Società

Il requisito di interesse o vantaggio nei reati colposi ex Dlgs 231/2001

La giurisprudenza ha posto particolare attenzione nel declinare il requisito dell'interesse o vantaggio - di cui all'art. 5 D.Lgs. 231/2001 - nell'ambito dei reati colposi, nell'ottica di garantire una tutela il quanto più possibile ampia dei lavoratori e dell'ambiente

di Paolo Ghiselli, Matteo Grassi*

Come si configura il requisito dell'interesse o vantaggio nell'ambito dei reati colposi previsti dal D.Lgs. 231/2001?

Dalla disamina dell'imputazione all'ente nei reati colposi emergono serie criticità per l'interprete, o per chi si avvicini all'argomento, nell'individuare soluzioni processuali ad un caso concreto.

Infatti, gli sviluppi giurisprudenziali in materia di interesse o vantaggio evidenziano il difficile connubio tra la responsabilità dell'ente e i reati colposi, tenuto conto delle peculiarità di tali fattispecie.

Ad acuire le divergenze è soprattutto la violazione di norme a contenuto cautelare nonché la verificazione dell'evento lesivo con la conseguente imputazione oggettiva all'ente. Entrano in considerazione i concetti di colpa di organizzazione, le valutazioni in termini di costi - benefici e di risparmio di spesa.

In attesa di una riforma dell'istituto ad un ventennio dalla sua introduzione che consenta di adeguare meglio la normativa ad una interpretazione costituzionalmente orientata, chi scrive si pone il proposito di evidenziare luci ed ombre che fuoriescono dall'ampio panorama giurisprudenziale.

L'adozione di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, considerata la sua funzione di escludere la responsabilità "amministrativa" delle società in caso di commissione di un reato colposo da parte dei soggetti che rivestono la posizione apicale o dei loro sottoposti, rappresenta, tuttavia, un "traguardo" da raggiungere, soprattutto per le piccole e medie imprese (organizzazioni maggiormente strutturate come le multinazionali lo hanno già positivamente valutato).

• Caratteristiche principali dell'imputazione oggettiva della responsabilità dell'ente

Ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. 231/2001, l'ente risponde unicamente dei reati commessi nel suo "interesse o vantaggio".

I redattori del D.Lgs. 231/2001 hanno ritenuto non sufficiente la circostanza che la persona fisica (in posizione apicale o dipendente) avesse agito per conto della società, poiché la responsabilità di quest'ultima deve fondarsi sia su un rapporto di compenetrazione organica fra singolo e persona giuridica, sia sulla valutazione degli esiti della condotta delittuosa. Proprio la valutazione degli esiti della condotta delittuosa permette di comprendere se si tratti di una condotta autonoma, ovvero in spregio agli obblighi di gestione societaria nonché delle direttive imposte, in luogo di un avere agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente.

Con riferimento al criterio di ascrizione di responsabilità nelle due nozioni alternative di "interesse o vantaggio" si riscontra una vasta produzione giurisprudenziale. Ad una breve disamina di questa, va premessa la vexata quaestio se l'imputazione all'ente riguardi un fatto altrui o un fatto proprio.

Questione affrontata dalla giurisprudenza per l'asserita violazione degli art. 3 e 27 della Costituzione.

È stata riconosciuta come manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D.Lgs. 231/2001 sollevata con riferimento all'art. 27 della Costituzione, poiché l'ente non è chiamato a rispondere per fatto altrui, bensì per un fatto proprio, atteso che il reato commesso nel suo interesse o vantaggio da soggetti inseriti nella compagine della persona giuridica deve considerarsi tale in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega i primi alla seconda.

È stata altresì ritenuta inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D.Lgs. 231/2001 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, in quanto la responsabilità dell'ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio non è una forma di responsabilità oggettiva, essendo prevista necessariamente, per la sua configurabilità, la sussistenza della "colpa di organizzazione" della persona giuridica (Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza n. 27735/2010).

L'imputazione della responsabilità all'ente per il tramite dei soggetti che rivestono posizione apicale o sono sottoposti alla loro direzione e vigilanza appare ancor più problematica con riferimento alle società unipersonali.

A tal proposito, ha fatto discutere i commentatori il principio contenuto nella decisione del GIP presso il Tribunale di Milano (Tribunale di Milano, GIP, Sentenza n. 971/2020) che si fonda sul convincimento di non individuare nella srl unipersonale un centro autonomo di interessi, distinto da quelli del suo fondatore e amministratore unico.

Secondo il giudicante nella decisione de quo andrà valutata, di volta in volta, la complessità della struttura organizzativa per stabilire se vi sia un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici distinto da chi materialmente ha operato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità amministrativa dell'ente, oltre che della persona fisica riconosciuta responsabile della commissione del reato. Va detto che tale decisione si riferisce ad una fattispecie dolosa, ma rende la misura di come le criticità dell'imputazione all'ente aumentino ampiamente nel caso dei reati colposi. [1]

La particolare connotazione dei reati colposi che divergono notevolmente da quelli dolosi in relazione alle caratteristiche di imputazione del fatto al suo autore - violazione di una regola a contenuto cautelare nonché verificazione dell'evento - non inizialmente previsti fra i reati presupposto, impongono valutazioni di riforma dell'istituto per meglio adattarlo a principi di rango costituzionale messi a dura prova dall'imputazione oggettiva all'ente.

Il principio di legalità ed in particolare il principio di tassatività, considerata la mancanza di specifiche disposizioni normative, richiedono di adeguare l'assetto del D.Lgs. 231/2001 ai criteri di imputazione degli illeciti colposi all'ente.

• Il requisito dell'interesse o vantaggio di cui all'art. 5 del D.Lgs. 231/2001

In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, l'espressione normativa con cui se ne individua il presupposto nella commissione di reati non contiene un'endiadi, perché i termini riguardano concetti giuridicamente diversi e devono essere intesi come criteri concorrenti, ma comunque alternativi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante (Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 10265/2014).

L'interesse ha un'indole soggettiva riferita alla sfera volitiva della persona fisica che agisce, la cui presenza o meno di tale requisito è suscettibile di valutazione ex ante, potendo sostenerne la sussistenza ogni qual volta il soggetto abbia agito con l'intenzione di avvantaggiare la società (a prescindere dall'effettivo conseguimento del beneficio atteso).

Il vantaggio richiede una valutazione oggettiva ed opera ex post, per cui la responsabilità della persona giuridica che abbia conseguito un vantaggio anche laddove il soggetto abbia agito prescindendo da ogni considerazione circa le conseguenze che in capo all'ente collettivo sarebbero derivate dalla sua condotta.

In definitiva, mentre il giudizio circa il fatto che il reato sia stato commesso per il perseguimento di un interesse societario richiede una valutazione in ordine al contenuto ed un atteggiamento della sfera volitiva del soggetto che pone in essere la condotta, l'accertamento in relazione ai vantaggi tratti dalla persona giuridica richiede una valutazione su un diverso piano, poiché occorre comprendere se sia derivato un beneficio patrimoniale alla società affinché quest'ultima possa essere ritenuta responsabile [ 2]

La colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli [3]

Compatibilità del requisito dell'interesse o vantaggio con i reati colposi

Il reato colposo in materia di salute e sicurezza sul lavoro si perfeziona con l'accadimento dell'infortunio/malattia che abbia comportato lesioni gravi/gravissime o la morte del lavoratore.

È pacifico che tale evento in sé non possa essere ricondotto direttamente ad un interesse o a un vantaggio per l'ente. Infatti, l'infortunio e la malattia sono un "danno" anche per l'impresa.

Al fine di rendere compatibile il requisito dell'interesse o vantaggio con i reati colposi, si deve fare riferimento non all'evento infortunio/malattia (o, ad esempio, l'inquinamento nei reati ambientali) ma alla violazione delle norme cautelari tese ad evitare il verificarsi di tali eventi.

Entrano quindi in gioco la sottovalutazione dei rischi, il risparmio di spesa e/o incremento della produttività connessa alla mancanza di cautele a tutela del lavoratore.

Con riferimento a ciò, si legge in un interessante e recente pronuncia che la normativa italiana in materia antinfortunistica, essendo posta a presidio del bene fondamentale della salute in ambito lavorativo, di sicura rilevanza costituzionale, deve considerarsi di ordine pubblico, per cui i datori di lavoro e gli altri responsabili della sicurezza sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie, al fine di prevenire possibili infortuni, ovunque l'attività lavorativa si svolga.

Per inciso, questa estensione suggerisce, altresì, la dilatazione dei presidi e dei controlli ex D.Lgs. 231/2001 ai luoghi di lavoro oltre confine, quantomeno al fine di prevenire la realizzazione dei reati di cui all'art. 25 septies del citato decreto [4]

La giurisprudenza, come ricorda la nota sentenza ThyssenKrupp (Cass. Pen., SS. UU., Sentenza n. 38343/2014), in presenza di reati colposi di evento ricollega pacificamente la responsabilità dell'ente alle condotte colpose delle persone fisiche in violazione delle norme cautelari, posto che la responsabilità del reato è attribuita al suo interesse, atteso che la violazione delle regole cautelari ha comportato un vantaggio economicamente apprezzabile.

Sul piano processuale, le valutazioni in termini di costi e benefici comportano che: "il giudizio di valore sul rispetto delle indicazioni normative spetta unicamente al Giudice penale che, anche avvalendosi dell'ausilio di consulenti tecnici forniti delle necessarie professionalità, accerta se l'analisi dei rischi sia stata integrale, se le procedure tracciate abbiano spiegato la loro utilità sul piano preventivo, se il sistema sia caratterizzato da meccanismi correttivi, se il controllo sia stato affidato ad un organismo di controllo"[5]

• La giurisprudenza e la rilevanza della sistematicità delle violazioni

Grazie ad una copiosa produzione giurisprudenziale è possibile individuare i requisiti di interesse o vantaggio nell'ambito dei reati colposi. Tale tema si è posto principalmente con riferimento alla responsabilità degli enti per i reati in materia di salute e sicurezza di cui all'art. 25 septies D.Lgs. 231/2001, ma può essere esteso anche ai reati ambientali compresi all'interno dell'art. 25 undecies D.Lgs. 231/2001 e puniti a titolo di colpa (art. 452 quinquies c.p., reati previsti dal Testo Unico Ambientale e dal D.Lgs. 202/2007).

Infatti, la Corte di Cassazione si è pronunciata ritenendo che l'elaborazione giurisprudenziale avente ad oggetto i profili di responsabilità degli enti ai sensi dell'art. 25 septies D.Lgs. 231/2001 ben può ritenersi valida – ove possibile – anche per ciò che concerne i reati ambientali (Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 3157/2020).

Ciò premesso, negli ultimi anni ha avuto forte seguito l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, per i reati di cui all'art. 25 septies D.Lgs. 231/2001, nell'ottica di trovare un punto comune tra i presupposti di interesse o vantaggio e di colpa in organizzazione, ha rielaborato il criterio di imputazione oggettiva del reato all'ente, integrandolo con il requisito della "natura sistematica delle violazioni" alle regole antinfortunistiche.

Tale criterio prenderebbe le mosse da una valutazione di (in)adeguatezza della complessiva politica d'impresa perseguita dall'ente nel settore della salute e sicurezza sul lavoro, finalizzata all'ottenimento di benefici economici per l'ente stesso, consistenti nel contenimento della spesa e nella riduzione dei tempi delle lavorazioni a discapito della sicurezza dei lavoratori [6]

Il punto di partenza del citato filone giurisprudenziale può essere individuato nella già menzionata vicenda ThyssenKrupp.

In tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha condiviso quanto affermato dai giudici di merito, secondo i quali gli incidenti avvenuti erano "il frutto della sommatoria di una serie «impressionante» di violazioni di specifiche norme prevenzionali" e, dunque, "tali «impressionanti» carenze non furono occasionali, bensì sistemiche, frutto di scelte di fondo che trovarono il loro suggello nella scelta di bloccare gli investimenti per la sicurezza a partire dal 2006".

Da quest'ultimo passaggio emerge con chiarezza l'anello di congiunzione individuato dai giudici della Corte tra la colpa in organizzazione, ossia la mancata predisposizione di un sistema idoneo ad evitare la realizzazione del reato, e l'interesse/vantaggio, consistito nel risparmio di spesa connesso ad una specifica politica aziendale (interruzione degli investimenti per la conformità alla normativa posta a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, data l'intenzione dell'ente di dismettere l'impianto).

Questa argomentazione ha subito di recente una battuta di arresto con una pronuncia della Sezione IV della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 29584/2020), che, rigettando il motivo presentato dal ricorrente (la società condannata evidenziava l'assenza della sistematica violazione di regole cautelari), ha escluso che la sistematicità della violazione rilevi "quale elemento della fattispecie tipica dell'illecito dell'ente: l'art. 25-septies non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell'ente derivante dai reati colposi ivi contemplati": l'art. 25 septies D.Lgs. 231/2001 fa riferimento a «violazioni della normativa antinfortunistica» e non a «sistematiche violazioni».

La Corte, nella medesima pronuncia, ha rilevato che della sistematicità nelle violazioni può tenersi conto per valutare la direzione finalistica della condotta del reo: infatti, "il vantaggio (…) è misurabile ex post e rileva ex se, laddove la prova dell'interesse, parametro eminentemente finalistico e da valutarsi ex ante, può certamente ricavarsi dalla dimostrata tendenza dell'ente alla trasgressione delle regole antinfortunistiche, finalizzata al contenimento dei costi di produzione o all'incremento dei profitti".

Ne deriva che dall'abitualità delle violazioni può, secondo la Suprema Corte, ricavarsi un indizio della finalità (di contenimento dei costi o di incremento di profitti) a cui è orientata la condotta inosservante del reo e, dunque, un indice di prova della commissione del fatto nell'interesse dell'ente, senza che ciò la escluda nell'ipotesi in cui si abbia una trasgressione isolata. [7]

Pare opportuno evidenziare, infine, che la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 29584/2020) ha provato a porre un argine alla tendenza dei giudici al riconoscimento della sussistenza dell'interesse sulla base della convinzione in virtù della quale una scelta effettuata da un singolo sia sempre dettata dalla necessità di rispondere ad esigenze dell'organizzazione aziendale ed a politiche specifiche dell'ente.

Da ciò consegue che le violazioni in materia antinfortunistica dovrebbero rilevare, quanto ai requisiti di interesse o vantaggio, soltanto laddove queste siano il frutto di una specifica deliberazione dell'ente, finalisticamente orientata al risparmio di spesa o ad una maggiore produttività.

Modello 231 e Organismo di Vigilanza

Da quanto sopra esposto emerge il continuo ricorso da parte della giurisprudenza all'affermazione della sussistenza del requisito di interesse o vantaggio di cui all'art. 5 D.Lgs. 231/2001 sulla base di indici aventi connotazione tipicamente economica, ovverosia di risparmio di spesa o di vantaggi in termini produttivi per l'impresa, che possono derivare sia da una sottovalutazione del rischio che da una politica di risparmio consapevolmente adottata dalla società.

Il pericolo per l'ente di trovarsi coinvolto in un procedimento "penale" ai sensi del D.Lgs. 231/2001 risiede nel fatto che il verificarsi del reato colposo potrebbe rendere di per sé evidente agli occhi del giudice l'insufficienza delle cautele adottate per mitigare il rischio di commissione dei reati (colposi), ravvisando un risparmio di spesa (o un interesse all'aumento della produzione) connesso alla mancata predisposizione di cautele ulteriori per prevenire l'infortunio.

Neppure la condotta colposa della vittima è sufficiente ad esonerare da responsabilità il Datore di Lavoro, tenuto conto che, nella prospettiva di assicurare l'integrità fisica del lavoratore, la posizione di garanzia che grava sul Datore di Lavoro (e, quindi, sull'organizzazione) si estende fino a comprendere anche eventuali comportamenti negligenti o imprudenti del lavoratore stesso – che, ad esempio, potrebbe non essere stato correttamente formato –, con l'unico limite del comportamento abnorme di quest'ultimo.

Nell'ambito della costruzione di un Modello Organizzativo idoneo a prevenire la realizzazione di reati colposi non può prescindersi da una valutazione di compatibilità tra la disciplina di cui al D.Lgs. 231/2001 e quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008, che all'articolo 30 individua una serie di prescrizioni che il Modello deve soddisfare affinché possa essere considerato idoneo ad avere efficacia esimente.

Per quanto concerne i reati ambientali, occorre sottolineare che – come rilevato anche dalla giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 3157/2020) – difetta una norma analoga a quella dell'art. 30 del D.Lgs. 81/2008, che indichi le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro idoneità a prevenire tali reati. Tuttavia, si riconosce la possibilità di applicare alcuni principi elaborati in materia di salute e sicurezza sul lavoro anche alla prevenzione dei reati ambientali, laddove compatibili.

In ogni caso, il ricorso alle apposite certificazioni in materia di salute e sicurezza (ISO 45001) e ambientale (ISO 14001) è senz'altro uno strumento efficace per tendere all'effettività ed efficacia del Modello.

I presidi organizzativi di cui sarà composto il Modello 231 non avranno il solo scopo di prevenire comportamenti consapevolmente inosservanti da parte del personale dell'ente, ma saranno finalizzati anche a guidare le valutazioni dei destinatari degli obblighi, evitando che possano realizzarsi fatti interpretabili quali espressione di una politica d'impresa volta al risparmio o alla massimizzazione della produzione a discapito dei lavoratori (o dell'ambiente).

In particolare, andranno individuate regole specifiche che riguardino – a titolo esemplificativo – gli investimenti per la sicurezza e la tutela ambientale, le modalità di individuazione e valutazione dei rischi, la gestione delle deleghe, la gestione delle emergenze, lo svolgimento delle attività formative, le verifiche sull'adeguatezza delle macchine, le manutenzioni, la selezione e gestione dei fornitori.

Non meno importante è il ruolo dell'Organismo di Vigilanza chiamato a valutare e a segnalare all'organo dirigente – sulla base di specifici e periodici flussi informativi – eventuali carenze che emergano nel corso dell'attività di vigilanza e che possano far presumere una politica aziendale insufficiente sul tema della salute e sicurezza dei lavoratori o della tutela dell'ambiente.

L'Organismo di Vigilanza dovrà quindi prestare particolare attenzione - tra le altre cose - alla tempestività dell' aggiornamento della valutazione dei rischi e dei piani di emergenza , alla corretta effettuazione delle riunioni periodiche della sicurezza, all'adeguatezza della formazione e dell'addestramento, alla corretta qualifica e gestione dei fornitori, all'esistenza di piani di verifica e manutenzione di macchine e impianti.

Importante anche il costante monitoraggio di infortuni e near-miss e della loro gestione da parte della società. Analoga attività potrà essere svolta con riferimento alla gestione delle tematiche ambientali.

Da ultimo, per una efficace attività di vigilanza, è sempre raccomandabile l'effettuazione di sopralluoghi sui luoghi di lavoro per poter acquisire informazioni "di prima mano" ed avere una diretta percezione degli ambienti di lavoro e dell'attenzione all'attuazione delle misure di sicurezza.

Ciò si rende ancor più evidente nell'attuale situazione emergenziale, ove specifiche verifiche possono consentire di rilevare l'effettiva attuazione delle normative e dei protocolli contro il contagio da Covid-19. Infatti, eventuali focolai che dovessero verificarsi in azienda a causa della carenza delle misure anti-contagio, potrebbero essere ricondotte ad una politica aziendale che abbia privilegiato le esigenze produttive alla tutela della salute dei lavoratori.

• Conclusioni

Da quanto sopra esposto, emerge la particolare attenzione applicata dalla giurisprudenza nel declinare il requisito dell'interesse o vantaggio di cui all'art. 5 D.Lgs. 231/2001 nell'ambito dei reati colposi, nell'ottica di garantire una tutela il quanto più possibile ampia dei lavoratori e dell'ambiente.

Le decisioni di legittimità ed anche di merito, facendo leva sulla fertilità legislativa in materia antinfortunistica e di tutela dell'ambiente, tendono a mettere in pratica soluzioni fortemente rigorose nell'interpretazione dell'«interesse o vantaggio».

La mancata compliance – isolata o sistematica – alle specifiche normative potrà essere interpretata quale indizio della scarsa attenzione prestata dall'ente a temi di primario rilievo, in conseguenza di politiche societarie tese al risparmio di spesa o alla massimizzazione del profitto a discapito dei lavoratori o dell'ambiente.

Agli enti, dunque, è richiesto di assegnare assoluta priorità alla protezione dei lavoratori e dell'ambiente, tenendo presente che non è idoneo ad escludere la responsabilità "231" un Modello Organizzativo non concretamente operativo o la nomina di un Organismo di Vigilanza meramente "burocratico" e non caratterizzato da indipendenza, autonomia, continuità d'azione e professionalità.

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*A cura degli Avv.ti Paolo Ghiselli - Partner 24 ORE Avvocati, Matteo Grassi - Partner 24 ORE Avvocati



[1] Sia permesso succintamente richiamare i due orientamenti della Cassazione penale contrapposti sul punto: (i) il primo valorizza l'autonomia del soggetto fisico rispetto a quello giuridico, per cui anche le ditte individuali rientrano nel novero di ente ai sensi della 231 (Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 15657/2011); (ii) il secondo fa perno, invece, sulla confusione di identità tra persona fisica e persona giuridica (Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza n. 30085/2012)
[ 2] In questi termini: C. Santoriello, Vent'anni di giurisprudenza in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi. Le pronunce più importanti, i dubbi risolti e le questioni ancora aperte, in www.rivista231.it
[3] Cass. Pen., SS. UU., Sentenza n. 38343/2014. Per una compiuta disamina giurisprudenziale cfr. A. Natalini, Articolo per articolo il D.Lgs. 231/2001 sotto il "faro" della giurisprudenza, in Società, la nuova responsabilità amministrativa, Guida normativa il Sole 24 ore, 2020
[4] Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 35510/2021. Disponibile su NTplus 24 con commento di Cipriano Ficedolo e Fabrizio Sardella
[5] Sul punto: Avv. Cinzia Catrini, Avv. Giuseppe De Marco, Avv. Daniela Rocchi, Idoneità del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, in NT+Diritto
[6] Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 16598/2019; Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 38363/2018; Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 2469/2016
[7] Nello stesso senso cfr. Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 4480/2021; Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 12149/2021

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