Lavoro

Niente obbligo vaccinale per il sanitario che non sta con i pazienti

Per il Tribunale di Ivrea non conta l’inquadramento ma la mansione svolta

di Giampiero Falasca

L’obbligo vaccinale per il personale sanitario non si applica ai dipendenti delle strutture che svolgono, di fatto, mansioni meramente amministrative, anche se sono formalmente inquadrati come operatori socio sanitari. Così il Tribunale di Ivrea (sentenza del 1° luglio 2022), nella causa promossa da un dipendente di una Asl sospeso dal servizio e dalla retribuzione per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale anti Covid-19.

Questo lavoratore, assunto dalla Asl con inquadramento di operatore socio sanitario, a un certo punto è stato adibito ad attività di tipo esclusivamente amministrativo, a seguito del giudizio del medico competente di idoneità parziale alla mansione.

Dopo l’entrata in vigore della normativa sull’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie (Dl 22/2021), la Asl aveva invitato il dipendente a produrre la documentazione attestante il rispetto dell’obbligo e, a seguito di risposta negativa, lo aveva sospeso dal servizio e dalla retribuzione. Quando stava per scadere la sospensione, l’Asl aveva prorogato fino al 14 giugno 2022 tale provvedimento, prima sulla base del Dl 172/2021 che aveva introdotto l’obbligo vaccinale a chi lavora a qualunque titolo presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, e poi del Dl 1/2022 che ha esteso l’obbligo a tutti gli over 50.

Il Tribunale di Ivrea ha giudicato illegittima la sospensione, rilevando che la normativa sull’obbligo vaccinale del personale sanitario era finalizzata a imporre il vaccino solo a quei soggetti che operano a stretto contatto con persone che, una volta infettatesi, scontano un’alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali.

La sospensione dal servizio, nell’ottica del legislatore, non si configura, secondo la sentenza, come una misura punitiva, ma risponde all’esigenza di allontanare il lavoratore che, in quanto non vaccinato, viene considerato una fonte di rischio per quei soggetti fragili che con viene a contato.

A fronte di tale finalità, prosegue la sentenza, non rileva il formale inquadramento del lavoratore ma le mansioni in concreto esercitate. Infatti, solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisi quel rischio specifico che il legislatore ha voluto neutralizzare, risulta giustificata la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo. Inoltre il lavoratore era impiegato in un edificio che non ospitava pazienti.

Il rischio che si correla all’attività lavorativa di una persona con mansioni impiegatizie, secondo tale ragionamento, anzi appare decisamente inferiore a quello proprio della cassiera del supermercato, o a quello dell’impiegato delle poste o della banca. Tutti questi lavoratori entrano giornalmente a contatto con una pluralità di clienti, molti dei quali anziani e probabilmente anche con patologie. Eppure il legislatore non ha previsto l’obbligo vaccinale per queste categorie di persone.

Il provvedimento di sospensione non può neanche essere giustificato, prosegue il Tribunale, come misura volta a sanzionare l’inadempimento all’obbligo vaccinale introdotto, quando il lavoratore era già stato sospeso, per tutti gli ultracinquantenni (articolo 1, comma 1, del Dl 1/2022). Nell’ambito di tale normativa, infatti, il legislatore non ha considerato il vaccino come un requisito per l’espletamento della mansione e non ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di sospendere il soggetto non vaccinato dal servizio; ha, invece, introdotto una sanzione pecuniaria, disciplinando con strumenti separati e distinti i requisiti per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Quindi, conclude la sentenza, la sospensione dal servizio non può essere comminata nemmeno in ragione dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest’ultima fattispecie, la legge non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino.

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