Responsabilità

Infortunio durante l'operazione di polizia, il "fermato" non risarcisce senza prova del nesso

I paletti della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 36164 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Ai fini del risarcimento del danno per l'infortunio subito al ginocchio nel corso di una operazione di polizia, il carabiniere deve dimostrare la riconducibilità della lesione all'aggressione da parte di uno dei soggetti fermati. Diversamente non si può escludere che l'agente si sia procurato la lesione cadendo nel corso della colluttazione senza un nesso eziologico diretto con l'agire del sospettato. Né il verbale redatto insieme al collega sulla dinamica degli avvenimenti ha valore di atto pubblico con fede privilegiata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la ordinanza n. 36164 depositata oggi, respingendo il ricorso del militare.

Il ricorrente ha raccontato che mentre eseguiva una operazione di controllo a seguito di una segnalazione anonima su persone impegnate a consumare e spacciare stupefacenti presso la villa comunale di Avellino, avvicinatosi a due ragazzi era stato colpito da un violento calcio al ginocchio destro, riportando un trauma distorsivo e la rottura del legamento crociato anteriore che lo costringeva a un intervento chirurgico. Chiese pertanto la condanna del convenuto al risarcimento dei danni. Il convenuto tuttavia rappresentò di essere stato assolto nel giudizio penale per il reato di cui agli artt. 110, 337, 582 e 585 c.p. e chiese in via riconvenzionale il risarcimento dei danni per il presunto ingiusto processo penale subìto.

Il Tribunale ritenne non raggiunta la prova sulla dinamica dei fatti descritta dal carabiniere. E ritenne la testimonianza resa dal collega inattendibile in quanto offerta da un soggetto che aveva interesse in giudizio. La Corte di appello confermando il giudizio ha poi escluso di poter attribuire alla relazione di servizio il valore di fede privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c., "restando la stessa una segnalazione senza finalità di prova poiché atto interno all'amministrazione di appartenenza".

Proposto ricorso, la VI Sezione civile ha confermato la lettura secondo cui l'efficacia di atto pubblico "è collegabile solo alle funzioni certificative previste dalla legge". La sentenza impugnata, dunque, nell'escludere la fede privilegiata sul contenuto delle dichiarazioni rese dal pubblico ufficiale, ha deciso la questione di diritto (configurabilità della annotazione di servizio quale atto pubblico ai sensi degli artt. 2699 e 2700 c.c.) in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Infatti, prosegue la decisione, costituiscono atti pubblici, "soltanto gli atti che i pubblici ufficiali formano nell'esercizio di pubbliche funzioni certificative delle quali siano investiti dalla legge, mentre esulano da tale nozione gli atti dei pubblici ufficiali che non siano espressione delle predette funzioni". Pertanto, non è proponibile querela di falso nei confronti della relazione di servizio redatta dai Carabinieri e dell'allegato rilevamento tecnico descrittivo. Tali atti, non essendo espressione di una funzione pubblica certificativa, "godono di fede privilegiata relativamente alle sole circostanze certificate dai militari in relazione all'attività direttamente svolta (data di redazione dell'atto, nominativi dei verbalizzanti, ecc.), ma non anche relativamente alle informazioni in essi contenute".

Tantomeno, conclude la Corte, risulta decisiva la condizione claudicante dell'agente e l'accesso al Pronto soccorso considerato che "non poteva escludersi che il soggetto si fosse procurato la lesione al ginocchio cadendo nel corso della colluttazione senza che l'agire di quest'ultimo fosse eziologicamente connesso alla lesione".

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©