Civile

Cassazione civile: le principali sentenze di procedura della settimana

La selezione delle pronunce della Suprema corte depositate nel periodo compreso tra il 23 e il 27 maggio 2022

di Federico Ciaccafava

Nel consueto appuntamento con i depositi della giurisprudenza di legittimità in materia processualcivilistica, si propongono, nel periodo oggetto di scrutinio, le pronunce che, in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni: (i) giudizio di appello, censura d'erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado ed oneri dell'appellante; (ii) spese processuali, soccombenza e condanna a carico del difensore; (iii) equa riparazione, domanda di indennizzo, rimedi preventivi e rito del lavoro; (iv) equa riparazione, procedura fallimentare e riconoscimento danno non patrimoniale; (v) controversie tra organismi di telecomunicazione ed utenti e conseguenze del mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione; (vi) rito del lavoro e decorrenza del termine lungo per impugnare; (vii) impugnazione tardiva, rimessione in termini e presupposti di operatività; (viii) appello, rimessione causa al giudice di primo grado per difetto di contraddittorio e condanna alle spese di lite.

PROCEDURA CIVILE – I PRINCIPI IN SINTESI

IMPUGNAZIONI – Cassazione n. 16605/2022
La decisione, cassando con rinvio la pronuncia impugnata, riafferma che l'appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare "ex novo" le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l'inammissibilità dell'appello.

SPESE PROCESSUALI – Cassazione n. 16622/2022
L'ordinanza, enunciando espressamente il principio di diritto, afferma che la condanna alle spese processuali, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., va pronunciata nei confronti della parte soccombente e non del difensore, salvo che questi abbia agito quale rappresentante processuale di un altro soggetto senza essere investito del relativo potere, nel caso di inesistenza della procura "ad litem" o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso.

EQUA RIPARAZIONE – Cassazione n. 16741/2022
L'ordinanza, resa in tema di equa riparazione, enunciando il principio di diritto, afferma che l'art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001, concernente il regime dei rimedi preventivi, il cui omesso esperimento rende inammissibile la domanda, deve interpretarsi nel senso che non rientrano nel perimetro di applicazione della norma i processi che si svolgono con il rito lavoro.

EQUA RIPARAZIONE – Cassazione n. 16753/2022
La decisione riafferma il principio secondo cui in tema di equa riparazione, l'ammissione del creditore al passivo fallimentare consente al giudice, una volta accertata l'irragionevole durata del processo e la sua entità secondo le norme della legge n. 89 del 2001, di ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che esso sia stato subito dal ricorrente, stante la valutazione positiva della fondatezza delle ragioni di credito insita nel provvedimento emesso dagli organi della procedura fallimentare.

PROCEDIMENTI SPECIALI – Cassazione n. 17025/2022
La decisione rimarca che in tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti, il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 1 della legge n. 249 del 1997 per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, dà luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda; ne consegue che, ove difetti tale adempimento, il giudizio debba essere sospeso con concessione di un termine per svolgere il tentativo di conciliazione e prosegua all'esito di esso, non potendosi definire, come nell'ipotesi dell'improponibilità, con una pronuncia in rito.

IMPUGNAZIONI – Cassazione n. 17123/2022
La decisione ribadisce il termine lungo di impugnazione della sentenza, previsto dall'art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza stessa, ossia, nel rito del lavoro, non dalla data di lettura del dispositivo in udienza, ma da quella del deposito in cancelleria del testo completo della sentenza, a seguito del quale, soltanto, può proporsi l'impugnazione, salvo il caso particolare dell'appello con riserva di motivi, di cui all'art. 433, comma 2, c.p.c.

TERMINI – Cassazione n. 17146/2022
La pronuncia riafferma che l'istituto della rimessione in termini, applicabile al termine perentorio per proporre l'impugnazione, presuppone la sussistenza in concreto di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell'assolutezza, e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà.

SPESE PROCESSUALI – Cassazione n. 17255/2022
L'ordinanza riafferma che il giudice d'appello, qualora rinvii la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c. per integrare il contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, deve provvedere in ordine alle spese del processo di secondo grado, condannando al pagamento delle stesse la parte riconosciuta soccombente per avere dato causa alla nullità che ha determinato il rinvio; inoltre, ove abbia elementi sufficienti per stabilire a chi debba essere attribuita l'irregolarità che ha dato luogo alla rimessione, può decidere anche sulle spese di primo grado.
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PROCEDURA CIVILE – IL MASSIMARIO

Procedimento civile – Impugnazioni – Atto di appello – Motivi – Specificità – Censura di erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado – Riproposizione delle argomentazioni difensive e rivalutazione delle prove – Ammissibilità – Sussistenza – Fondamento. (Cpc, articoli 342 e 345)
L'appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare "ex novo" le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l'inammissibilità dell'appello. Sostenere il contrario, infatti, significherebbe pretendere dall'appellante di introdurre sempre e comunque in appello un "quid novi" rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che, a tacer d'altro, non sarebbe coerente col divieto di "nova" prescritto dall'art. 345 cod. proc. civ. (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte territoriale aveva dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ., l'appello proposto dal ricorrente contro la decisione resa in prime cure, rilevando che quest'ultimo si era limitato ad invocare una nuova valutazione delle difese svolte in primo grado senza sottoporre ad autonoma critica le argomentazioni rese dal tribunale). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, ordinanza 9 febbraio 2022, n. 4128; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 26 luglio 2021, n. 21401; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 4 novembre 2020, n. 24464; Cassazione, sezione civile II, ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23781; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3115).
Cassazione, sezione I civile, ordinanza 23 maggio 2022 n. 16605 – Presidente Cristiano; Relatore Crolla

Procedimento civile – Spese processuali – Soccombenza – Condanna alle spese di lite – Pronuncia nei confronti del difensore – Esclusione – Limiti. (Cpc, articoli 82, 83, 91 e 94)
La condanna alle spese processuali, ai sensi dell'art. 91 cod. proc. civ., va pronunciata nei confronti della parte soccombente e non del difensore, salvo che questi abbia agito quale rappresentante processuale di un altro soggetto senza essere investito del relativo potere, nel caso di inesistenza della procura "ad litem" o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso (Nel caso di specie, in applicazione dell'enunciato principio di diritto, la Suprema Corte ha cassato con rinvio l'ordinanza impugnata con la quale il tribunale adito, ritenuta la propria competenza in relazione ad un'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ne aveva disposto il rigetto condannando in solido alle spese di lite il difensore, pur munito di valida procura, con la parte istante). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 10 ottobre 2019, n. 25435; Cassazione, sezione civile III, sentenza 13 maggio 2014, n. 10332; Cassazione, sezione civile I, sentenza 20 giugno 2006, n. 14281; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 10 maggio 2006, n. 10706; Cassazione, sezione civile III, sentenza 19 dicembre 2005, n. 27941; Cassazione, sezione civile I, sentenza 19 settembre 2003, n. 13898).
Cassazione, sezione I civile, ordinanza 23 maggio 2022 n. 16622 – Presidente Orilia; Relatore Giannaccari

Procedimento civile – Giudizio per l'equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo – Domanda di indennizzo ex lege n. 89 del 2001 – Ammissibilità – Rimedi preventivi del processo civile – Art. 1-ter della legge n. 89/2001 – Ambito applicativo – Processi soggetti al rito del lavoro – Esclusione – Fondamento. (Cpc, articoli 281-sexies, 429; Legge 89/2001, articoli 1-bis, 1-ter e 2)
In tema di equa riparazione, l'art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001 deve interpretarsi – anche in ossequio al canone che impone di attribuire alla legge, nei limiti in cui ciò sia permesso dal suo testo, un significato conforme alla CEDU – nel senso che non rientrano nel perimetro di applicazione della norma i processi che si svolgono con il rito lavoro in quanto a seguito della modifica dell'art. 429, comma 1, cod. proc. civ. disposta dall'art. 53, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 – applicabile ai giudizi instaurati dopo la entrata in vigore della legge – è già previsto che il giudice all'udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, in analogia con lo schema dell'art. 281-sexies cod. proc. civ. (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio il decreto impugnato con il quale la corte del merito aveva confermato in sede di opposizione la statuizione di inammissibilità della domanda di equa riparazione avanzata dal ricorrente nei confronti del Ministero di Giustizia per l'inosservanza del termine di ragionevole durata di una controversia di lavoro da lui promossa al fine ottenere l'assunzione coattiva quale appartenente ad una categoria protetta "ex lege" n. 68 del 1999, in quanto domanda proposta senza previo esperimento dei rimedi preventivi di cui all'art. 1-ter della legge n. 89 del 2001). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, ordinanza 29 dicembre 2020, n. 29708; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 7 giugno 2018, n. 14724).
Cassazione, sezione II civile, ordinanza 24 maggio 2022 n. 16741 – Presidente Manna; Relatore Varrone

Procedimento civile – Giudizio per l'equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo – Ammissione del creditore al passivo fallimentare – Accertamento della irragionevole durata del processo – Riconoscibilità del danno non patrimoniale – Sussistenza – Fondamento – Rilevanza della novella "ex lege" n. 208 del 2015 sulla consapevolezza della infondatezza della pretesa in caso di incapienza dell'attivo – Esclusione – Ragioni. (Rd 267/1942, n. 267, articoli 92, 93 e 96; Legge 89/2001, articolo 2)
In tema di equa riparazione, l'ammissione del creditore al passivo fallimentare consente al giudice, una volta accertata l'irragionevole durata del processo e la sua entità secondo le norme della legge n. 89 del 2001, di ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che esso sia stato subito dal ricorrente, stante la valutazione positiva della fondatezza delle ragioni di credito insita nel provvedimento emesso dagli organi della procedura fallimentare, senza che rilevi, in senso contrario, l'art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015, secondo cui non è riconosciuto alcun indennizzo alla parte consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, atteso che la posizione del creditore, insinuato al passivo e rimasto insoddisfatto per l'incapienza dell'attivo, non è assimilabile a quella della parte avente pretese, "ab origine" o per fatti sopravvenuti, infondate. (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio il decreto impugnato per avere la corte del merito ritenuto ragionevole la durata del giudizio presupposto, avente ad oggetto una procedura fallimentare protrattasi dal 2001 al 2015, in considerazione della particolare complessità della stessa nella quale vi erano state oltre 500 istanze di ammissione al passivo, un attivo di circa 167 milioni di euro e un passivo di 342 milioni di euro con quattro riparti parziali e l'esperimento di 250 giudizi ordinari di revocatoria fallimentare e controversie con il fisco). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 8 luglio 2021, n. 19555; Cassazione, sezione civile II, sentenza 29 settembre 2020, n. 20508).
Cassazione, sezione II civile, ordinanza 24 maggio 2022 n. 16753 – Presidente Manna; Relatore Varrone

Procedimento civile – Procedimenti speciali – Controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti – Tentativo di conciliazione – Mancanza – Improponibilità della domanda – Esclusione – Improcedibilità – Sussistenza. (Legge 249/1997, articolo 1)
In tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti, il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 1 della legge n. 249 del 1997 per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, dà luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda; ne consegue che, ove difetti tale adempimento, il giudizio debba essere sospeso con concessione di un termine per svolgere il tentativo di conciliazione e prosegua all'esito di esso, non potendosi definire, come nell'ipotesi dell'improponibilità, con una pronuncia in rito (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte d'appello, nel dichiarare improcedibile la domanda attorea, senza alcuna ulteriore statuizione in ordine all'eventuale prosieguo della causa, aveva definito e chiuso irritualmente il processo: infatti, osserva la decisione in esame, soltanto a seguito di un mancato esperimento del tentativo di conciliazione imputabile alle parti, dopo che alle stesse fosse stata fatta constatare la necessità dell'incombente ai fini del rituale esperimento dell'azione giudiziaria, l'esito sarebbe stato poi quello in rito in concreto adottato dal giudice del gravame). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 28 aprile 2020, n. 8241; Cassazione, sezione civile III, sentenza 27 giugno 2011, n. 14103).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 26 maggio 2022 n. 17025 – Presidente Amendola; Relatore Valle

Procedimento civile – Impugnazioni – Rito del lavoro – Termine lungo per impugnare – Decorrenza – Dalla lettura del dispositivo – Esclusione. (Cpc, articoli 133, 327, 430 e 433)
Il termine lungo di impugnazione della sentenza, previsto dall'art. 327 cod. proc. civ., decorre dalla pubblicazione della sentenza stessa, ossia, nel rito del lavoro, non dalla data di lettura del dispositivo in udienza, ma da quella del deposito in cancelleria del testo completo della sentenza, a seguito del quale, soltanto, può proporsi l'impugnazione, salvo il caso particolare dell'appello con riserva di motivi, di cui all'art. 433, comma 2, cod. proc. civ. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza gravata che aveva dichiarato inammissibile per tardività l'appello proposto dal ricorrente atteso che, ove il giudice abbia letto il dispositivo in udienza provvedendo successivamente alla stesura della motivazione con pubblicazione successiva della sentenza, il termine lungo per impugnare ex art. 327 cod. proc. civ. decorre dal deposito e pubblicazione di quest'ultima e non già dalla lettura del dispositivo). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, ordinanza 7 marzo 2022, n. 7364).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 26 maggio 2022 n. 17123 – Presidente Manna; Relatore Varrone

Procedimento civile – Termini – Rimessione in termini – Termine perentorio per proporre l'impugnazione – Operatività – Presupposti – Causa non imputabile collegata ad un evento avente il carattere della assolutezza – Necessità. (Cpc, articoli 153 e 325)
L'istituto della rimessione in termini, applicabile al termine perentorio per proporre l'impugnazione, presuppone la sussistenza in concreto di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell'assolutezza, e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà (Nel caso di specie, la Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte territoriale aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta dai ricorrenti essendo stata la notificazione dell'atto eseguita dopo la scadenza del termine: nella fattispecie concreta, infatti, osserva la decisione, l'impossibilità assoluta doveva ritenersi esclusa proprio dalla circostanza, rimarcata dallo stesso giudice del gravame, per cui il difensore degli appellanti, reso edotto, due giorni prima della scadenza del termine, del problema che determinava l'assenza della connessione internet, mancò di attivarsi per procedere alla notifica, servendosi di altra linea o di una forma di notificazione diversa da quelle telematica, a nulla rilevando al riguardo che il gestore, contattato dal professionista, aveva assicurato che il disservizio sarebbe stato eliminato "…nel più breve tempo possibile…", in quanto, al contrario, proprio l'assenza di precise indicazioni quanto ai giorni necessari per l'eliminazione dell'inconveniente doveva indurre la parte, e per essa il suo difensore, ad attivarsi sollecitamente, nell'imminenza della scadenza del termine perentorio, nel senso sopra indicato, ovvero impiegando un diverso canale di comunicazione o una differente forma notificatoria). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, sentenza 23 novembre 2018, n. 30512; Cassazione, sezione civile I, ordinanza 3 dicembre 2020, n. 27726; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 4 dicembre 2020, n. 27773).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 26 maggio 2022 n. 17146 – Presidente Bisogni; Relatore Falabella

Procedimento civile – Spese processuali – Giudizio di appello – Rimessione della causa al giudice di primo grado per difetto di contraddittorio – Condanna della parte che ha dato origine a tale rimessione a rifondere le spese di primo e secondo grado – Ammissibilità – Presupposti. (Dlgs 209/2005, articolo 149; Cpc, articoli 91, 102 e 354)
Il giudice d'appello, qualora rinvii la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ. per integrare il contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, deve provvedere in ordine alle spese del processo di secondo grado, condannando al pagamento delle stesse la parte riconosciuta soccombente per avere dato causa alla nullità che ha determinato il rinvio; inoltre, ove abbia elementi sufficienti per stabilire a chi debba essere attribuita l'irregolarità che ha dato luogo alla rimessione, può decidere anche sulle spese di primo grado (Nel caso di specie, relativo ad un sinistro stradale in cui il ricorrente aveva evocato in giudizio solo la propria compagnia assicuratrice ai sensi dell'art. 149 del Codice delle Assicurazioni Private, la Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha ritenuto incensurabile la sentenza gravata con la quale il giudice di appello, nel dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, rimettendo le parti al giudice di pace adito, in persona di diverso magistrato, aveva correttamente applicato la regola della soccombenza ritenendo che esse dovessero gravare sulla parte ricorrente che nella circostanza aveva dato corso e causa alla nullità). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 6 maggio 2021, n. 11865).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 27 maggio 2022 n. 17255 – Presidente Amendola; Relatore Valle

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