Penale

Abuso d'ufficio per il sindaco che dà un incarico a persona incompatibile con le funzioni assegnate

La condanna preclusiva all'assunzione nell'ente locale non deve essere necessariamente definitiva

di Paola Rossi

Commette il reato di abuso d'ufficio l'assessore o il sindaco che affida a persona incompatibile un ruolo anche non formalmente dirigenziale all'interno dell'ente comunale. Nel caso concreto la persona assunta direttamente dal Comune aveva taciuto nella propria autodichiarazione di essere stato condannato a sua volta per abuso d'ufficio. Condanna che anche se non definitiva preclude l'accesso ruoli dirigenziali anche esterni o esercitati di fatto. La Cassazione con la sentenza n. 15886/2022 ha respinto il ricorso dell'assessore, poi diventato sindaco, che non aveva rilevato o aveva coscientemente ignorato la mendacità delle dichiarazioni del nuovo soggetto incaricato già macchiatosi del grave reato contro la pubblica amministrazione. In particolare, in questa fase dell'avviata vicenda processuale, il ricorrente contestava la legittimità della misura cautelare a suo carico consistente nel divieto di dimora nel Comune.

Il ricorso contestava che vi fosse stata comunque violazione delle regole di incompatibilità stabilite dall'articolo 35 bis del Testo unico del pubblico impiego per l'assunzione diretta di una persona in un ruolo che non era quello dirigenziale.

La Cassazione rigetta la lamentela chiarendo che il divieto colpisce non solo chi diventa formalmente dirigente, ma anche chi nei fatti si trova a svolgere funzioni equiparabili. Nel caso concreto, infatti, la persona assunta nel piccolo Comune di fatto aveva un ruolo di supervisore su molteplici delibere comunali adottate, comprese quelle che comportavano impegni di spesa.

Concentrandosi sempre sulla posizione non dirigenziale della persona da lui assunta, il ricorrente contesta anche la mendacità dell'autodichiarazione prevista dall'articolo 20 del Dlgs 39/2013 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico). La Cassazione rigetta il motivo sempre basandosi sulla reale consistenza dei compiti affidati alla persona incaricata direttamente dal ricorrente.

Infine il ricorrente che incontestabilemente - come assessore e come sindaco poi - ricopriva una carica elettiva a investitura popolare sosteneva come la misura cautelare non fosse a lui applicabile sottolineando il divieto di sospensione dal ruolo acquisito a seguito di elezioni degli organi comunali. Il divieto in effetti è previsto dal comma 3 dell'articolo 289 del Codice di procedura penale. La disposizione prevede la sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio del pubblico ufficiale imputato se il giudice ritiene di disporla. Però la norma al suo terzo comma esclude tale possibilità per chi ricopre uffici elettivi a seguito di diretta investitura popolare. In effetti, la vicenda di cui è imputato il ricorrente contemplava periodi in cui egli era assessore e poi sindaco. La Cassazione respinge però la contestazione sulla misua cautelare del divieto di dimora applicata al ricorrente affermando che sospensione e allontanamento dal territorio comunale non sono sovrapponibili. E aggiunge che il divieto di dimora è pienamente legittimo per la pervicace tendenza del ricorrente a una gestione illecita degli uffici dell'ente locale.

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