Penale

La straniera irregolare che a un controllo di polizia mente affermando di essere incinta commette reato

Rende false dichiarazioni a pubblico ufficiale chi mente su una situazione di fatto per ottenere illegittimamente un diritto

di Paola Rossi

Il reato di false dichiarazioni sull'identità e le qualità personali proprie o di altri scatta per la donna straniera che in occasione di un controllo stradale, alla base di un prevedibile provvedimento di allontanamento dallo Stato, mente al pubblico ufficiale affermando di essere incinta al fine di scongiurare l'espulsione. La sentenza della Corte di cassazione n. 22969/2022 ha stabilito due importanti principi di diritto in base ai quali ha respinto il ricorso in quanto non ha ritenuto scriminato il reato.
Infatti, secondo la ricorrente ella non aveva mentito né sulla propria identità né sulle proprie qualità personali come prevede l'articolo 495 del Codice penale. Inoltre, la donna straniera sosteneva col ricorso di aver esercitato il proprio diritto a non autoincriminarsi come è garantito alla persona sottoposta a procedimenti penali e anche amministrativi.

I principi affermati
La Corte nel rigettare il primo motivo chiarisce che nel concetto di qualità personali rientrano anche eventuali condizioni fisiche personali se a esse l'ordinamento riconnette conseguenze giuridiche, come il riconoscimento di un diritto soggettivo che limita l'agire delle istituzioni verso soggetti meritevoli di una specifica tutela. Quindi, precisa la Cassazione, in base alla norma penale sono rilevanti:
- qualità primarie che identificano la persona (quelle attinenti ai dati anagrafici e allo stato civile),
- qualità secondarie che comunque concorrono a tale identificazione (quelle attinenti allo status professionale, titoli accademici, ufficio pubblico ricoperto o precedenti penali)
- e situazioni di fatto da cui scaturiscono diritti o conseguenze giuridiche in generale.

Quindi il falso stato di gravidanza artatamente asserito costituisce un falso rispetto a una situazione di fatto, che la donna sapeva essere utile in un procedimento di allontanamento di espulsione prevedibile data l'irregolarità della propria posizione rispetto alla legge italiana sugli stranieri. L'essere creduta incinta avrebbe costituito un ostacolo al potere autoritativo dello Stato. Da ciò, dice la Cassazione, la donna ha commesso il reato per cui vi era stata condanna in sede di merito.
La Cassazione smentisce poi anche l'altro argomento difensivo con cui la donna affermava di aver legittimamente esercitato il diritto a non autoaccusarsi o a non fare dichiarazioni che potessero peggiorare la propria situazione davanti alla giustizia penale nel rispetto anche della norma sovranazionale dell'articolo 6 della Cedu. Sull'applicazione del principio anche nei procedimenti amministrativi la Cassazione in primis chiarisce che il procedimento deve essere comunque avviato e non essere solo ipotetico.Inoltre, dicono i giudici di legittimità, la giurisprudenza è orientata a equiparare sotto tale profilo il procedimento penale a quello amministrativo, ma solo quando da esso possano scaturire sanzioni di "natura penale". Come è stato affermato in casi di applicazione delle sanzioni Consob.

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