Penale

Il giudice che intenda utilizzare le intercettazioni captate in altro procedimento deve dimostrarne la connessione

Quando i reati sono diversi estendere de plano i risultati ottenuti tramite trojan equivarrebbe a dare una delega in bianco ai giudici

di Paola Rossi

L'utilizzo delle intercettazioni ottenute dal posizionamento di un captatore informatico è consentito anche in altro diverso procedimento se si tratta di reati connessi. Perciò il giudice che adotta una misura cautelare sulla base delle intercettazioni emerse in altro e precedente procedimento a carico dello stesso imputato deve sufficientemente motivare sulla connessione tra i due iter processuali. E prima della modifica dell'articolo 270 del Codice di procedura penale - applicabile al caso concreto - era richiesto per la riutilizzabilità in un diverso procedimento dei risultati intercettativi che si trattasse di reato per cui era previsto l'obbligo dell'arresto in caso di flagranza.

La Cassazione con la sentenza n. 4141/2023 ha, infatti annullato l'ordinanza di custodia cautelare che disponeva i domiciliari a seguito della notizia di reato emersa dalle intercettazioni di altro procedimento a carico dello stesso imputato, di cui ha accolto il ricorso rinviandolo a nuovo giudizio. La decisione di legittimità precisa che per il caso concreto non era applicabile la nuova versione dell'articolo 270 del Codice di procedura penale per i fatti contestati precedenti la sua entrata in vigore che regola l'estensione dell'utilizzabilità delle intercettazioni.
La norma prevede, come presupposto dell'utilizzo dei risultati captativi a procedimenti avviati in base a notizia di reato emersa proprio dallo strumento investigativo, che si trattasse di fattispecie penale per cui è previsto l'obbligo dell'arresto in flagranza.

La nuova versione della norma procedurale, ma non applicabile al caso in esame, prevede inoltre (al comma 1bis sostituito) che "i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall'articolo 266, comma 2-bis".

Nel caso concreto il Trojan sul telefono dell'imputato era stato adottato inizialmente per l'accertamento di reati associativi di stampo camorristico. Dalle comunicazioni captate emergevano però altri reati a carico dello stesso imputato, ma commessi per fini personali, quale quello di favorire il proprio figlio nell'assegnazione di appalti attraverso l'intestazione fittizia di società partecipanti a gara pubblica. Si tratta quindi di procedimenti, ma anche di reati diversi, per i quali è necessario che vi sia una delle forme di connessione previste dalla norme di procedura penale al fine di estendere i risultati delle intercettazioni al nuovo procedimento.

Di fatto l'uso, oltre il perimetro del procedimento originario, è ammesso in base criteri di stretta necessità per l'accertamento di altri reati, ma solo di quelli che abbiano profili materiali o finalistici di connessione tra loro o che siano contemplati nelle categorie di reato tassativamente indicate.
Il nodo centrale di tale rigido regime sta nell'esigenza di rispettare il principio costituzionalmente garantito (articolo 15) della libertà e della segretezza delle comunicazioni e le cui eventuali e strettamente necessarie limitazioni sono giustificate solo se fondate sul rispetto delle garanzie stabilite.

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