Penale

Applicabilità del Dlgs 231/2001 agli enti stranieri privi di sede in Italia

La globalizzazione e la conseguente integrazione dei mercati, con dislocazione interstatuale dei processi di produzione industriale rende quanto mai attuale la questione dell'applicabilità o meno del D.Lgs. n. 231/2001 agli enti stranieri ovvero privi di una sede principale nello Stato italiano, nell'ottica sempre più diffusa di internazionalizzazione della responsabilità da reato degli enti.

di Francesca Perego Mosetti *

La disciplina del D.Lgs. n.231/2001 è applicabile agli enti stranieri?

La globalizzazione e la conseguente integrazione dei mercati, con dislocazione interstatuale dei processi di produzione industriale rende quanto mai attuale la questione dell'applicabilità o meno del D.Lgs. n. 231/2001 agli enti stranieri ovvero privi di una sede principale nello Stato italiano, nell'ottica sempre più diffusa di internazionalizzazione della responsabilità da reato degli enti.

La risposta al quesito non è immediata né scontata e vede persistere, ancora oggi, un acceso dibattito in dottrina, mentre a livello giurisprudenziale è andato consolidandosi l'orientamento che conclude per l'applicabilità del D.lgs.n.231/2001 agli enti stranieri per i reati-presupposto commessi dagli apicali o dai sottoposti, per i quali sussista la giurisdizione nazionale (ovvero quando il reato è stato commesso in Italia o ivi sia stato realizzato un frammento dell'azione o dell'omissione o dell'evento che costituiscono la fattispecie individuale).

Applicabilità della disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 agli enti stranieri

Prima di rispondere al quesito occorre, innanzitutto, premettere che il D.lgs. 231/2001 ha testualmente previsto, all'art. 4, l'applicabilità della responsabilità amministrativa degli enti aventi sede principale nel territorio italiano anche in relazione ai reati-presupposto (interamente) commessi all'estero, da un apicale o da un dipendente, nell'interesse o a vantaggio degli enti italiani, riconoscendo, così, ove ricorrono le condizioni di cui agli artt. 7, 8, 9, e 10 c.p. la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, purché nei confronti dei detti enti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.

Per contro e specularmente, il testo normativo è silente riguardo alla questione dell'applicabilità, o meno, del D.lgs. 231/2001 agli enti stranieri in relazione ai reati-presupposto commessi in Italia, da un apicale o da un dipendente, nell'interesse o a vantaggio dell'ente privo di una sede principale nel nostro paese, lasciando così priva di regolamentazione legislativa l'ipotesi del reato-presupposto "territoriale" prevista dall'art. 6 c.p. "Reati commessi (da chiunque) nel territorio dello Stato".

Il vuoto legislativo ha visto aprirsi un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Mentre la dottrina maggioritaria ha posto rimedio al vuoto legislativo ritenendo che il D.lgs. 231/2001 debba trovare tra i suoi destinatari anche gli enti e le società straniere, con argomenti poi condivisi anche dalla giurisprudenza, che trovano ancoramento nel criterio del locus commissi delicti, vi sono posizioni dottrinarie minoritarie di segno opposto.

Queste ultime, che escludono l'applicabilità del D.Lgs. 231/2001 ad enti stranieri, facendo leva sulla fisionomia dell'illecito amministrativo dell'ente secondo la quale la cd. colpa organizzativa si verificherebbe nel luogo (estero) in cui ha sede l'ente straniero, concludono nel dare rilevanza non già del locus commissi delicti , ma al criterio del luogo in cui si è verificato il difetto di organizzazione ovvero il luogo in cui avrebbe dovuto essere posto in essere il comportamento alternativo lecito (ovvero l'adozione dei modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quelli verificatisi) che avrebbe impedito il verificarsi del rischio specifico connesso all'operare dell'ente stesso; militerebbe per questa conclusione anche il divieto di analogia in malam partem, stante il principio di legalità che presiede anche alla materia della responsabilità amministrativa degli enti ( art. 2 D.lgs. 231/2001 e art. 25 Cost.).

La prassi giurisprudenziale applicativa, condivisa invece dalla maggioranza della dottrina e, come vedremo anche dalla Cassazione, che è andata consolidandosi verso l'applicabilità del D.lgs. n. 231/2001 anche agli enti con sede all'esterno per i reati-presupposto commessi in Italia, segue la tesi della coincidenza tra i criteri di radicamento della giurisdizione della persona fisica e quella giuridica, individuando nel reato dell'apicale o del sottoposto commesso in territorio nazionale l'elemento dirimente ai fini di definire il perimetro di efficacia spaziale del D.lgs. 231/2001, assumendo così rilievo nel sistema della responsabilità degli enti il luogo di commissione del reato-presupposto ove appunto si consuma anche l'illecito amministrativo della persona giuridica.

A sostegno di questa impostazione, la giurisprudenza negli anni si è avvalsa di un variegato apparato argomentativo che ha preso le mosse:

- dal carattere obbligatorio della legge italiana per tutti i soggetti siano essi persone fisiche o giuridiche straniere che genericamente operino sul territorio dello Stato (in tal senso Tribunale di Milano 27.4.2004 nel caso Siemens ha affermato che l'ente straniero

- segnatamente tedesco il cui esponente aveva concorso con quelli di altre imprese riunite in ATI a un fatto corruttivo territoriale avente ad oggetto l'aggiudicazione in favore dell'ente estero di un contratto di fornitura e successiva manutenzione di turbine a gas - ha il dovere di osservare e rispettare la legge italiana e quindi anche il D.lgs. 231/2001 indipendentemente dall'esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che regolino in modo analogo la medesima materia), il che comporta anche per l'ente straniero, se opera in Italia, il rispetto degli standard del D.lgs. 231/2001 in funzione preventiva dei reati-presupposto;

- da rilievi di carattere sistematico ed esegetico, in quanto:

a) l' art. 1 del D.lgs. 231/2001 nel definire l'ambito soggettivo di applicazione della responsabilità amministrativa degli enti per fatti di reato commessi da apicali o sottoposti non prevede alcuna esclusione per le società estere e prive di sedi anche secondarie in Italia, non distinguendo tra enti italiani o enti stranieri;

b) gli artt. 34 e 36 D.lgs. 231/2001 prevedendo, quanto al primo, l'applicazione delle norme del codice di procedura penale, tra le quali l'art. 1 c.p.p. che fissa il principio generale della giurisdizione del giudice penale e, quanto al secondo, individuando nel luogo della commissione del reato presupposto il giudice penale competente a conoscere dell'illecito amministrativo che dal reato dipende, con conseguente radicamento della giurisdizione nazionale.

Questo complesso di argomenti elaborati dalla giurisprudenza fin dal ricordato caso Siemens è stato ripreso dalla nota pronuncia di merito riguardante la vicenda del disastro ferroviario avvenuto a Viareggio, nella notte del 29.6.2009, in conseguenza dello svio dalla struttura ferroviaria per carenze gestionali e operative inerenti le procedure di manutenzione di una specifica componente del carro cisterna di un treno merci che trasportava liquido infiammabile, il cui deragliamento determinò la deflagrazione e l'incendio delle zone limitrofe, l'esplosione di tre palazzine, con la morte di 32 persone, lesioni gravi e gravissime ai superstiti, danni alle abitazioni circostanti, ai veicoli e all'infrastruttura ferroviaria; il Tribunale di Lucca con sentenza 31.7.2017, n. 222, superando il difetto di giurisdizione sollevato dalle difese, e ritenendo come anche nei confronti delle società estere il criterio del radicamento della giurisdizione non può che aver riguardo alla fattispecie individuale, condannava le società estere (segnatamente tedesche e austriache) prive nel territorio nazionale di sedi (principali o secondarie), ma che avevano operato in Italia, sia mediante locazione di carri cisterna, sia mediante attività di manutenzione.

Alle predette società era stato contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies D.lgs.231/2001 in relazione ai delitti di omicidio e lesioni colpose, aggravati dalla violazione delle norme in materia di sicurezza e salute sul lavoro, commessi da soggetti apicali o sottoposti nell'interesse o a vantaggio degli enti stranieri; veniva data, così, applicazione agli enti stranieri della disciplina del decreto legislativo n. 231/2001 a prescindere dal fatto che questi avessero o meno una sede secondaria o uno stabilimento in Italia e dunque a prescindere dal luogo in cui si è verificata la lacuna organizzativa.

E' stata così ribadita la conclusione secondo la quale "locus e tempus commissi delicti della persona giuridica non possono che coincidere con quelli della persona fisica" e che "in applicazione del II comma dell'art 6 c,p, …..perché l'ente straniero ricada nella disciplina del decreto legislativo 231/2001 sarà sufficiente che anche solo un frammento del fatto individuale posto in essere nella posizione apicale o para-apicale, o di altra persona con la stessa concorrente, abbia a realizzarsi sul territorio italiano ovvero che ivi si verifichi l'evento che è conseguenza dell'azione o dell'omissione".

L'orientamento delle Corti di merito in questi venti anni di vigenza del D.lgs. 231/2001 è andato consolidandosi fino alle prime pronunce di legittimità, dapprima con la sentenza della Cassazione del 7.4.2020, n. 11626 e successivamente con la recentissima n. 32899 del 6.9.2021, proprio sul disastro di Viareggio.

Nel primo caso (sentenza 7.4.2020, n. 11626) la Corte di Cassazione è stata adita dalle società straniere, facenti parte di un gruppo societario, ritenute responsabili in I e II grado per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 D.lgs. 231/2001, derivante dal reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter e 321 c.p. commesso nell'interesse e a vantaggio del gruppo societario, da persone che rivestivano al momento dei fatti funzioni di rappresentanza dello stesso.

Nella specie, i vertici del gruppo societario avrebbero retribuito, erogando la somma complessiva di €.571.250,60= un coadiutore legale di una procedura fallimentare per il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio, finalizzati a favorire le società del gruppo ad acquisire, a condizioni vantaggiose e con preferenza rispetto ad altri potenziali acquirenti, beni dell'azienda fallita.

La Corte, rigettando il difetto di giurisdizione eccepito dalle società ricorrenti che invocavano il fatto di avere il loro centro decisionale e la loro stabile organizzazione all'estero, affermava la sussistenza della giurisdizione italiana che "deriva" pur sempre da un reato, con la conseguenza che la stessa "andava apprezzata rispetto al reato-presupposto, a nulla rilevando che la colpa in organizzazione e dunque la predisposizione dei modelli non adeguati sia avvenuta all'estero". Ciò in coerenza con l'art. 36 (secondo il quale competente a decidere dell'illecito amministrativo dell'ente è l'autorità giudiziaria penale competente per il reato dal quale l'illecito dipende) e l'art. 38 (riunione cd. obbligatoria del procedimento all'ente con quello all'autore del reato-presupposto) e facendo leva sull' art. 1 (che non distingue tra enti aventi sede in Italia e quelli avente sede all'estero) e sull'art. 8 D.lgs. 231/2001 (che sancisce l'autonomia della responsabilità dell'ente).

Analogamente alla persona fisica straniera che commette reati nel territorio dello Stato e soggiace quindi ex artt. 3 e 6 c.p. alla legge italiana, anche l'ente straniero che operi in Italia soggiace alla legge italiana qualora il reato-presupposto sia commesso in Italia e siano integrati gli altri criteri di imputazione della responsabilità previsti dal D.lgs. 231.

Una diversa soluzione realizzerebbe come affermato dalla Corte una "chiara ed ingiustificata disparità di trattamento" tra persona fisica straniera ed ente estero per il caso di reati commessi sul territorio italiano.

Precisa altresì la Corte che l'esonero della responsabilità amministrativa degli enti stranieri realizzerebbe "un'indebita alterazione della libera concorrenza rispetto agli enti nazionali", consentendo alle prime di operare sul territorio italiano senza dover sostenere i costi necessari per la predisposizione e l'implementazione di idonei modelli organizzativi. Il secondo e recentissimo caso riguarda la decisione della Cassazione sul disastro di Viareggio che, pur arrivando ad affermare l'insussistenza del reato a carico delle imprese straniere, afferma tuttavia, in continuità con i giudici del merito di I e di II grado e con l'orientamento giurisprudenziale di legittimità inaugurato dalla sentenza n.11626/2020, la giurisdizione nazionale rispetto alla responsabilità amministrativa degli enti non aventi alcuna sede in Italia, posto che tale fattispecie è infatti configurata dal legislatore come dipendente dal reato-presupposto che compone la struttura complessa dell'illecito amministrativo; soccorrono a tal riguardo l'art. 4 D.lgs. 231/2001 dal quale si desume "una parificazione della regolamentazione dedicata all'ente rispetto a quella concernente l'imputato persona fisica (salvo il limite del ne bis in idem internazionale)" e l'art. 36 con il quale si stabilisce che il giudice penale competente a conoscere degli illeciti dell'ente è quello competente per i reati previsti anche a titolo di illecito amministrativo, dal quale la Corte deduce che "la giurisdizione sull'illecito dell'ente segue quella sul reato presupposto".

Ciò a consolidamento così dell'orientamento maggioritario che radica la competenza anche rispetto alle responsabilità 231 degli enti stranieri con il luogo dove è stato commesso il reato presupposto, avendo la Corte precisato a chiare lettere che: "il luogo di commissione dell'illecito dell'ente è quello in cui si consuma il reato presupposto", non potendosi quindi ipotizzare una differente giurisdizione.

Considerazioni conclusive

L'analisi che precede e l'orientamento giurisprudenziale affermatosi in questi venti anni di vigenza del D.lgs. 231/2001 portano l'interprete a concludere, in conformità alle recenti pronunce di legittimità, per la soggezione alle prescrizioni ed alla responsabilità previste dal D.lgs. 231/2001, con conseguente rimproverabilità per colpa organizzativa anche delle società straniere, con sede legale all'estero e prive di una sede in Italia, che si trovino ad operare sul nostro territorio, posto che la giurisdizione sulla responsabilità dell'ente straniero sussiste laddove l'illecito amministrativo derivi da un reato-presupposto rispetto al quale sussista la giurisdizione italiana.

Ciò a prescindere dall'esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplino in modo analogo la medesima materia anche con riguardo alla predisposizione e all'efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa dell'ente stesso.

Concludendo, particolare attenzione dovrà essere posta, a questo punto sotto il profilo probatorio, all'aspetto dell'"operatività in Italia dell'ente straniero" che dovrà evidentemente essere effettiva e concreta per poter dar luogo alla rimproverabilità penale dell'ente.

Un caso concreto

Il disastro ferroviario di Viareggio La vicenda oggetto della decisione del Tribunale di Lucca e della Corte di Appello di Firenze, poi approdata in Cassazione e qui ripercorsa, nei suoi passaggi salienti, ha riguardato il cd. disastro ferroviario avvenuto a Viareggio nella notte del 29.6.2009, in conseguenza dello svio dalla struttura ferroviaria per carenze gestionali e operative inerenti le procedure di manutenzione di una specifica componente del carro cisterna di un treno merci che trasportava liquido infiammabile; vi fu un deragliamento che determinò la deflagrazione e l'incendio delle zone limitrofe, l'esplosione di tre palazzine, con la morte di 32 persone, lesioni gravi e gravissime ai superstiti, danni alle abitazioni circostanti, ai veicoli e all'infrastruttura ferroviaria.

Con sentenza 31.7.2017 n. 222 il Tribunale di Lucca dichiarava responsabili - per ciò che qui rileva - gli enti Gatx Rail Austria GmbH, Gatx Rail Germania GmbH e l'Officina Jungenthal Waggon GmbH responsabili dell'illecito di cui al D.lgs.231/2001, art. 25-septies contestato in relazione alle lesioni personali colpose e agli omicidi colposi aggravati dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni commessi dagli imputati.Il gravissimo sinistro era stato determinato, come ricostruito dal Tribunale, dal cedimento strutturale dell'assile numero (omissis), uno dei due che alcuni mesi prima erano stati sostituiti a quelli originari….. l'assile (omissis) era stato oggetto di revisione nel corso del 2008 presso l'Officina Jungenthal, dopo essere stato rimosso da un altro carro a causa di zone appiattite e la presenza di sfaccettature…… il cedimento dell'assile è stato ricondotto alla "rottura per fatica" determinatasi a causa di una cricca presente nel cd. collarino, ovvero nella zona di raccordo esterna delle ruote, posta tra la portata di calettamento ed il fusello.

Ad avviso del Tribunale tale cricca era sicuramente rilevabile al momento del controllo presso l'officina tedesca……Secondo i periti la frattura si era innescata a partire da un unico punto costituito da un cratere di corrosione presente sul raccordo tra portata di calettamento e fusello.

Le conclusioni del Tribunale erano nel senso che esisteva un collegamento specifico tra il singolo punto d'innesco, il cratere di corrosione e la frattura, rigettando la tesi di uno sviluppo istantaneo della cricca e di un difetto del processo di fabbricazione dell'assile quale origine della stessa.

La rottura dell'assile aveva determinato lo svio del carro, il ribaltamento per la presenza di un passaggio a raso, il conseguente strisciamento del carro sul fianco sinistro sull'infrastruttura ferroviaria, l'impatto con un elemento dell'infrastruttura ed il conseguente sfondamento del mantello del serbatoio con la fuoriuscita del GPL.

Ad avviso del Tribunale si era trattato di un evento non imprevedibile anche in considerazione del manifestarsi anticipato di diversi segnali di allarme…..In particolare tra quanti avevano operato in veste di esponenti o dipendenti della Officina Jungenthal venivano distinti coloro che avevano eseguito la manutenzione dell'assile violando la normativa vigente e quanti avevano omesso di esercitare correttamente i doveri di controllo e di direzione….. Il rimprovero veniva esteso anche ai soggetti che operavano nell'interesse di Gatx Rail Austria e Gatx Rail Germania, la prima perché in quanto proprietaria e noleggiataria del carro a Cargo Chemical Srl, prima e a FS Logistica Spa, poi, aveva assunto l'obbligo di fornire carri in buono stato; la seconda in quanto, come proprietaria dell'Officina Jungenthal, aveva l'obbligo di controllare che questa svolgesse correttamente il servizio di manutenzione, attraverso la previsione di procedure adeguate a fronteggiare il rischio.

Il Tribunale rimarcava che presso l'officina mancavano specifiche istruzioni in materia di collaudo, mancavano i piani di prova, non venivano redatti verbali dettagliati dei controlli non distruttivi eseguiti, verbali di collaudo finale, mancavano i banchi di prova automatizzati e le sonde necessarie ad un corretto controllo UT.

La società proprietaria avrebbe dovuto garantire che fossero disponibili tutte le informazioni tecniche riguardanti la storia del materiale rotabile, invece mancanti…..La sentenza di primo grado condannava gli enti di diritto straniero ognuno alla sanzione pecuniaria di 400 quote del valore di 1.200 Euro ciascuna…applicava a tutte la sanzione interdittiva prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 9 comma 2, lett.e) per la durata di tre mesi.

La Corte di Appello di Firenze (con sentenza 16.12.2019 n. 3733), pur confermando la responsabilità degli enti stranieri, revocava tutte le sanzioni interdittive e riduceva la sanzione pecuniaria irrogata alle società Gatx Rail Austria GmbH e Gatx Rail Germania GmbH, Officina Jungenthal Waggon GmbH al numero di 33 quote dell'importo già stabilito di €.1.200 per ciascuna.

La Cassazione (con sentenza 6.9.2021 n. 32899) escludeva la ricorrenza dell'aggravante dell'art. 589 II comma c.p. contestata per la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (reato-presupposto) e ritenendo insussistente l'illecito di cui al D.lgs. 231 del 2001, art. 25-septies a carico degli enti stranieri, annullava sul punto la sentenza impugnata.

In ogni caso, riconosceva sussistere la giurisdizione nazionale per fatti commessi sul territorio italiano da enti non aventi alcuna sede in esso, rilevando ai fini della responsabilità ex decreto 231 l'aspetto dell'operatività sul territorio nazionale a discapito di quello della nazionalità o del luogo della sede legale e/o amministrativa principale dell'ente.

Nel consolidare l'orientamento giurisprudenziale sul punto la Corte, richiamando il precedente rappresentato dalla prima sentenza di legittimità (n.11626/2020), ha osservato come la decisività del reato-presupposto anche ai fini della giurisdizione trovi conferma negli artt. 4 D.lgs. 231/2001, 3 c.p. ("la legge penale italiana obbliga tutti coloro che cittadini o stranieri si trovano sul territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno e dal diritto internazionale") e 6 comma I c.p. ("chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana").

Siffatta interpretazione è stata ritenuta avallata anche da elementi non strettamente testuali. Da un canto, si è considerato che l'esigenza di ripristinare la legalità e l'ordine violato non potrebbero non riconoscersi anche in relazione ad un illecito che discende direttamente da un fatto-reato che abbia realizzato sul territorio nazionale l'offesa o la messa in pericolo.

Dall'altro, si è osservato che a ritenere diversamente si realizzerebbe un vulnus al principio di eguaglianza, perché emergerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra la persona fisica straniera (pacificamente soggetto alla giurisdizione nazionale in caso di reato commesso in Italia) e la persona giuridica straniera (in caso di reato presupposto commesso in Italia).

* a cura dell' Avv. Francesca Perego Mosetti , Partner 24 ORE Avvocati

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