Penale

Nel modello 231 organismo di vigilanza a prova di autonomia

La sentenza di appello sulla Popolare di Vicenza individua i buchi neri

di Giovanni Negri

Un modello organizzativo con gravi carenze sia sul versante della prevenzione di reati come l’aggiotaggio sia sulla fisionomia di quell’elemento centrale che è l’organismo di vigilanza (odv). È quanto emerge, tra l’altro (la sentenza è lunga più di mille pagine), dalla parte della sentenza della Corte d’appello di Venezia, depositata il 4 gennaio, sulla vicenda della Banca Popolare di Vicenza, dedicata ai profili di responsabilità dell’istituto di credito sulla base del decreto 231 del 2001.

Centrale è il tema dell’organismo di vigilanza, soggetto chiave per il funzionamento del modello organizzativo di prevenzione, e che dall’istruttoria dibattimentale esce con «l’immagine di una “osmosi” di fatto pressoché completa tra l’odv e i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili margini di autonomia ed effettività dell’attività di controllo svolta da tale organismo».

Quanto all’effettività, basta pensare, sottolinea la sentenza, alle condotte di aggiotaggio contestate, dove l’adeguatezza del modello, di fronte a un reato”di comunicazione”, sarebbe stata almeno corroborata dall’attribuzione all’odv di poteri di verifica preventiva sulla fondatezza delle notizie destinate a essere diffuse al mercato. Nulla di tutto questo però, le comunicazioni non venivano neppure inviate all’odv perchè almeno ne fosse informato. E neppure erano previsti controlli a sorpresa sulle attività sensibili.

Di più. Il modello introduceva un organismo di vigilanza privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria: formalmente la direzione dell’odv era affidata, al responsabile pro tempore della Direzione internal audit, affiancato da due soggetti esterni estranei a rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca Popolare di Vicenza (si trattava di due avvocati).

Era previsto, inoltre, che il presidente non rivestisse cariche sociali nelle società del gruppo medesimo.

In realtà però tutti e tre erano soggetti privi della necessaria indipendenza:

il primo, perchè dipendente gerarchicamente dal direttore generale e funzionalmente dal consiglio di amministrazione, cioè proprio dai “poteri” che avrebbe dovuto controllare;

i secondi, perchè avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili alla banca.

Esemplare di questo legame tra odv e vertici aziendali, ha ricostruito ancora la Corte, è che lo svolgimento della relazione sulle attività svolte dall’odv era effettuata, in consiglio di amministrazione, proprio dal direttore generale.

E la situazione non è poi migliorata con l’affidamento delle funzioni di vigilanza al collegio sindacale. Anche per questo organismo infatti a mancare era una reale indipendenza, perchè costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali avevano importanti rapporti di interesse con il presidente. Così, la commissione dei reati non ha richiesto, per i giudici, condotte elusive e fraudolente del modello: «molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di “aggirarlo”».

Che poi il modello abbia seguito lo schema predisposto da Abi è, per la Corte d’appello, «irrilevante», visto che spetta sempre all’autorità giudiziaria valutarne l’efficacia in concreto.

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