Famiglia

Genitori divisi, sul tempo con i figli «paletti» alle decisioni che modificano le intese tra gli ex

Bocciata la decisione che riduceva di un giorno la frequentazione con il padre senza spiegare l’interesse dei minori che così si voleva tutelare

di Giorgio Vaccaro


La pronuncia del giudice che dispone un giorno in meno di frequentazione tra il padre e il figlio minore, rispetto a un calendario concordato in precedenza con la madre, è viziata da ultrapetizione, se non chiarisce quale sia il diverso interesse che così si intende tutelare. Lo ha deciso la Cassazione che, con l’ordinanza 1993 depositata il 29 gennaio 2022, è intervenuta sul tema dei tempi di visita tra genitori divisi e figli, accogliendo il ricorso contro la pronuncia della Corte d’appello che aveva deciso che i figli minori stessero con il padre per cinque giorni ogni due settimane, mentre in una precedente scrittura privata i genitori avevano concordato sei giorni.

La Cassazione ha osservato, innanzitutto, che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate e agli accordi raggiunti tra i genitori e può quindi pronunciarsi anche “ultra petitum”. Ma, in ogni caso, il regime legale dell’affidamento condiviso deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio.

Nel caso esaminato, i genitori, in una scrittura privata, avevano concordato l’affido condiviso dei due figli minori, con la collocazione prevalente presso la madre e con la frequentazione del padre modulata su di uno schema che prevedeva che i medesimi, a settimane alterne, sarebbero rimasti con il padre per un totale di sei giorni ogni due settimane. Il Tribunale, senza che nessuna delle parti ne avesse fatto richiesta, dato che entrambe avevano ritenuto l’accordo raggiunto soddisfacente per i figli, aveva stabilito che i figli stessero con il padre per un totale di cinque giorni ogni due settimane e non sei come da accordo. E ciò benché, in motivazione, avesse ritenuto «pienamente rispondenti all’interesse dei figli i tempi stabiliti nella predetta scrittura».

La Corte d’appello, a sua volta, anziché prendere atto del contrasto tra motivazione e dispositivo - il che rendeva nulla la sentenza di primo grado anche per extrapetizione - ha affermato che «il giudicante ha poteri officiosi e può discostarsi dalle richieste delle parti, nell’interesse dei minori»; conclusione che però contrasta con quella, sempre contenuta nei due provvedimenti del merito, che riconoscevano espressamente «la piena rispondenza» all’interesse dei minori dei tempi di frequentazione e di permanenza presso il padre stabiliti nella scrittura privata.

Ancora, osserva la Cassazione, manca nella pronuncia di merito «una qualche ragione giustificativa della riduzione dei giorni di permanenza dei minori presso il padre». Nonostante tutte queste argomentazioni, conclude la Suprema corte, i giudici d’appello hanno respinto il reclamo «in maniera illogica e contraddittoria», confermando la decisione di primo grado «che aveva - immotivatamente - modificato in peius quell’accordo».

Alla stregua delle considerazioni che precedono, secondo la Cassazione ricorre, il vizio di ultrapetizione, perché la decisione di secondo grado si pone oltre le richieste delle parti, senza che sia precisato quale fosse il diverso concreto e superiore interesse dei minori, giustificativo delle disposizioni che modificano quelle concordate tra i genitori.

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