Sezioni Unite hanno posto rimedio ad una conseguenza evidentemente iniqua che perdurava nella vigente Giurisprudenza; in precedenza, infatti, il creditore che, dopo avere escusso una garanzia reale consolidata, subiva l'azione revocatoria ed era costretto a versare al fallimento quanto incassato dall'escussione, si trovava infatti a doversi insinuare come creditore chirografario, perdendo persino la possibilità di soddisfarsi in via privilegiata, nonostante la sua garanzia fosse inattaccabile dal punto di vista fallimentare.
Tuttavia, da un altro lato, le Sezioni Unite hanno mantenuto l'orientamento che legittima la revoca dei pagamenti incamerati dal creditore in forza di escussione di garanzia consolidata.

Le S.U., nel motivare tale principio, si sono richiamate ad esigenze di pari trattamento dei creditori che giustificherebbero un meccanismo redistributivo della revocatoria, facendo riferimento alla ben nota sentenza delle medesime Sezioni Unite che ha riconosciuto a detta azione una funzione redistributiva e non indennitaria.

Purtroppo, l'applicazione del principio enunciato dalle S.U. potrebbe risultare controproducente, potendosi tradurre spesso in una minore soddisfazione per la massa. Infatti, l'escussione di una garanzia reale consolidata riduce (o azzera, se la garanzia è capiente) l'ammontare dei crediti che concorrono nel passivo fallimentare, a beneficio degli altri creditori del fallito, con fuoriuscita di un bene che però è già destinato al soddisfacimento di uno specifico creditore.

La vendita del bene pegnato o ipotecato da parte del curatore si traduce invece spesso in un minore incasso, dato che normalmente un fallimento spunta un prezzo di vendita inferiore a quello che può essere ricavato da una esecuzione in bonis o addirittura da una vendita in forma privata; ne consegue quindi un pagamento inferiore a quello che il creditore privilegiato avrebbe ricavato dalla vendita pre-fallimentare e l'effetto che il credito di tale creditore, per la differenza insoddisfatta, andrà pure a diluire la massa passiva e a ridurre le aspettative dì soddisfazione dei creditori chirografari.

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*A cura degli Avv.ti Paolo Rusconi, Partner, Restructuring & Insolvency; Andrea Campana, Partner, Complex Commercial Litigation and Disputes; Fabrizio Dotti, Partner, Banking & Asset finance; Mattia Maggioni, Associate, Restructuring & Insolvency - K&L Gates

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