Penale

Ingiusta detenzione, sì alla perdita del ristoro anche per la condotta ante causam

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 34001 depositata oggi, respingendo la domanda di un noto imprenditore

di Francesco Machina Grifeo

Per accedere alla liquidazione dell'equa riparazione per la ingiusta detenzione l'imputato non deve aver contribuito in alcun modo all'erroneo convincimento dello Stato, sia durante il processo che precedentemente ad esso. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 34001 depositata oggi, respingendo la domanda di un noto imprenditore sottoposto alla custodia cautelare, in carcere e presso il proprio domicilio, da marzo a dicembre 2012 a seguito di un procedimento per "t ruffa aggravata ai danni di un ente pubblico".

Accusa dalla quale era stato poi assolto, "perché il fatto non sussiste", prima dal Tribunale e poi dalla Corte di appello in quanto la società era di "diritto privato", con una partecipazione minoritaria del Comune, e dunque "non aveva nessun obbligo di comportarsi come una società pubblica". Ma l'assoluzione non è stata sufficiente. Per la Corte di appello, e la IV Sezione penale, ha confermato la condotta dell'imprenditore sarebbe stata "gravemente colposa", in quanto avrebbe favorito "mediante una serie di azioni ed omissioni l'idea che si stesse perpetrando una truffa ai danni dell'ente pubblico".

In particolare, afferma la Suprema corte, quale dominus di una S.r.l. ed azionista della società mista "si trovava all'evidenza in una posizione di conflitto di interessi", in quanto alla sua società erano stati assegnati i lavori "senza l'adozione di alcuna procedura concorrenziale tanto più necessaria con riferimento ad un bene demaniale". Altro elemento indicativo sarebbe rappresentato dalla "discrepanza tra i costi indicati nel computo metrico e quelli individuati successivamente", nonché dalla condotta tenuta con la Commissione di vigilanza "cui non veniva consegnata la documentazione richiesta". Per queste ragioni, il giudice della riparazione, "ponendosi nell'ottica degli elementi a disposizione dell'autorità giudiziaria al momento dell'adozione della misura cautelare, come sopra compendiati", ha correttamente ritenuto il comportamento ostativo all'accoglimento della domanda proposta, con un percorso argomentativo "del tutto logico, congruo, non contraddittorio e, soprattutto, coerente con il dato fattuale".

In linea generale, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, spiega la Cassazione, può prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi "ingiusta", in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la "ratio" solidaristica che è alla base dell'istituto.

Il Supremo Collegio ha peraltro chiarito che «la condotta colposa a cui consegue l'emissione del provvedimento restrittivo della libertà può essere posta in essere, al pari della condotta dolosa, anche prima dell'inizio del procedimento penale», dovendosi respingere la tesi «secondo cui la colpa grave potrebbe ravvisarsi solo in relazione alla condotta processuale dell'interessato, e cioè al contegno da lui assunto dopo la conoscenza del procedimento penale a proprio carico».

Mentre, con riferimento alla gravità della colpa e alla sua incidenza causale "il giudice di merito deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti, anteriori e successivi alla perdita della libertà personale, connotati da eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fondando la deliberazione conclusiva non su mere supposizioni ma su fatti concreti e precisi, che consentano di stabilire, con valutazione ex ante, se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell'autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto".

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