Responsabilità

Spetta al medico la prova del suo corretto adempimento per spezzare il nesso causale tra amniocentesi e aborto

La prestazione professionale deriva da un contratto per cui il paziente deve solo provare la fonte del suo diritto e l'inadempimento subito

di Paola Rossi

Non spetta al paziente dimostrare il mancato corretto adempimento del medico. Ma deve solo fornire la prova dell'instaurazione del rapporto col medico e il nesso causale tra l'evento patito e la prestazione ricevuta. Infatti, chiarisce la Cassazione, con la sentenza n. 10050/2022, come nelle obbligazioni professionali spetti al professionista fornire la prova di aver agito con diligenza, prudenza e secondo le regole scientifiche che governano la sua professione. Cioè senza colpa. Solo tale prova liberatoria scioglie il medico dalla presunzione di non aver correttamente svolto l'attività professionale da cui è asseritamente derivato il danno sofferto dal proprio cliente.

La responsabilità medica
Nel caso di amniocentesi a cui segua immediatamente una perdita vaginale di liquido amniotico, l'evento abortivo verificatosi pochi giorni dopo è presunto come conseguenza dell'attività medica realizzata per prelevare i campioni di liquido. E ciò in base al noto principio del più probabile che non. Di conseguenza il nesso causale non viene meno per il solo fatto che il paziente non abbia dimostrato il comportamento imprudente o negligente del medico. Ciò che fa cadere la connessione in termini di responsabilità, tra prestazione medica e malattia da essa derivata, è la prova - che va fornita dal medico - di aver agito a regola d'arte o di non averlo potuto fare per fatto a lui non imputabile.

Inversione dell'onere probatorio
Nel caso specifico i giudici di merito hanno, invece, invertito l'onere probatorio. Hanno, infatti, negato la responsabilità del medico perché la paziente non aveva fornito una prova valida del suo scorretto agire affermato dalla donna (la pratica, vietata dalla medicina, di procedere a più di due perforazioni dell'utero). La terza perforazione era stata affermata nella testimonianza della madre della paziente, che asseriva di aver spiato nella sala operatoria e di aver osservato il medico perforare per tre volte il grembo della figlia incinta. Ma essendo stata ritenuta inattendibile i giudici avevano escluso che fosse stata raggiunta la prova della colpa medica. Che però non andava dimostrata dalla parte lesa dall'aborto verificatosi.

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