Civile

Il diritto all'oblio della madre anonima non è revocabile se è incapace al momento dell'interpello del figlio

Va tutelata la volontà di essere dimenticata e di dimenticare l'evento della nascita del figlio lasciato in stato di adozione

di Paola Rossi

Resta anonima la madre biologica che, al momento dell'interpello del figlio a volerne conoscere l'identità, sia affetta da grave patologia psichica che non le consenta di esprimere una valida revoca della volontà di non essere nominata, dichiarata al momento del parto.
La Corte di cassazione con la sentenza n. 7093/2022 ha rigettato definitivamente la pretesa del figlio a sapere chi fosse la propria madre, in quanto questa era in stato di grave decadimento psichico e dimostrava di non ricordare neanche più l'evento della nascita. I giudici hanno ritenuto che la donna non potesse validamente revocare una volontà espressa 40 anni addietro e mai intaccata da comportamenti che la smentissero. E che, anzi, la donna aveva raggiunto una compensazione non avendo più il ricordo della propria maternità "negata".
La materia si gioca sul filo del rispetto della volontà espressa da una donna, che non vuole o non può diventare madre, e un figlio che esercita il proprio diritto - riconosciuto anche nella Convenzione europea sui diritti umani - a conoscere le proprie origini. Il discrimine sta nel risultato positivo o negativo di un giudizio prognostico del Tribunale dei minori sulle conseguenze psico-fisiche che il reciproco disvelamento comporti a carico di entrambe le parti. Ma manca proprio una norma positiva che disciplini la revoca della volontà di anonimato della madre biologica.

Il parto anonimo
Il diritto della donna di non essere nominata in quanto madre è stato contemperato dall'intervento cosiddetto "additivo" della Corte costituzionale nel 2013. Infatti, la Consulta, ha ritenuto che vada colmata la lacuna legislativa dove l'ordinamento non regola la possibilità di revoca.
In caso di istanza del figlio che voglia conoscere le proprie origini la Consulta ha, in attesa di uno specifica regolamentazione da parte del Legislatore, delineato un procedimento improntato alla massima riservatezza attraverso cui la madre biologica possa essere contattata al fine di confermare o revocare la sua scelta a seguito dell'interpello promosso da un proprio figlio non riconosciuto e da cui non voleva essere conosciuta al momento della nascita.

La madre incapace
Secondo il ricorrente solo la morte o l'irreperibilità della propria madre potevano impedire di sottoporle la propria richiesta di volerla conoscere. E, soprattutto, affermava il ricorrente che la patologia, che rendeva attualmente la madre incapace di esprimere la revoca del proprio anonimato, fosse di tale gravità da essere presente anche all'epoca del parto. Per cui il ricorrente contestava la validità della volontà di restare anonima al figlio, proprio in quanto incapace. Ma su tale circostanza il ricorso è carente e non consente al giudice di verificare se fosse questione prospettata e affrontata davanti ai giudici. Altrimenti si apre a un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità.

Il velo cade da solo dopo un secolo
Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, che riportano i dati personali in grado di identificare la madre, che abbia dichiarato al momento del parto di restare anonima (avvalendosi della facoltà riconosciuta dall'articolo 30, comma 1, del Dpr 396/2000), possono essere rilasciati in copia integrale - a chi vi abbia interesse - decorsi cento anni dalla formazione del documento.
E durante tale periodo la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica può essere accolta solo approntando tutte le cautele necessarie affinché non siano resi conoscibili i dati identificativi della madre biologica che abbia espressamente dichiarato al momento del parto di non voler essere nominata.

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